Search journey: cos’è e come Google interpreta le ricerche
Ogni ricerca su Google è più di una semplice “interrogazione”: è l’inizio di un percorso. Gli utenti partono da una domanda, raffinano progressivamente le loro richieste, confrontano informazioni e arrivano a una scelta finale. Questo processo è noto come search journey, e comprenderne la dinamica è essenziale per chiunque voglia ottenere visibilità sul web. Lo sappiamo: in questa SEO moderna non possiamo più limitarci a pensare di rispondere alle singole query in modo isolato, anche perché Google analizza il comportamento complessivo degli utenti – registra le azioni successive alla prima ricerca, interpreta le intenzioni dietro ogni clic e modella i risultati in base ai percorsi di navigazione. Un sito che si allinea a questo meccanismo ha maggiori possibilità di emergere nella SERP, intercettando gli utenti nel momento più opportuno. Andiamo quindi a capire cos’è il search journey, come influisce sulla SEO e sulle strategie di contenuto, come Google interpreta i segnali degli utenti e in che modo tutto ciò riguarda anche le interazioni verso il nostro sito e quali strumenti possono aiutare a ottimizzare l’intero processo.
Che cos’è il search journey
Il search journey è il processo attraverso cui un utente esplora il motore di ricerca per trovare risposte, confrontare fonti e arrivare alla scelta finale. Ogni ricerca su Google è parte di un percorso più ampio che raramente si esaurisce con un’unica query: non è una sequenza lineare, ma un succedersi di passaggi interconnessi in cui l’utente può affinare la propria richiesta, modificare l’intento di ricerca e tornare più volte su determinate pagine prima di compiere un’azione definitiva.
Questo viaggio – che si chiama anche User search behavior o Search intent journey – può durare da pochi minuti a settimane intere, a seconda della complessità dell’esigenza informativa e delle alternative disponibili. Google, nel tempo, ha sviluppato sistemi sempre più sofisticati per comprendere e anticipare questo comportamento, adattando i risultati in base all’evoluzione delle ricerche di ogni singolo utente.
Per chi opera nel digital marketing e nella SEO, studiare il search journey significa andare oltre la singola parola chiave e costruire contenuti capaci di intercettare l’utente in ogni fase del percorso. Ottimizzare un sito web considerando questa prospettiva consente di offrire risposte più pertinenti, di aumentare la permanenza sulle proprie pagine e di migliorare le possibilità di conversione.
Come Google interpreta il search journey
Uno dei punti centrali della discussione sul search journey riguarda il modo in cui Google “legge” il comportamento degli utenti e adatta la SERP ai loro percorsi di ricerca. Il motore di ricerca ha sempre dichiarato che il suo obiettivo principale è restituire agli utenti i risultati più pertinenti per ogni query, riducendo al minimo la necessità di effettuare ricerche ripetitive o raffinate manualmente per trovare ciò di cui si ha bisogno. Se inizialmente la classificazione delle pagine si basava su fattori più statici, come la qualità del contenuto e l’autorevolezza dei link esterni, nel tempo l’algoritmo è diventato sempre più sofisticato nell’interpretare la reale intenzione dietro ogni ricerca, andando oltre la semplice corrispondenza tra keyword.
Anche se non è mai stato confermato in modo esplicito che le interazioni degli utenti influiscano direttamente sul ranking, alcuni segnali indiretti suggeriscono che il sistema sia in grado di elaborare il contesto delle ricerche successive, adattando dinamicamente la SERP per offrire risposte sempre più pertinenti – lo diceva anche Ivano Di Biasi al suo intervento al SEOZoom Day 2022.
La discriminante è il ruolo attivo dell’utente nel definire la qualità dei contenuti in SERP: appare plausibile che Google utilizzi segnali indiretti per comprendere quando un risultato soddisfa l’intento di ricerca o quando, al contrario, non risponde in modo adeguato. Osservando la SERP nel tempo, si notano infatti schemi che suggeriscono un affinamento progressivo basato sul search journey: se molti utenti, per esempio, eseguono una ricerca generica e poi la raffinano con query più specifiche, Google sembra in grado di prevenire questo comportamento, proponendo direttamente risorse più mirate tra i risultati principali.
Questo fenomeno si manifesta, ad esempio, con la tendenza di Google a proporre variazioni più mirate della query iniziale oppure a favorire determinati tipi di contenuti sulla base di pattern di ricerca ripetuti dagli utenti. Un’altra ipotesi avanzata riguarda il funzionamento della SERP su grandi volumi di utenti: se un gran numero di persone tende a ignorare determinati risultati, è possibile che il sistema ricalibri la disposizione dei contenuti per massimizzare la probabilità che l’utente trovi la risposta ottimale nel minor tempo possibile.
Non parliamo di influenze dirette o di modifiche istantanee del ranking, ma di un processo di aggiustamento progressivo, in cui Google sembra tener conto delle dinamiche di ricerca aggregate piuttosto che delle singole sessioni di navigazione.
Come si differenzia da customer journey e user journey
È bene spendere qualche parola per chiarire il significato di tre espressioni che fanno riferimento al “viaggio” digitale delle persone: search journey, customer journey e user journey sono tre concetti connessi ma distinti, che descrivono momenti diversi dell’interazione con un brand.
- Search journey riguarda solo la fase di ricerca e analizza il modo in cui un utente esplora i motori di ricerca per acquisire informazioni su un tema o risolvere un problema. È circoscritto alle azioni che precedono il primo contatto con un sito web o una specifica azienda.
