Guida all’usabilità, la chiave per un sito facile, efficace e utile

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Avere un sito web usabile non è solo un vantaggio per gli utenti, ma anche per i nostri obiettivi e risultati. Mettere l’utente al centro ormai è (o almeno dovrebbe essere) diventato un mantra da seguire in ogni aspetto del digital marketing e della SEO, sia perché le persone sono gli effetti destinatati finali dei nostri contenuti (e degli sforzi di ottimizzazione), sia perché Google, almeno nelle intenzioni e nelle dichiarazioni, sta cercando di far emergere sempre più le pagine che rendano efficiente e soddisfacente l’esperienza dell’utente. Ed è qui che entra in gioco l’usabilità, un elemento che riguarda l’efficacia, l’efficienza e, appunto, la soddisfazione generale che provano le persone che navigano il sito e le pagine web: in estrema sintesi, è il fattore che determina se la visita di un sito sarà piacevole e produttiva o frustrante e breve. Andiamo ad approfondire quindi cosa significa realmente “usabilità” di un sito web e come possiamo misurarla e migliorarla.

Che cos’è l’usabilità del sito web: definizioni e spiegazione

In parole semplici, l’usabilità è la capacità di un sito web di essere utilizzato in modo facile, efficiente e soddisfacente da parte degli utenti per raggiungere specifici obiettivi. Un sito web usabile è intuitivo, privo di ostacoli e permette di svolgere le attività desiderate con il minimo sforzo.

È opportuno specificare che il concetto non nasce con il web, ma è molto precedente: a livello generale, usabilità è un attributo di qualità che fa riferimento alla facilità di utilizzo delle interfacce utente di vario tipo. Più precisamente, è un insieme di fattori ed elementi che servono a valutare l’efficacia, l’efficienza e la soddisfazione generale dell’utente nelle sue interazioni con prodotti o sistemi, inclusi software, dispositivi, applicazioni e, appunto, siti web.

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Oggi, il concetto di usabilità – in inglese usability – è fissato anche dalla norma ISO 9241, che la definisce come “il grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in uno specifico contesto d’uso”.

La storia e l’evoluzione dell’attenzione sul tema

Nella sua accezione più ampia – e quindi come la facilità con cui un individuo può utilizzare uno strumento o un sistema per raggiungere un obiettivo – usabilità è un concetto che ha radici profonde nella storia dell’innovazione umana e la sua evoluzione si intreccia direttamente con il progresso tecnologico e con il crescente desiderio di creare ambienti, oggetti e sistemi che migliorino la qualità della vita.

Possiamo intravedere i primi tentativi di focalizzarsi sull’usabilità nel periodo della grande industrializzazione, quando la produzione di massa rese necessario standardizzare i processi per realizzare prodotti più accessibili a un pubblico più ampio. Fu in particolare nel taylorismo, la teoria elaborata dall’ingegnere statunitense Frederick Winslow Taylor (e presentata nella monografia L’organizzazione scientifica del lavoro, 1911) a porre le basi per quello che oggi conosciamo come studio dell’usabilità, anche se il suo focus era principalmente sull’efficienza della produzione industriale, attraverso le analisi scientifiche dei tempi e dei movimenti del lavoro.

Proprio l’ambito industriale, insieme a quello militare, sono i settori in cui si cerca di applicare questi principi. Sono noti in tal senso gli esperimenti di Frank Gilbreth e Lillian Moller Gilbreth, che riuscirono a ottimizzare le attività lavorative degli operai studiandone le abitudini e riducendo le loro operazioni in fasi più piccole, ma anche più rapidi e semplici. Sia nella Prima che nella Seconda Guerra mondiale, poi, l’usabilità fu applicata in un contesto decisamente pratico: ad esempio, proprio l’ottimizzazione delle attività servì da guida per insegnare ai soldati a montare e smontare le armi al buio, mentre nel 1943 Alphonse Chapanis, militare dell’esercito USA, dimostra che “l’errore del pilota” può essere ridotto attraverso l’introduzione di una consolle più intuitiva, cosa che portò effettivamente alla realizzazione di un nuovo design per le cabine di pilotaggio, che ha ridotto gli errori umani e migliorato la performance.

Uscendo dal settore bellico, poi, già nel 1936 il Palm Beach Post pubblica l’annuncio pubblicitario di un nuovo frigorifero in cui, per la prima volta, viene citata tra le caratteristiche proprio l’usabilità, mentre alla fine degli anni Quaranta John Karlin convince i Bell Labs a fondare un Dipartimento Preferenze dell’Utente (più tardi Dipartimento ingegneria dei fattori umani, di cui lo stesso Karlin sarà responsabile), che mettono a punto numerosi progetti di ricerca empirica, come l’usabilità dei sistemi di input numerici e la capacità umana di ricordare sequenze di cifre, perfezionando tra l’altro anche il sistema di composizione dei numeri, che è alla base della moderna tastiera telefonica ancora in uso oggi.