- Customer journey comprende l’intera esperienza di relazione con un brand, dal momento della scoperta fino all’acquisto e al post-vendita. In questo percorso, il search journey rappresenta solo un singolo tassello iniziale.
- User journey si riferisce all’esperienza complessiva dell’utente su un sito o un’app, analizzando come naviga tra le pagine, quali azioni compie e come interagisce con i contenuti.
Semplificando: il search journey è il viaggio informativo dell’utente prima di scegliere un prodotto o servizio, mentre il customer journey copre l’intera esperienza di acquisto e l’user journey si concentra sul comportamento dopo l’ingresso in un sito. Comprendere queste differenze aiuta a gestire la strategia di digital marketing in modo più mirato, sfruttando ogni fase per costruire una relazione efficace con il pubblico.
L’evoluzione del search journey nel tempo e il suo impatto sulla ricerca online
Il search journey non è sempre stato un elemento centrale nella SEO. Quando Google è entrato nel settore dei motori di ricerca, non ha basato il proprio sistema unicamente sulla quantità di keyword e sulla somma di backlink ricevuti da una pagina, come facevano i suoi competitor dell’epoca: la grande intuizione di Larry Page e Sergey Brin fu quella di introdurre la valutazione qualitativa dei collegamenti, sviluppando il PageRank, un sistema che misurava l’autorevolezza delle pagine basandosi sui link in entrata, considerandoli segnali di fiducia e rilevanza.
Questa differenza rispetto agli altri motori di ricerca ha reso Google rapidamente dominante, perché il sistema riusciva a restituire risultati migliori e più pertinenti, ponendo le basi per il concetto di qualità dell’informazione. Tuttavia, inizialmente ogni ricerca veniva considerata un evento a sé stante, senza connessioni con le query precedenti di un utente.
Con il passare del tempo, questa logica è cambiata. Google ha iniziato a riconoscere che un singolo risultato non sempre rispondeva completamente a un bisogno informativo, e che gli utenti tendevano a eseguire più query successive, affinando la ricerca per ottenere risposte migliori. L’introduzione del Knowledge Graph nel 2012 ha rappresentato un primo grande passo nella capacità di Google di comprendere le connessioni tra parole chiave, entità e argomenti correlati e di fare “previsioni” sulle ricerche successive.
Negli anni successivi, con algoritmi come RankBrain, BERT e MUM, il search journey è diventato sempre più personalizzato e dinamico. Anche qui, come discusso nei precedenti eventi di SEOZoom, le SERP non si modellano in modo statico, ma rispondono a uno schema basato sull’evoluzione delle ricerche collettive. Questo ha spinto chi lavora nella SEO a ripensare completamente il modo in cui vengono strutturati i contenuti: non più focalizzati su keyword isolate, ma organizzati per accompagnare l’utente lungo tutto il suo percorso informativo .
Il ruolo dell’intelligenza artificiale nel search journey
L’intelligenza artificiale ha trasformato profondamente il modo in cui Google interpreta le ricerche degli utenti, rendendo il search journey un processo più dinamico e anticipatorio. Se inizialmente il motore di ricerca si limitava a restituire risultati basati su una corrispondenza diretta tra query e contenuti, oggi è in grado di comprendere meglio il contesto della ricerca, prevedendo persino le necessità informative successive.
RankBrain ha segnato il primo passo verso questa evoluzione, consentendo di interpretare il significato delle parole in relazione al contesto e di perfezionare la SERP in base a query meno comuni. Con l’introduzione di BERT, l’algoritmo ha acquisito una capacità più avanzata nella comprensione del linguaggio naturale, riuscendo a distinguere meglio le sfumature semantiche all’interno di una frase. MUM ha portato questa logica ancora oltre, elaborando informazioni provenienti da fonti diverse e traducibili in tempo reale, riducendo così la necessità di ricerche sequenziali per ottenere risposte complete.
La personalizzazione dei risultati e le implicazioni per la SEO
Oggi quindi Google adatta progressivamente la SERP al contesto in cui avviene la ricerca, modellando la selezione dei risultati in base a elementi come l’intento di ricerca, la posizione geografica e l’evoluzione del search journey. L’obiettivo è quello di ridurre il numero di passaggi necessari affinché un utente trovi la risposta più pertinente, presentando subito le risorse più utili rispetto alla sua esigenza specifica.
Questa dinamica ha conseguenze dirette per la SEO. Non basta più focalizzarsi sull’ottimizzazione di una singola parola chiave, perché la visibilità di un contenuto dipende anche dalla sua capacità di coprire più aspetti dello stesso argomento e di inserirsi con naturalezza nei percorsi informativi che Google riconosce come più ricorrenti. Strutturare un sito in modo che favorisca la navigazione tra contenuti complementari aiuta non solo a trattenere più a lungo gli utenti, ma anche a migliorare il riconoscimento del sito come risorsa affidabile per specifiche tematiche. Individuare questi percorsi e costruire strategie SEO basate sulla progressione logica delle ricerche è più efficace rispetto a un approccio basato esclusivamente sulla singola query. I siti che riescono ad anticipare i bisogni informativi dell’utente e a proporgli contenuti correlati in modo intuitivo ottengono un vantaggio competitivo sia in termini di posizionamento che di engagement.
Anche Google usa il search journey
In fin dei conti, Google è un normalissimo sito web, dall’interfaccia quanto mai essenziale, con il suo sistema di statistiche, in grado di fornirgli informazioni su quando cerchiamo qualcosa, cosa cerchiamo, come lo facciamo, quando non siamo soddisfatti e quando invece siamo riusciti ad avere quello che volevamo
A noi Google “presenta solo una casella di ricerca” con cui possiamo interagire (o possiamo attivare una ricerca vocale), ma sono innumerevoli gli input che forniamo da utenti e che Big G raccoglie, analizza, interpreta e utilizza: il primo input che diamo al motore di ricerca è “quando”, il momento in cui facciamo la ricerca e inizia il nostro percorso, ma anche il momento in cui c’è interesse per un determinato topic (utili per le statistiche sulla stagionalità). Il secondo segnale, strettamente collegato, è il “che cosa” cerchiamo e vogliamo.
E quindi, come diceva Ivano Di Biasi, anche Google ha bisogno di fare search journey e analisi dei dati per capire cosa rispondere alle nostre query, e “sicuramente gli algoritmi fanno una buona parte di questo lavoro, ma in realtà le risposte le diamo noi utenti stessi usando il motore di ricerca e fornendo informazioni col nostro comportamento”.
Il motore di ricerca raccoglie informazioni sul viaggio degli utenti
Da qui il motore di ricerca inizia a raccogliere altre informazioni sul nostro viaggio e a vedere cosa facciamo: il feedback in questi casi è il clic (o il non-clic) su uno o su vari risultati di ricerca mostrati in SERP che scegliamo perché sembrano maggiormente rispondere alle nostre esigenze. “Abbiamo detto a Google che, partendo dalla ricerca che abbiamo fatto, abbiamo scelto il risultato che ci interessava maggiormente. Sui grandi numeri, queste azioni degli utenti vanno a dare a Google informazioni anche sul gradimento della sua pagina”.
Quando apriamo il sito che abbiamo cliccato tra i risultati di ricerca possiamo comportarci in due modi: il contenuto ci soddisfa e lo leggiamo, oppure torniamo indietro. A sua volta, questa situazione genera due diverse azioni: torniamo alla SERP di Google perché la pagina non ci piace e scegliamo un altro risultato tra quelli proposti, oppure cambiamo ricerca e digitiamo una nuova query, magari più specifica e approfondita.
Quando si verifica questo caso, “come utenti diamo due informazioni a Google: innanzitutto, i dieci risultati selezionati vanno bene, perché abbiamo cliccato due o più volte all’interno di quella SERP”. Ma allo stesso tempo diciamo a Google che c’è qualcosa che non va, perché non siamo soddisfatti di uno dei risultati oppure dell’intera SERP (se ripetiamo la ricerca), aiutando il motore di ricerca ad avere informazioni sulla qualità delle sue SERP. Inoltre, Google ha anche segnali di correlazione tra le varie query ricercate, connettendole in un percorso logico.
Ogni passaggio genera dati utili per Google
L’ultimo passaggio è quello della scelta definitiva, del contenuto che completa il nostro viaggio ed esprime un “voto”: è come se dicessimo a Google “io ho cercato questa cosa, ho fatto tante altre ricerche per arrivare a ciò che volevo – mi hai fatto perdere tempo con SERP e pagine che non mi soddisfacevano – ho trovato la query giusta per avere risposte e ho trovato anche il risultato giusto tra i siti”.
E quindi il nostro percorso, la nostra search journey, determina un voto al “sito web migliore per tutto l’iter di ricerca”, perché Google recepisce le informazioni e le salva nel suo database insieme a quelle degli altri utenti che hanno fatto i loro viaggi nello stesso periodo e sullo stesso tema.
Google perfeziona il motore di ricerca anche grazie agli utenti
In sintesi, lo studio della search journey degli utenti consente a Google di capire tutto ciò di cui ha bisogno per perfezionare il funzionamento del suo motore di ricerca, e in particolare di sapere:
- Quando vogliamo qualcosa.
- Quale risultato non reputiamo una risposta adeguata (e se tanti feedback segnalano la stessa mancanza di gradimento per un risultato), è probabile che quella pagina perda posizioni e scompaia dalla prima pagina perché non è adatta al search intent della maggioranza degli utenti.
- Come ricerchiamo nuovamente quando non siamo soddisfatti dalla prima query.
- Quale risultato consideriamo adeguato e soddisfacente.
- Quante volte l’algoritmo ha fallito nel soddisfarci durante il nostro percorso, con indicazioni sia sui risultati sbagliati che su eventuali cattive interpretazioni della query.
Quindi, partendo da una semplice casella di ricerca noi forniamo tantissime indicazioni a Google, gli forniamo tutte le nostre preferenze, semplifichiamo il suo lavoro, gli diciamo cosa mostrarci subito senza farci perdere tempo in ricerche inutili.
In poche parole, diciamo a Google “come fare il motore di ricerca”, come sintetizza Ivano.
Come il search journey influisce sulla SEO e sul content marketing
La linea operativa di fondo è che la visibilità organica non dipende più solo dalla semplice ottimizzazione per keyword isolate, ma dalla capacità di un sito di inserirsi in un contesto informativo più ampio. Google non valuta le pagine singolarmente, ma stabilisce connessioni tra loro e le inserisce contestualizzandole nel percorso complessivo dell’utente, analizzando il search journey per comprendere l’intenzione alla base di ogni ricerca.
Un utente può iniziare con una domanda generica, modificare le proprie query dopo aver consultato i primi risultati e, infine, focalizzarsi su una scelta mirata. Questo processo implica che il ranking non è più statico, ma si adatta in base al comportamento degli utenti. Se una pagina attira clic, mantiene gli utenti coinvolti e offre risposte utili, ha maggiori possibilità di ottenere visibilità nel tempo.