Un altro punto rilevante di questa cronistoria è il 1967, quando il poliedrico e filosofo accademico australiano di origine britannica, Micheal Scriven, compone un sistema di valutazioni nel campo della formazione dedicate all’apprendimento degli studenti, che diventerà poi la base, anche terminologica, per le diverse tipologie di valutazioni di usabilità.

Guardando più nello specifico al settore informatico, si riconoscono diverse fasi di consapevolezza e attenzione sui fattori di usabilità, che originariamente si riferivano per lo più alle applicazioni e progettazione dei software.

In realtà, e almeno fino agli anni Settanta, possiamo parlare di usabilità assente o quasi: essendo usati dal progettista stesso o da un numero ristretto di utenti, solitamente con competenze e cultura molto simili a quelle del progettista, i prodotti a base informatica non dovevano porsi problemi di usabilità e c’era una sostanziale coincidenza fra lo user model e il design model. Sono eccezioni di rilievo gli studi di pionieri come Douglas Engelbart, che ha inventato il mouse, e Alan Kay, che ha contribuito allo sviluppo delle interfacce grafiche, rendendo i computer più accessibili, che hanno iniziato a porre l’attenzione sull’interazione uomo-macchina (HCI).

Già a fine anni Settanta cambia qualcosa, però: proprio nel 1979 i Permanent Labs sperimentano all’IBM i “test sommativi di usabilità” e, nello stesso periodo, appare la prima pubblicazione scientifica che riporta il termine usabilità nel titolo, The Commercial Impact of Usability in Interactive Systems di John Bennett.

È dalla metà degli anni ’80 che l’usabilità comincia a svilupparsi e diventa una vera e propria scienza, che coniuga la psicologia e l’intelligenza artificiale all’informatica. Un esempio concreto di questa “trasformazione” è la nascita dei laboratori di usabilità, che testano i prodotti con utenti potenziali prima del lancio commerciale, e che rispondono a un’esigenza di tipo pratico (e legata all’aspetto economico): vista la diffusione delle tecnologie informatiche negli uffici e in contesti domestici, gli utenti non hanno più competenze comuni con i progettisti, e ciò significa che iniziano ad avvertirsi i problemi di usabilità che rendono queste esperienze d’uso infruttuose e frustranti.

L’approccio incentrato solo sulla valutazione finale non è però sufficiente a risolvere tali problemi e garantire l’efficacia del processo, perché le eventuali modifiche costano troppo o arrivano in ritardo: per questo, negli anni Novanta si sperimentano soluzioni differenti e più ampie, che intervengono anche “a monte”. Merito di questa evoluzione concettuale va anche al lavoro di studiosi come Don Norman, autore del celeberrimo lavoro La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani (1987) e successivamente creatore, insieme a Jakob Nielsen, di Nielsen Norman Group, azienda di consulenza alle imprese per la realizzazione di servizi e prodotti centrati sull’uomo (dal cui blog abbiamo tratto varie informazioni usate per questo articolo).

Nasce così la progettazione a cascata, che introduce criteri di valutazione dell’usabilità in ogni fase del ciclo di sviluppo dei prodotti (ideazione, prototipizzazione, ingegnerizzazione, lancio), che evolve successivamente in una progettazione partecipata, che vede il coinvolgimento degli utenti – oltre che quello degli specialisti – nelle fasi che definiscono il processo, per raggiungere tutti insieme un prodotto finito che risponda alle esigenze concrete. In tal senso, quindi, la produzione di software, ma anche di siti e di altri prodotti informatici e digitali, smette di essere un semplice processo lineare e diventa un processo iterativo, in cui si raggiunge il risultato finale attraverso aggiustamenti successivi guidati dalla continua verifica delle esigenze e delle necessità dell’utente finale.

Vedendo rapidamente altri momenti chiave di questo percorso – ben rappresentati anche dall’infografica in basso – nel 1998 abbiamo la definizione ufficiale di usabilità secondo ISO e la pubblicazione di vari studi in merito (che iniziano anche a concentrarsi sulla navigazione Web e sulla user experience), mentre negli anni Duemila il fronte diventa ancora più esteso, si perfezionano le tecniche di misurazione dei fattori di usabilità e si iniziano a sfruttare anche i sistemi di automatizzazione e intelligenza artificiale applicati allo scopo.

Con l’avvento di Internet, l’usabilità è diventata un fattore critico anche nel design web, con l’esperienza dell’utente (UX) che ha assunto un ruolo centrale nel determinare il successo di un sito web. Oggi, l’usabilità si intreccia con l’accessibilità digitale e l’inclusività, riconoscendo la necessità di progettare esperienze che siano fruibili da tutti, come enfatizzato dalle Web Content Accessibility Guidelines (WCAG) e dalle leggi sull’accessibilità digitale, che hanno rafforzato l’importanza di creare esperienze che siano fruibili da un ampio spettro di persone e potenzialmente da tutti, inclusi coloro con disabilità.