Per chi si occupa di SEO, ignorare il search journey significa perdere opportunità di intercettare il pubblico nel momento più adatto. Le strategie di content marketing devono strutturare i contenuti per accompagnare l’utente lungo tutta la sua ricerca, evitando di concentrarsi solo sulle query dirette alla conversione. Un sito che presidia più fasi del search journey ha maggiori probabilità di consolidare la propria autorevolezza agli occhi di Google e di essere scelto dagli utenti rispetto ai competitor.
Dati e segnali che Google usa per interpretare il search journey
Sul tema dei dati comportamentali, Google ha sempre mantenuto una posizione ufficiale prudente, affermando che i clic degli utenti non influenzano direttamente il ranking delle pagine. Come detto, però, alcune dinamiche della SERP suggeriscono che il motore di ricerca possa utilizzare i pattern di ricerca aggregati per affinare i risultati nel tempo.
Uno degli aspetti più discussi dalla comunità SEO è la possibilità che Google analizzi le correlazioni tra query successive, riconoscendo quando gli utenti perfezionano una ricerca dopo aver consultato determinati risultati. Se molte persone che digitano una specifica query tendono poi a effettuare una seconda ricerca più specifica, Google può riorganizzare le SERP proponendo già nelle posizioni iniziali contenuti più vicini all’intento di approfondimento. Non si tratta di un ranking statico, ma di una SERP adattiva , che evolve sulla base dei pattern di ricerca osservati in modo anonimo e aggregato.
Un altro elemento interessante riguarda il cosiddetto pogo sticking, il comportamento in cui un utente clicca su un risultato e torna immediatamente alla SERP. Google non ha mai confermato di penalizzare direttamente questo fenomeno, ma ha dichiarato di essere attento a fornire contenuti che soddisfino l’intento di ricerca nel minor numero di passaggi possibile. Questo lascia ipotizzare che il sistema possa interpretare il modo in cui gli utenti interagiscono con i risultati per affinare la qualità della ricerca, garantendo che le risposte più utili ottengano una maggiore visibilità nel tempo.
Un altro aspetto interessante è quello del NavBoost, citato durante le discussioni avanzate sulla SEO e emerso in alcune fasi dello scontro antitrust tra Google e il Dipartimento di Giustizia USA. Secondo alcuni esperti, questo sistema potrebbe aiutare il motore di ricerca a raffinare la SERP sulla base delle scelte aggregate degli utenti, senza che i singoli clic alterino direttamente il ranking. Anche in questo caso, non si tratta di una conferma ufficiale sul funzionamento dell’algoritmo, ma di un’osservazione basata sulle evoluzioni periodiche della SERP e dei risultati che sembrano adattarsi a dinamiche di ricerca ripetute.
La vera sfida per chi lavora sulla SEO è comprendere il rapporto tra questi fattori senza dare nulla per scontato. Google continua a negare l’uso di alcuni parametri diretti, ma al tempo stesso introduce strumenti e aggiornamenti che sembrano rispondere in modo sempre più raffinato ai pattern di navigazione degli utenti. Analizzare come si evolvono le query nel tempo e quali risultati tendono a emergere in base ai comportamenti collettivi è uno degli aspetti centrali per chi vuole ottimizzare la propria presenza nella SERP in modo efficace.
Strategie di content marketing basate sul search journey
Creare contenuti efficaci significa andare oltre la singola pagina ottimizzata e costruire un ecosistema di informazioni che risponda in modo progressivo alle esigenze dell’utente. Ogni fase del search journey richiede un approccio differente, dalla produzione di contenuti più informativi per l’inizio del percorso, fino a materiali di approfondimento per chi è pronto a prendere una decisione.
L’integrazione di contenuti correlati e percorsi guidati all’interno del sito aiuta a mantenere l’utente coinvolto, limitando il rischio che abbandoni la pagina per proseguire la ricerca altrove. Strutturare topic cluster che coprano ogni fase della ricerca non solo migliora l’esperienza dell’utente, ma rafforza anche la rilevanza tematica agli occhi di Google.
Un’altra strategia efficace consiste nello studiare il comportamento degli utenti attraverso dati di navigazione e query successive. Comprendere quali domande emergono dopo una prima ricerca permette di anticipare le esigenze informative e offrire contenuti che guidino naturalmente l’utente verso il prossimo step del journey.
Le fasi del search journey e il comportamento degli utenti
Il percorso di ricerca di un utente non è mai del tutto prevedibile, ma segue dinamiche ricorrenti che ne definiscono gli schemi di comportamento. La progressione non è lineare: può comprendere interruzioni, ritorni su ricerche precedenti, cambi di intento o affinamenti progressivi della query iniziale. Tuttavia, è possibile individuare tre macro-fasi principali che caratterizzano il search journey, ricalcando il modello del funnel: la fase di awareness, in cui l’utente prende coscienza di un’esigenza e cerca informazioni, la fase di consideration, in cui raffina la ricerca e confronta soluzioni, e la fase di decision, in cui è pronto a un’azione definitiva.
La transizione da una fase all’altra dipende da molteplici fattori, tra cui la qualità dei contenuti trovati, la facilità di reperire informazioni pertinenti e il livello di fiducia che il sito riesce a trasmettere. Google, nel suo ruolo di intermediario, cerca di facilitare questo passaggio mostrando risultati sempre più mirati man mano che l’utente prosegue nel suo percorso, per guidarlo progressivamente fino alla fase di decisione.