La storia dell'Usabilità nel tempo

Focus sulle WCAG, le linee guida per usabilità e accessibilità digitale

Per la precisione, le WCAG sono una serie di raccomandazioni sviluppate attraverso il W3C (World Wide Web Consortium), l’organizzazione internazionale che lavora per lo sviluppo di standard per il web, e sono diventate il punto di riferimento globale per l’accessibilità web, adottate da molte organizzazioni e governi come parte dei loro standard legali o regolamentari.

L’obiettivo delle WCAG è fornire un ambiente digitale inclusivo che possa essere utilizzato da tutti, indipendentemente dalle loro capacità fisiche o cognitive, e dal 1999 a oggi ci sono state varie evoluzioni di questo set di raccomandazioni, con aggiornamenti che riflettono le mutevoli tecnologie e le crescenti esigenze di accessibilità.

Ad esempio, la prima versione delle WCAG (1999) conteneva 14 linee guida e si concentrava principalmente sull’HTML e le tecnologie web di base, mentre la seconda (WCAG 2.0, 2008) ha introdotto i principi POUR e la terza (WCAG 2.1, 2018) ha aggiunto criteri di successo per migliorare l’accessibilità per gli utenti con disabilità visive, motorie, uditive e cognitive, tenendo conto anche dell’uso crescente di dispositivi mobili. L’ultima versione al momento è WCAG 2.2 (diventate una raccomandazione del W3C il 5 ottobre 2023), che introducono ancora 9 nuovi criteri e nuove sezioni che dettagliano gli aspetti della specifica che potrebbero avere un impatto sulla privacy e sulla sicurezza; inoltre, è stato comunicato che il gruppo di lavoro sulle linee guida sull’accessibilità ha già sviluppato la prima bozza di lavoro pubblico delle future WCAG 3.0, ma non c’è ancora alcuna certezza sui tempi di rilascio ufficiale.

Alla luce di questo, oggi le WCAG si basano su quattro principi fondamentali, noti come POUR, che stabiliscono i fondamenti per l’accessibilità web. L’acronimo POUR sta per:

  • Perceivable (Percepibile). Le informazioni e i componenti dell’interfaccia utente devono essere presentati in modi che possano essere percepiti da tutti gli utenti, il che significa che non possono essere invisibili a tutti i loro sensi.
  • Operable (Utilizzabile). I componenti dell’interfaccia utente e la navigazione devono essere operabili, il che significa che gli utenti devono essere in grado di interagire con tutti i controlli e le funzionalità.
  • Understandable (Comprensibile). Le informazioni e l’operazione dell’interfaccia utente devono essere comprensibili, assicurando che gli utenti possano comprendere il contenuto e imparare e ricordare come utilizzare l’interfaccia.
  • Robust (Robusto). Il contenuto deve essere sufficientemente robusto da poter essere interpretato in modo affidabile da una vasta gamma di agenti utente, inclusi i browser e le tecnologie assistive.

Per ciascuno dei principi POUR, le WCAG definiscono criteri di successo specifici che forniscono linee guida pratiche su come raggiungere l’accessibilità. Questi criteri sono suddivisi in tre livelli di conformità:

  • Livello A. Il livello più basso, che risolve le barriere più gravi all’accessibilità.
  • Livello AA. Include i requisiti del Livello A e aggiunge ulteriori requisiti per affrontare i problemi più comuni di accessibilità.
  • Livello AAA. Il livello più alto, che copre i criteri di successo più avanzati e fornisce la migliore esperienza utente possibile.

Molti standard legali richiedono la conformità almeno al livello AA delle WCAG, considerato un equilibrio tra miglioramenti significativi nell’accessibilità e la fattibilità dell’implementazione.

Usabilità siti web, quali sono i principi fondamentali

Nell’ambito digitale, quindi, l’usabilità dei siti è diventata una scienza, con principi e tecniche ben definite, e l’espressione si riferisce anche al complesso di metodi che possono migliorare la facilità d’uso di un sito durante il processo di progettazione. In senso più ampio, l’usabilità ha l’obiettivo di semplificare l’esperienza dell’utente, permettendo alle persone di trovare le informazioni necessarie su siti e pagine in modo facile e intuitivo, comprendendone i contenuti senza riscontrare difficoltà.

In termini più diretti, quando parliamo di usabilità ci riferiamo alla facilità con cui gli utenti possono compiere le azioni desiderate all’interno di un sito web. Questo si traduce in una serie di principi cardine come la chiarezza, che ci spinge a creare interfacce comprensibili al primo sguardo, e la coerenza, che aiuta gli utenti a orientarsi grazie a elementi ricorrenti e prevedibili.