- Awareness – Dalla nascita di un bisogno alla prima ricerca
Il search journey ha spesso inizio in un momento in cui l’utente è consapevole di un’esigenza, ma non ha ancora chiaro come soddisfarla. Questa prima fase è caratterizzata da ricerche esplorative, in cui il bisogno è espresso in modo generico e la query è formulata per raccogliere un panorama di informazioni preliminari. Non sempre chi inizia una ricerca in questa fase sa esattamente cosa sta cercando: l’obiettivo è comprendere il contesto del problema e individuare idee o soluzioni possibili.
Le ricerche in questa fase tendono a essere formulate con parole chiave più generiche e interrogative. L’utente potrebbe digitare domande aperte, come “come funziona”, “quali sono le opzioni”, oppure concentrarsi su argomenti di carattere introduttivo. Questo tipo di query indica un intento puramente informativo e Google risponde restituendo risultati che coprono ampiamente il tema. I contenuti più utili in questa fase sono quelli in grado di dare una panoramica chiara e strutturata senza puntare direttamente alla conversione. Articoli di approfondimento, guide introduttive e blog post ben ottimizzati sono più efficaci rispetto a pagine di prodotto o a contenuti troppo specifici.
Nel momento in cui un utente si affaccia per la prima volta su un argomento, deve poter facilmente accedere a materiali che gli offrano risposte affidabili e strutturate. Google valuta la qualità dei contenuti sulla base di parametri come la pertinenza della risposta rispetto alla query e l’autorevolezza della fonte. Se un contenuto riesce a rispondere in modo chiaro e completo alla prima ricerca dell’utente, aumenta la probabilità che venga ricontattato nelle fasi successive della sua esplorazione. Creare pagine ben referenziate, con fonti affidabili e un’organizzazione logica delle informazioni, consente di posizionarsi come punto di riferimento nel search journey del pubblico di riferimento.
- Consideration – Comparazione e approfondimento della ricerca
Dopo aver acquisito una conoscenza di base, l’utente entra nella fase in cui approfondisce e confronta soluzioni diverse. A differenza della fase di awareness, qui non c’è solo la volontà di informarsi, ma inizia a prendere forma una valutazione concreta delle opzioni disponibili.
Una caratteristica distintiva di questa fase è la modifica progressiva della query iniziale. Dopo aver visionato i primi risultati, l’utente diventa più consapevole dei termini corretti da usare e orienta la propria ricerca verso aspetti più specifici. Se nella fase di awareness la ricerca poteva essere “migliori strategie di content marketing”, ora potrebbe trasformarsi in “content marketing per e-commerce” o “come migliorare la lead generation con i contenuti”.
Google recepisce questi affinamenti e modella la SERP per fornire risposte più focalizzate, spesso introducendo risultati con un’intenzione più commerciale o comparativa. I siti che offrono contenuti ben organizzati e correlati tra loro riescono a trattenere più a lungo l’utente all’interno dello stesso ecosistema informativo, evitando che torni in SERP alla ricerca di altre fonti.
In questa fase, la qualità dell’esperienza utente e la percezione di affidabilità diventano determinanti. Dopo aver individuato alcune alternative, l’utente tende a soffermarsi su quelle che offrono un packaging informativo più chiaro e accessibile. Contenuti ben strutturati, con approfondimenti interni e collegamenti a risorse complementari, aumentano la probabilità che l’utente resti su un sito piuttosto che tornare in SERP. Anche elementi come testimonianze, casi studio e valutazioni di altri utenti possono rafforzare la percezione di autorevolezza e incentivare una maggiore esplorazione del sito.
- Decision – L’ultima ricerca prima dell’azione
L’ultima fase del search journey è quella in cui l’utente, dopo aver analizzato informazioni e alternative, è pronto a prendere una decisione finale. Qui la ricerca assume un carattere estremamente specifico: l’utente sa già cosa sta cercando e punta a una risposta definitiva o a un’azione concreta, come l’acquisto, il contatto con un fornitore o la richiesta di un preventivo.
A questo punto, oltre alla qualità dei contenuti, entrano in gioco fattori legati alla user experience. Se un utente atterra su una pagina che impiega troppo tempo a caricarsi, presenta informazioni poco chiare o un processo di conversione macchinoso, può facilmente cambiare idea e tornare su un risultato precedente.
Affinché un sito abbia successo in questa fase del search journey, deve garantire non solo contenuti informativi ben costruiti, ma anche un’interfaccia intuitiva, una navigazione fluida e un chiaro percorso d’azione. Elementi come call to action ben posizionate, moduli semplici da compilare o pagine prodotto esaustive possono fare la differenza tra una conversione e un abbandono.
Quando un utente è vicino alla decisione finale, piccoli dettagli possono influenzarne la scelta. La presenza di recensioni positive, un supporto clienti facilmente accessibile o offerte esclusive sono elementi che possono spingere l’utente a compiere il passo finale. Anche il retargeting gioca un ruolo chiave in questa fase. Google tiene traccia delle ricerche recenti e le informazioni sulle interazioni possono essere usate per mostrare contenuti personalizzati o annunci mirati. Un’azienda che riesce a mantenere un presidio costante lungo tutto il search journey ha maggiori possibilità di ottenere la conversione rispetto a chi focalizza i propri sforzi solo sulla fase finale.
Cosa ha rivelato il Google Leak 2024 sul search journey?
Nel maggio 2024, la diffusione accidentale di documenti interni di Google ha confermato molte ipotesi che da anni circolavano nella comunità SEO. Fino a quel momento, le informazioni ufficiali rilasciate dal motore di ricerca avevano sempre mantenuto un certo grado di ambiguità su alcuni aspetti chiave del ranking, ma il Google leak ha rivelato dettagli concreti sull’utilizzo dei dati di navigazione e sul ruolo che il search journey gioca nel posizionamento delle pagine nella SERP.