Esistono comunque diversi principi che concorrono all’usabilità del web, tra cui:

  • Efficacia: l’utente deve poter raggiungere i propri obiettivi con il minimo sforzo e nel minor tempo possibile.
  • Efficienza: l’interfaccia deve essere semplice e intuitiva da usare, con un minimo di azioni necessarie per completare un’attività.
  • Soddisfazione: l’utente deve provare un senso di soddisfazione e piacere nell’utilizzo del sito web.
  • Accessibilità: il sito web deve essere accessibile a tutti gli utenti, indipendentemente dalle loro capacità o tecnologie utilizzate.

I fattori che determinano l’usabilità del sito

Per capire l’importanza dell’usabilità e come “curarla” sul sito per garantire una buona esperienza agli utenti dobbiamo, innanzitutto, comprendere che non parliamo di una proprietà singola e unidimensionale di un prodotto, sistema o interfaccia utente, ma piuttosto di una combinazione di fattori che comprende, ad esempio:

  • Intuitività del design, vale a dire la realizzazione di un sistema di architettura e navigazione del sito che permetta all’utente una comprensione rapida e quasi senza sforzo.
  • Facilità di apprendimento, che definisce quanto è facile per gli utenti svolgere attività di base al primo approccio con l’interfaccia.
  • Efficienza d’uso, ovvero la velocità con cui un utente può portare a termine le attività dopo averne appreso le basi e aver familiarizzato con l’interfaccia.
  • Memorabilità, che si concentra sulla possibilità per gli utenti di ricordare le competenze acquisite dopo aver visitato il sito per utilizzarlo efficacemente nelle visite future e dopo un periodo di inutilizzo.
  • Frequenza e gravità degli errori, che studia appunto la frequenza con cui gli utenti commettono errori durante l’utilizzo del sistema, la gravità degli errori e il modo in cui gli utenti possono recuperare dagli errori.
  • Soddisfazione soggettiva, il grado di soddisfazione e piacere che l’utente avverte nell’utilizzare il sito.

Queste sono anche definite come le 6 componenti di qualità dell’usabilità applicate a un sito web e fanno riferimento ai principali attributi dell’usabilità definiti nel Sun Usability Lab, che tra l’altro suggeriscono di rispondere a domande su:

  • Utilità: qual è il senso stesso del sito? A cosa serve? E a chi serve? E il design è funzionale, ovvero fa ciò di cui gli utenti hanno bisogno?
  • Facilità di apprendimento: Come si comportano gli utenti nuovi di fronte al sito? Sono titubanti? Si ritrovano in aree di cui non conoscono il senso generale e a cui non sanno dire come sono arrivati? Non sanno “come” eseguire l’operazione che desiderano?
  • Prevenzione degli errori: il sito contiene errori di vario genere? Le persone compiono errori o usano spesso il tasto back (segno che hanno compiuto operazioni indesiderate o si sono trovate in pagine diverse da quelle previste)?
  • Soddisfazione: la navigazione e l’utilizzo del sito si rivela divertente e soddisfacente o crea ansia e frustrazione?

È evidente comunque che usabilità ha molto a che fare con utilità: poco importa che qualcosa sia facile o bello se non ci permette di ottenere ciò che vogliamo, così come (in senso opposto) non va bene se il sistema può ipoteticamente fare quello di cui abbiamo bisogno, ma non possiamo raggiungerlo perché l’interfaccia utente è troppo difficile.

Ne consegue, quindi, che il nostro obiettivo è creare un progetto che metta insieme entrambi questi fattori cruciali, e che sia utile nell’accezione inglese del termine, ovvero che rispetti utilità e usabilità così considerate:

  • Utilità (utility): capacità di fornire le funzionalità di cui l’utente ha bisogno .
  • Usabilità (usability): livello di qualità, facilità e piacevolezza dell’uso di queste funzionalità.
  • Utile/Funzionale (useful): un progetto che somma usabilità più utilità.

I benefici di un sito web usabile

Ma quali sono i motivi che dovrebbero convincerci ad adottare questo approccio per la nostra attività digitale?

In estrema sintesi, un sito usabile è un sito che funziona per noi e per chi lo visita, da cui deriva che un sito web con una buona usabilità assicura numerosi benefici, tra cui:

  • Migliore esperienza utente: gli utenti sono più soddisfatti e propensi a ritornare sul sito web.
  • Aumento del tempo di permanenza: gli utenti trascorrono più tempo sul sito web, aumentando le possibilità di conversione.
  • Miglioramento della SEO: le pagine sono più facilmente comprese e indicizzate dai motori di ricerca, con potenziali effettivi positivi sul ranking..
  • Maggiore ritorno sull’investimento (ROI): un sito web con una buona usabilità genera più conversioni e quindi un maggiore ritorno sull’investimento.

Anche se forse non ci facciamo caso, sul Web l’usabilità è una condizione necessaria per la sopravvivenza prima ancora che per il successo: molto banalmente, se un sito si rivela difficile da usare, se la home page non indica chiaramente cosa offre un’azienda e cosa possono fare gli utenti sul sito, se gli utenti si perdono tra le pagine, se le informazioni sono difficili da leggere, se i contenuti non rispondono alle domande chiave degli utenti, in tutti questi casi (e altri ancora) le persone se ne vanno.

Gli utenti non leggono un “manuale d’uso” del sito e non hanno tempo da dedicare allo studio e alla comprensione di un’interfaccia, anche perché ci sono molti altri siti web disponibili e quindi cercare alternative è la prima linea di difesa quando incontrano una difficoltà.

Secondo gli esperti, le più recenti best practices nel settore richiedono di spendere circa il 10% del budget di un progetto di design per l’usabilità: in media, questo sforzo aumenterà più del doppio le metriche di qualità desiderate di un sito Web, mentre per i prodotti software e fisici i miglioramenti sono in genere minori, ma comunque sostanziali.

In termini concreti, il raddoppio dell’usabilità per progetti interni significa riduzione della metà dei budget di formazione e raddoppio del numero di transazioni eseguite dai dipendenti all’ora. Per i progetti esterni, aspetto che ci interessa più da vicino, raddoppio di usabilità corrisponde a raddoppio delle vendite, al raddoppio del numero di utenti registrati o di lead dei clienti o al raddoppio di qualsiasi altro KPI (indicatore chiave di prestazione) che sia alla base di questo progetto.

Come si fa una valutazione dell’usabilità

Chiariti sinteticamente gli aspetti teorici, andiamo ad approfondire alcuni concetti legati ai sistemi che abbiamo per capire se effettivamente il nostro sito riesce a essere useful, e quindi a scoprire quali sono i metodi di valutazione dell’usabilità e quando è opportuno implementarli.

La valutazione dell’usabilità si concentra sul modo in cui gli utenti possono apprendere e utilizzare un prodotto per raggiungere i propri obiettivi e si riferisce anche al livello di soddisfazione degli utenti con quel processo. Per raccogliere queste informazioni, i professionisti utilizzano una varietà di metodi che raccolgono feedback dagli utenti su un sito esistente o sui progetti relativi a un nuovo sito, come ad esempio interviste, sondaggi o sessioni di osservazione.

Possiamo anche avvalerci di tecniche specifiche come i test A/B, che confrontano due versioni di una pagina per capire quale performa meglio, o l’eye tracking, che ci mostra dove si posa lo sguardo degli utenti; inoltre, le analisi euristiche ci permettono di valutare il sito seguendo linee guida ben stabilite, mentre i feedback diretti degli utenti sono sempre una miniera d’oro di informazioni.

Ci sono due tipi di dati che possiamo ottenere: dati qualitativi e dati quantitativi. Questi ultimi rilevano cosa è realmente accaduto, mentre i dati qualitativi descrivono ciò che i partecipanti hanno pensato oppure detto. Dopo aver raccolto i dati, li utilizzeremo per determinare l’usabilità del sito web, consigliare miglioramenti, implementare le raccomandazioni e testare nuovamente il sito per misurare l’efficacia delle modifiche.

In linea di massima, la chiave per lo sviluppo di siti altamente utilizzabili è la scelta di un design incentrato sull’utente, impostato sulle sue necessità, ma le attività di testing (e le eventuali correzioni necessarie) vanno eseguite con frequenza e costanza, perché i problemi possono emergere anche successivamente in maniera imprevista.

A livello ideale, comunque, l’usabilità va garantita e curata in ogni fase del processo di progettazione, perché ci può assistere nello sviluppo di contenuti, nell’architettura dell’informazione, nel design visivo, nel design dell’interazione e, non in ultimo, nella soddisfazione generale. L’unico modo per ottenere un’esperienza utente di alta qualità è iniziare a testare gli utenti nelle prime fasi del processo di progettazione e continuare a testare in ogni fase del processo.

Rapidamente, le opportunità di testing includono strumenti e attività come:

  • Test di usabilità di base su un sito esistente (per identificare le parti buone da mantenere o enfatizzare le parti cattive che creano problemi agli utenti).
  • Focus group, sondaggi o interviste per stabilire gli obiettivi degli utenti.
  • Test Card Sort, per assistere con lo sviluppo di IA.
  • Test wireframe, per valutare la navigazione.
  • First click testing o test del primo clic, per verificare che gli utenti seguano la strada giusta.
  • Test di usabilità per valutare l’interazione dell’utente end-to-end.
  • Sondaggi sullasoddisfazione, uno studio sul campo per vedere come si comporta il sito nel mondo reale e come si comportano gli utenti nel loro habitat

I singoli test, o una combinazione di questi, potrebbe migliorare radicalmente l’usabilità di sito, sistema o applicazione.

Misurare la qualità dell’UX del sito: il framework HEART di Google

Nel tempo sono stati sviluppati ovviamente vari modelli per aiutare le organizzazioni a focalizzarsi su aspetti specifici dell’esperienza utente che sarebbe opportuno migliorare, in modo da “oggettivare” gli ambiti di intervento attraverso l’analisi di specifici fattori chiave.