Uno degli aspetti più interessanti emersi da questi documenti riguarda il modo in cui Google modella i risultati di ricerca in base al comportamento degli utenti nel tempo. Il search journey non viene valutato solo come una sequenza di query indipendenti, ma come un sistema interconnesso in cui ogni ricerca influenza quelle successive. Il motore di ricerca analizza i clic, la permanenza sulle pagine e le modifiche nei termini di ricerca per affinare continuamente le risposte fornite a un utente specifico.
Queste informazioni hanno implicazioni dirette sulle strategie SEO, in quanto confermano che non basta creare contenuti ottimizzati per una singola query: è necessario costruire ecosistemi informativi in grado di intercettare e accompagnare gli utenti lungo tutto il loro percorso di ricerca.
Gli elementi del search journey confermati dal Google Leak
Uno degli aspetti più discussi emersi dal Google Leak 2024 riguarda il modo in cui il motore di ricerca potrebbe interpretare il comportamento degli utenti. Tra i documenti trapelati, è presente un riferimento ai “short clicks” e “long clicks“, indicando che Google distingue tra interazioni che suggeriscono soddisfazione e altre che potrebbero indicare la necessità di affinare i risultati.
Secondo quanto riportato nel materiale diffuso, il sistema utilizza attributi come “goodClicks” e “badClicks” per categorizzare le interazioni con i risultati di ricerca. Questo suggerisce che, pur non essendoci conferme esplicite sul loro impatto diretto nel ranking, tali dati siano utilizzati almeno in fase di analisi per valutare la capacità di una pagina di rispondere effettivamente all’intento di ricerca dell’utente.
Parallelamente, le correlazioni tra query successive sono state confermate come un elemento chiave nella logica del ranking. I documenti trapelati indicano che il sistema tiene traccia delle progressioni di ricerca, riconoscendo quando un’utenza significativa modifica una query per ottenere informazioni più specifiche. Se un numero elevato di utenti raffina una ricerca iniziale con una variazione più dettagliata, Google potrebbe interpretare questa tendenza come un segnale di intenzione implicita, adattando i risultati per anticipare le esigenze informative ed evitare che l’utente debba ripetere manualmente il processo di affinamento.
Queste informazioni rafforzano l’idea che Google non valuta più le query come eventi indipendenti, ma cerca di costruire un modello predittivo dei percorsi di ricerca, migliorando la pertinenza dei risultati in base alle dinamiche osservate su larga scala. Tuttavia, il modo in cui questi elementi si traducono concretamente nel sistema di ranking rimane una questione aperta, poiché non è stato chiarito fino a che punto queste metriche influenzino l’ordinamento della SERP in modo deterministico.
Quali aspetti delle strategie SEO devono essere aggiornati alla luce di queste rivelazioni
Le informazioni emerse dal Google Leak impongono una riflessione sulle strategie SEO tradizionali e su quali aspetti debbano essere aggiornati per restare competitivi. Se in passato era sufficiente concentrarsi sulla corrispondenza tra la query e il contenuto di una pagina, oggi diventa prioritario progettare un’esperienza di ricerca continuativa, in grado di trattenere l’utente e favorire il suo percorso di approfondimento.
Un primo elemento da considerare è la qualità dell’interazione con il contenuto. Google utilizza metriche avanzate per valutare il livello di coinvolgimento dell’utente, pertanto l’ottimizzazione on-page non può più limitarsi a soddisfare una query singola, ma deve stimolare l’interesse e incentivare una navigazione più approfondita. Collegamenti interni ben strutturati, sezioni di approfondimento e contenuti correlati possono aiutare a prolungare la sessione di visita e ridurre il rischio di pogo sticking.
Un altro aspetto cruciale è la necessità di presidiare non solo le ricerche dirette al proprio settore, ma anche quelle che potrebbero rappresentare step successivi del search journey. Creare contenuti che rispondano a diverse sfaccettature della stessa esigenza permette di intercettare l’utente in più momenti del suo percorso, aumentando le probabilità di conversione.
Infine, alla luce delle informazioni sui segnali comportamentali, diventa essenziale monitorare il modo in cui gli utenti interagiscono con il proprio sito. Strumenti di analisi come Google Search Console e piattaforme di heatmap permettono di identificare punti critici che potrebbero portare alla perdita di traffico. Ottenere un buon posizionamento è importante, ma senza un’adeguata ottimizzazione dell’esperienza utente, i segnali negativi raccolti da Google potrebbero comprometterne la stabilità nel tempo.
Applicare il search journey alla SEO: strategie e tool utili
Comprendere il search journey non basta se non si traduce questa conoscenza in un’applicazione concreta all’interno della propria strategia SEO. Ogni ricerca effettuata dagli utenti contribuisce a costruire un percorso fatto di domande, confronti e decisioni, e il ruolo di chi si occupa di ottimizzazione dei contenuti è quello di intercettare questi momenti con risposte pertinenti e ben strutturate.
A livello pratico, questo significa andare oltre l’approccio basato sulle singole keyword e sviluppare una strategia di contenuti pensata per rispondere alle esigenze dell’utente in ogni fase del suo viaggio di ricerca. Strutturare materiali che coprano diverse angolazioni di uno stesso argomento, collegare tra loro contenuti complementari e analizzare costantemente il comportamento degli utenti sono tre elementi centrali per un’implementazione efficace.