Tra i vari, il framework HEART di Google è un modo flessibile e di facile comprensione per definire le metriche per l’esperienza utente e offrire un approccio strutturato per definire gli obiettivi e misurare i risultati.

Questo modello di misurazione è stato sviluppato da Kerry Rodden, Hilary Hutchinson e Xin Fu di Google per valutare la qualità dell’esperienza utente, e si basa su 5 metriche chiave, identificate dalle iniziali della parola HEART, appunto. HEART è infatti l’acronimo di Happiness, Engagement, Adoption, Retention e Task success, che sono ritenuti costrutti chiave intesi a tenere conto degli aspetti più importanti dell’esperienza dell’utente. Ciascuno di questi cinque costrutti chiave è suddiviso in obiettivi di alto livello, segnali comportamentali e metriche quantificabili.

Più precisamente:

  • Happiness (Felicità). Misura il gradimento dell’utente, spesso attraverso sondaggi e feedback che possono includere metriche come la soddisfazione, il net promoter score (NPS) o altri indicatori di felicità dell’utente.
  • Engagement (Coinvolgimento). Valuta il livello di coinvolgimento dell’utente con il prodotto, che può essere misurato attraverso la frequenza di utilizzo, l’intensità o la profondità dell’interazione con il prodotto.
  • Adoption (Adozione). Riguarda il numero di nuovi utenti che iniziano ad utilizzare il prodotto, una metrica particolarmente rilevante per i nuovi lanci di prodotti o funzionalità.
  • Retention (Ritenzione). Misura la capacità di un prodotto di trattenere gli utenti nel tempo, indicando la percentuale di utenti che continuano ad utilizzare il prodotto dopo un certo periodo di tempo dall’adozione iniziale.
  • Task success (Successo nel compito). Valuta l’efficacia con cui gli utenti possono completare i compiti specifici, che può essere misurata attraverso il tempo di completamento del compito, l’errore rate o altri indicatori di performance.

Sebbene questo quadro sia flessibile ed efficace nella maggior parte dei casi, alcune delle sue dimensioni (in particolare coinvolgimento, adozione e fidelizzazione) sono significative solo per i prodotti di consumo e in situazioni in cui l’utente può decidere se utilizzare il prodotto, e quindi offre valutazioni meno utili nei casi in cui l’utente finale potrebbe non avere facoltà di scelta (come prodotti aziendali, intranet, sistemi sanitari, strumenti governativi e molti altri tipi di app complesse).

Migliorare l’usabilità del sito: le tecniche per intervenire sugli aspetti critici

In termini pratici, possiamo migliorare l’usabilità intervenendo con molti metodi, tra cui il più semplice e utile è il test dell’utente o user testing, che si articola in 3 componenti:

  • Identificare e contattare alcuni utenti rappresentativi, come i clienti di un sito di e-commerce.
  • Chiedere agli utenti di eseguire compiti rappresentativi con il design.
  • Osservare cosa fanno gli utenti, dove hanno successo e dove hanno difficoltà con l’interfaccia utente, senza intervenire o influenzare il loro comportamento. È importante testare gli utenti individualmente e lasciare che risolvano da soli eventuali problemi, perché se li aiutiamo o dirigiamo la loro attenzione su una parte particolare dello schermo contaminiamo i risultati del test.

Per identificare i problemi di usabilità più importanti di un progetto, in genere è sufficiente testare 5 utenti; inoltre, gli esperti suggeriscono di non organizzare uno studio grande e costoso, ma un numero maggiore di piccoli test (è un uso migliore e più efficace delle risorse), rivedendo il design tra ciascuno in modo da poter correggere i difetti di usabilità mentre li identifichiamo. Il design iterativo è il modo migliore per aumentare la qualità dell’esperienza utente: più versioni e idee di interfaccia testiamo con gli utenti, meglio sarà.

Il test dell’utente è diverso dai focus group, che hanno un posto nelle ricerche di mercato, ma che non aiutano concretamente per valutare i progetti di interazione: ascoltare ciò che le persone dicono è fuorviante, perché è più funzionale guardare cosa fanno effettivamente e osservare da vicino i singoli utenti mentre eseguono attività con l’interfaccia utente.

Per migliorare l’usabilità del nostro sito possiamo anche affidarci all’analisi dei dati che possiamo recuperare attraverso strumenti come Google Analytics (sul comportamento degli utenti) o software di heatmapping che ci mostrano quali parti della pagina attirano più attenzione.

Usabilità e SEO: perché lavorare su questi aspetti può aiutare il ranking del sito

A prima vista, l’usabilità non sembra essere qualcosa di strettamente legato alla SEO, ma questa è una visione miope e obsoleta, come già dicevamo parlando di accessibilità (che possiamo anche ritenere un lavoro su un aspetto ancor più specifico di usability).

Ragionando alla vecchia maniera, la SEO consiste nell’attirare persone sul sito assicurandoci in primo luogo che venga visualizzato nelle query di ricerca ed emerga nelle SERP con giusta visibilità. L’usabilità, invece, riguarda il comportamento delle persone dopo che sono arrivate sul sito, con l’obiettivo principale di aumentare il tasso di conversione.

Secondo questa distinzione, quindi, la SEO avviene prima del primo clic e l’usabilità inizia esattamente al momento successivo, ma in realtà sappiamo che oggi non è più così, e non solo perché Google ha ufficialmente sancito che l’user experience è un fattore di ranking, con il Page Experience update. Anche intuitivamente, infatti, avere un’ottima SEO ma una pessima usabilità significa potenzialmente ottenere molto traffico, ma basso rapporto di conversione perché i visitatori non si trasformeranno in clienti. Al contrario, un sito con una grande usabilità ma una pessima SEO semplicemente non otterrà molti visitatori, quindi non importa quanto sia buono.

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E quindi, anche se superficialmente sembrano concentrarsi su diverse fasi del funnel di lead generation, ci sono molti modi in cui SEO e usabilità si supportano a vicenda, soprattutto quando parliamo di e-Commerce. Non a caso, la classica prima legge dell’e-commerce ci ricorda che “se gli utenti non riescono a trovare il prodotto, non possono nemmeno acquistarlo” ed esiste proprio un metodo specifico, ideato dal citato Jakob Nielsen, che si chiama valutazione euristica e serve a individuare e risolvere i pesi di usabilità che ostacolano un eCommerce per incrementare rapidamente le vendite.

Un altro aspetto pratico da analizzare è la ricerca interna al sito, un’area che può fornire valido supporto al percorso degli utenti, semplificando e accorciando la loro navigazione, ma che spesso rischia di essere mal implementata e quindi diventare fonte di frustrazione per le persone.

E quindi, volendo provare a elencare alcuni consigli generali di usabilità applicata alla SEO:

  • Offrire URL stabili in modo che altri siti possano collegarsi direttamente a ciascun contenuto chiave senza incappare in futuro in un eventuale link rotto. Laddove impossibile mantenere la struttura iniziale, è opportuno fornire il corretto redirect.
  • Parlare la lingua dell’utente nei titoli delle pagine, negli heading e nel corpo del testo, rispettando le linee guida principali per il web writing senza trascurare le norme grammaticali e sintattiche.
  • Evitare il keyword stuffing e altre pratiche di black hat SEO che possono nuocere all’esperienza utente e, soprattutto, provocare una reazione negativa di Google.
  • Offrire una chiara architettura dell’informazione (IA), impostando una pagina principale designata per ogni elemento di interesse e un chiaro sistema di navigazione che punti a queste pagine, in modo che i motori di ricerca possano dedurne la loro centralità.
  • Attirare i link in entrata e le menzioni social presentando contenuti accattivanti e aggiornamenti frequenti.

Garantire l’usabilità di pagine e contenuti: gli aspetti da curare

E quindi, SEO e usabilità vanno a braccetto, perché un sito usabile tende a essere premiato anche dai motori di ricerca. Meta tag chiari, una struttura URL logica e una buona rete di link interni sono solo alcune delle pratiche SEO che migliorano anche l’usabilità di un sito, e il punto di partenza per assicurare una gestione efficiente di questi aspetti è progettare ogni aspetto del sito con l’obiettivo di guidare l’utente verso la meta desiderata.

In concreto, poi, dobbiamo concentrare la nostra attenzione a elementi come:

  • Struttura e Navigazione Intuitiva

La navigazione è il cuore dell’usabilità. Un menù ben organizzato e facilmente accessibile è il primo passo per garantire che gli utenti possano orientarsi senza smarrirsi. I breadcrumb, quei piccoli percorsi testuali che indicano dove ci si trova all’interno del sito, sono un altro strumento utile per mantenere l’utente ancorato al contesto. Anche i link interni sono anche un elemento chiave dell’usabilità, perché forniscono agli utenti un percorso logico da seguire e possono significativamente migliorare il tempo trascorso sul sito, a patto che ogni link sia pertinente e fornisca valore aggiunto all’esperienza dell’utente. E non sottovalutiamo la potenza di una funzione di ricerca interna efficace, che può velocemente portare l’utente esattamente dove desidera andare.

  • Responsive Design e Mobile Usability

Il mondo è mobile, e un sito che non si adatta ai dispositivi portatili è destinato a rimanere indietro. Il responsive design non è solo una questione estetica, ma una necessità funzionale: gli utenti si aspettano che un sito funzioni bene su qualsiasi dispositivo utilizzino, e noi dobbiamo soddisfare questa aspettativa. Il contenuto deve fluire senza problemi tra desktop, tablet e smartphone: il testo, le immagini e gli altri elementi devono essere progettati per adattarsi e reagire alle diverse dimensioni dello schermo, garantendo che l’esperienza utente sia coerente indipendentemente dal dispositivo utilizzato.