In questo contesto, i tool di analisi SEO svolgono un ruolo essenziale, permettendo di individuare i punti di ingresso degli utenti sul sito, studiare le correlazioni tra le ricerche e ottimizzare i contenuti sulla base delle reali esigenze informative.
Strutturare i contenuti in base al journey dell’utente
Per sfruttare al meglio il search journey, la strategia SEO deve prevedere la creazione di contenuti capaci di anticipare le ricerche future dell’utente e di guidarlo attraverso il percorso di approfondimento. Le query non vanno più considerate come istanze isolate, ma come tappe di un processo più ampio, in cui ogni fase ha una sua funzione specifica.
Un approccio efficace consiste nel costruire ecosistemi informativi, in cui ogni contenuto si collega ad altri materiali complementari, coprendo tutte le possibili esigenze dell’utente. Creare un topic cluster ben strutturato, per esempio, consente di segmentare le informazioni in più livelli: da contenuti più generali, utili nella fase di awareness, fino a risorse più specifiche per chi si trova nella fase di decision. In questo modo, non solo si migliora la visibilità sui motori di ricerca, ma si aumenta anche la probabilità che l’utente resti all’interno del sito anziché tornare in SERP per continuare la ricerca altrove.
All’interno del contenuto stesso, è utile inserire percorsi di approfondimento guidati, con link interni ben posizionati e rimandi a materiali correlati. Un lettore soddisfatto della prima risposta sarà più propenso a seguire il flusso di informazioni proposto e a interagire con più pagine dello stesso dominio, inviando a Google segnali positivi sulla qualità dell’esperienza di navigazione.
Infine, la struttura dei contenuti deve agevolare anche il modo in cui Google interpreta le successive query dell’utente. Se, dopo una prima visita, un utente modifica leggermente la ricerca e Google gli propone nuovamente lo stesso sito tra i risultati, significa che il contenuto è stato riconosciuto come rilevante rispetto al suo percorso informativo. Questo rafforza l’autorevolezza del sito agli occhi del motore di ricerca e aumenta le probabilità di un miglior posizionamento nel lungo periodo.
Strumenti utili per analizzare il search journey e ottimizzare la strategia
Disporre di un piano strategico ben strutturato è indispensabile, ma per ottimizzarlo in modo efficace serve il supporto di tool avanzati in grado di monitorare i reali comportamenti degli utenti e i pattern di ricerca nel tempo. SEOZoom, ad esempio, offre strumenti potenti per l’analisi delle keyword e delle query emergenti, aiutando a comprendere quali argomenti stanno sviluppando una maggiore domanda informativa e come gli utenti modificano le loro ricerche lungo il search journey.
Attraverso l’uso delle funzionalità di analisi semantica e dello studio delle correlazioni tra keyword, è possibile individuare percorsi di ricerca ricorrenti e anticipare le esigenze del pubblico con contenuti mirati. Questo consente non solo di migliorare il ranking sulle query più competitive, ma anche di attrarre traffico su ricerche più specifiche e meno presidiate dai competitor. Anche l’analisi dell’intento di ricerca svolge un ruolo essenziale, permettendo di classificare le query in base alla loro funzione nel search journey: anche se “semplice” e orientativa, la segmentazione delle keyword tra intento informativo, navigazionale e transazionale consente di strutturare con maggiore precisione le pagine del sito, allineandole alla fase esatta in cui si trovano gli utenti.
Google Search Console offre invece dati preziosi sul modo in cui gli utenti trovano il sito, mostrando quali query hanno generato impression e clic e quali pagine stanno intercettando maggiormente i bisogni informativi dell’audience. Analizzare questi dati aiuta a comprendere se vi siano punti critici nel search journey, come ad esempio pagine che attirano traffico ma che non trattengono a lungo i visitatori, segnalando la necessità di una revisione dei contenuti o dell’esperienza utente.
Combinando questi strumenti con una strategia editoriale coerente, è possibile creare contenuti che non solo si posizionano bene in SERP, ma che rispondono in modo progressivo alle domande del pubblico, guidandolo in ogni tappa del suo percorso di ricerca.
Search journey: le FAQ e i principali dubbi
Il search journey è un concetto che ha rivoluzionato il modo in cui interpretiamo la ricerca online, la SEO e le strategie di content marketing. Comprendere come e perché gli utenti affinano le proprie ricerche, modificano le query e navigano tra i risultati aiuta non solo ad adattare i contenuti alle loro esigenze, ma anche a migliorare la visibilità sui motori di ricerca.
Le informazioni emerse nel tempo e i dati analizzati dagli strumenti SEO permettono di fare ipotesi sempre più precise su come Google organizza la SERP, anche se il funzionamento esatto del ranking rimane un tema complesso e in continua evoluzione. Ciò che è certo è che i siti capaci di rispondere efficacemente alle diverse esigenze dell’utente lungo tutto il search journey hanno un vantaggio competitivo: un contenuto contestualizzato e utile non solo migliora il posizionamento, ma crea anche un’esperienza più soddisfacente per il lettore.
Per chiarire ulteriormente questi concetti e approfondire aspetti pratici legati alla SEO e all’ottimizzazione dei contenuti, di seguito le risposte alle domande più frequenti sul search journey.
- Che cos’è il search journey?
Il search journey è il percorso che un utente compie quando utilizza un motore di ricerca per trovare informazioni, risolvere un problema o prendere una decisione. Questo processo non è quasi mai lineare: un utente può iniziare con una ricerca generica, affinare progressivamente le query in base ai risultati trovati, modificare l’intento e infine arrivare alla risposta definitiva.