  • Velocità di Caricamento e Prestazioni

La pazienza online è misurata in secondi, e ogni attimo di attesa aumenta il rischio che l’utente abbandoni il sito. Ottimizzare le immagini, minimizzare il codice e utilizzare reti di distribuzione dei contenuti (CDN) sono passi essenziali per assicurare che il sito carichi rapidamente e senza intoppi.

  • Scrittura per il web

Scrivere per il web significa essere concisi, chiari e diretti. Titoli e sottotitoli servono non solo a strutturare il testo, ma anche a catturare l’attenzione e a guidare l’utente attraverso il contenuto. Paragrafi brevi e punti elenco possono aiutare a rendere l’informazione più digeribile e a mantenere l’utente coinvolto. Inoltre, anche l’utilizzo dei giusti font può migliorare la leggibilità.

  • Uso di immagini e video

Le immagini e i video possono arricchire significativamente l’esperienza utente, ma devono essere utilizzati con giudizio: è fondamentale che questi elementi multimediali siano ottimizzati per non rallentare il caricamento delle pagine e che siano integrati nel contesto in modo da non distrarre o confondere l’utente.

L’ottimizzazione tecnica per migliorare l’usabilità

Un altro aspetto da non trascurare riguarda l’ottimizzazione tecnica del sito per assicurare l’usabilità e l’accessibilità anche da parte di Googlebot e degli altri crawler.

Secondo un’azzeccata definizione di Jakob Nielsen, Googlebot è “l’utente cieco più ricco del mondo” perché sostanzialmente può capire solo il testo in pagina e non può vedere e analizzare le immagini – nonostante le più recenti tecniche di intelligenza artificiale e riconoscimento dei modelli, il testo scritto e le meta-informazioni restano comunque il modo base per essere indicizzati.

Ne parlavano anche Martin Splitt di Google e Ada Rose Cannon di Samsung in uno degli appuntamenti di SEO mythbusting su YouTube, dedicato proprio a usabilità, metriche di performance come fattore di ranking su Google e le soluzioni più SEO friendly per gli sviluppatori.

Rendere il Web più accessibile

La chiacchierata parte da una considerazione generale: bisogna impegnarsi per rendere il Web accessibile a tutte le persone al mondo, non solo per le (poche) persone che usano i dispositivi tecnologici o i computer migliori e più recenti, ma anche per tutte quelle che continuano a usare device low-end vecchi di anni. Oggi, tuttavia, il web moderno non sembra riuscire a raggiungere questa platea, e anzi nel frattempo continua a crescere la distanza qualitativa tra smartphone nuovi e vecchi in termini di performance.

È per superare questi limiti che Google ha insistito molto sulla navigazione da dispositivi portatili, anche attraverso il mobile-first index o la velocità di caricamento della pagina da mobile come un fattore di ranking sul motore di ricerca, fino ad arrivare al citato set di segnali della Page Experience, che per la prima volta inserisce ufficialmente alcune metriche “user-centric” come fattori di ranking.

Aiutare Googlebot garantendo l’usabilità

Splitt si sofferma poi a parlare di Googlebot, spiegando che non interagisce molto a lungo con la pagina, quindi non è capace di determinare se lo scroll è comodo o altri aspetti del genere, perché si concentra sul rendering e, al massimo, può capire quando la pagina diventa sensibile agli input e quando il contenuto è pronto per il consumo degli utenti, valutando quindi le performance di questi parametri.

In tal senso, però, il developer advocate del Google Search Relations Team vuole anche smentire le affermazioni generiche (blanket statements) del tipo “Javascript ucciderà la tua SEO” oppure “Non usare React o Angular”, che non necessariamente hanno un fondo di verità e spesso possono essere una “risposta confortante, ma non la miglior risposta”. Secondo Splitt, e com’è possibile vedere anche empiricamente, “i siti in Javascript possono posizionarsi su Google” e va sfatato il mito secondo cui, a causa della difficoltà di scansione da parte di Googlebot, i siti che usano JS rischiano di essere penalizzati nel posizionamento: nella realtà, il problema riguarda solo la fase di indicizzazione delle risorse e, più ampiamente, l’usabilità.

Detto in altri termini, i siti in Javascript potrebbero avere difficoltà in termini di usabilità, perché una pagina che impiega tempo a caricarsi non fornisce un buon livello di user experience e non risponde alle esigenze della filosofia mobile friendly: pertanto, bisogna valutare non tanto la lentezza rispetto ai crawler, quanto la velocità nel fornire agli utenti quello che cercano.

Il consiglio di Martin Splitt, dunque, è di fare affidamento su HTML e CSS più moderni e semantici anziché sul pesante JavaScript, anche perché HTML e CSS sono più resilienti di Javascript (invecchiano meglio). Nello specifico, le linee guida sono: usare polyfill, usare il progressive enhancement, usare ciò che la piattaforma Web mette a disposizione e, come consiglio finale, usare Javascript responsabilmente.

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