Google analizza questo comportamento e adatta la SERP in base ai segnali di navigazione dell’utente. Per chi si occupa di SEO, comprendere il search journey significa ottimizzare i contenuti affinché accompagnino l’utente lungo tutto il suo percorso di ricerca, migliorando la probabilità di intercettarlo in più momenti e aumentare la visibilità del sito.
- Qual è la differenza tra search journey e customer journey?
Il search journey descrive il processo di ricerca all’interno del motore di ricerca, mentre il customer journey rappresenta l’intero percorso di un utente nel rapporto con un brand, dall’esplorazione iniziale all’acquisto e al post-vendita. Il primo è focalizzato sulle dinamiche di ricerca delle informazioni, il secondo sulla relazione tra un’azienda e il cliente. Nel marketing digitale, entrambi i concetti sono fondamentali per strutturare strategie efficaci e ottimizzare la comunicazione in base alle esigenze dell’utente in ogni fase della sua esperienza.
- Quanto è determinante il search journey per il posizionamento su Google?
Il search journey è un elemento chiave per la SEO, perché Google non valuta più i contenuti singolarmente, ma all’interno del percorso di ricerca dell’utente. Se una pagina riesce a intercettare un utente in più fasi del search journey e lo trattiene offrendogli risposte pertinenti, aumenta la probabilità di migliorare il suo posizionamento in SERP. La permanenza sulla pagina, la navigazione tra contenuti correlati e la tipologia di interazione sono tutti segnali valutati dal motore di ricerca per determinare la rilevanza di un risultato.
- Cosa significa evitare il “pogo sticking” e come si può ridurre?
Il pogo sticking si verifica quando un utente clicca su un risultato in SERP, ma torna immediatamente alla pagina dei risultati perché il contenuto non è utile o non risponde alle sue aspettative. Questo comportamento è negativo per la SEO, perché segnala a Google che la pagina potrebbe non essere rilevante. Per ridurre il pogo sticking, è essenziale che il contenuto sia allineato all’intento di ricerca, che l’informazione principale sia accessibile già nelle prime righe e che la pagina offra un’esperienza chiara e intuitiva. Call to action chiare, una struttura fluida e collegamenti interni strategici possono contribuire a trattenere l’utente più a lungo.
- In che modo Google utilizza i dati di navigazione nell’assegnazione del ranking?
Le informazioni emerse dal Google Leak 2024 hanno confermato che Google utilizza dati di navigazione per valutare la qualità di un risultato. Elementi come click, tempo di permanenza, numero di pagine visitate e approfondimenti successivi aiutano l’algoritmo a comprendere se un contenuto è realmente utile per gli utenti. Se l’interazione con un sito è positiva e porta a una progressione nel search journey, la pagina guadagna maggior rilevanza. Di conseguenza, l’ottimizzazione SEO non deve focalizzarsi solo sulla singola query, ma sulla capacità di un sito di accompagnare l’utente in tutto il suo percorso di ricerca.
- Esistono strumenti specifici per tracciare il percorso di ricerca degli utenti?
Sì, diversi strumenti permettono di analizzare il search journey e ottimizzare i contenuti di conseguenza. Google Search Console offre dati sulle query che portano traffico a un sito, mentre SEOZoom consente di analizzare l’intento di ricerca e individuare le correlazioni tra keyword. Google Analytics aiuta a comprendere il comportamento degli utenti all’interno del sito, identificando le pagine che trattengono più a lungo i visitatori oppure evidenziando punti critici di abbandono. Strumenti di analisi semantica e di clustering delle keyword supportano la pianificazione di strategie SEO basate sulle reali esigenze informative del pubblico.
- Come posso adattare i miei contenuti alle diverse fasi del search journey?
È necessario differenziare la strategia di contenuti in base alla fase in cui si trova l’utente. All’inizio del journey, sono fondamentali contenuti informativi come articoli di approfondimento e guide introduttive. Nella fase di comparazione, occorrono materiali più dettagliati, come case study e confronti strutturati, mentre nella fase finale sono più efficaci recensioni, testimonianze e contenuti ottimizzati per la conversione. Creare un ecosistema informativo, con contenuti interconnessi e percorsi guidati, aumenta le probabilità di intercettare l’utente più volte lungo il suo processo decisionale.
- Quali contenuti funzionano meglio per rispondere alle ricerche in evoluzione?
I contenuti più efficaci sono quelli aggiornabili e scalabili, capaci di adattarsi alle evoluzioni del search journey. Articoli-cornice che approfondiscono un argomento in modo flessibile, guide pratiche sempre aggiornabili e contenuti multimediali (come video e infografiche) offrono una maggiore longevità e possono intercettare un pubblico più ampio. Anche la struttura delle pagine è importante: inserire domande frequenti, sezioni dinamiche e riferimenti a fonti aggiornate migliora la capacità di un contenuto di rispondere a ricerche in continua trasformazione.
- I search journey variano in base al settore o sono simili per tutti i tipi di business?
Pur esistendo dinamiche comuni, ogni settore ha caratteristiche uniche che influenzano il search journey. Le ricerche nel settore B2B, ad esempio, tendono a richiedere cicli di decisione più lunghi, mentre nel settore retail le scelte possono avvenire in tempi brevi. Anche il tipo di prodotto o servizio influisce: settori come la salute o la finanza presentano search journey più complessi, con una maggiore necessità di contenuti di fiducia e autorevolezza delle fonti. Comprendere queste differenze aiuta a ottimizzare i siti in modo più mirato, calibrando contenuti e strategie SEO in base alle specificità del settore.