Remarketing e retargeting: definizioni, differenze e strategie
Alzi la mano chi non si è mai sentito “inseguito” da un annuncio online o da una promozione vista di sfuggita su un sito, che poi sembra riapparire ovunque. Non è un caso, ma il risultato di due strategie distinte e spesso confuse tra loro, ovvero remarketing e retargeting, che riscrivono le regole del coinvolgimento digitale e offrono ai brand una seconda – e in alcuni casi decisiva – possibilità di riconquistare l’attenzione degli utenti più interessati. Secondo vari studi, infatti, solo il 2% dei visitatori di un sito web converte durante la prima visita e 97% dei visitatori di siti e-commerce “sfoglia”, naviga per interesse ma non completa immediatamente la transazione – e spesso semplicemente se ne va, dimenticandosi del marchio che aveva appena scoperto. La vera forza di queste tecniche risiede nella loro capacità di lavorare in modo mirato ed efficace, riproponendo annunci personalizzati o messaggi diretti a chi ha mostrato interesse, ma non ha concluso l’azione desiderata, basandosi su dati documentati e comportamenti tracciabili. In questo articolo approfondiremo cosa sono remarketing e retargeting, e poi in cosa queste strategie si somigliano, cosa le differenzia e come possono essere combinate per costruire una macchina di marketing digitale realmente efficace, con l’obiettivo di recuperare utenti, ma soprattutto creare esperienze che li convincano a tornare, interagire e, infine, diventare clienti fedeli.
Che cos’è il remarketing
Il remarketing è una strategia digitale che punta a riconnettersi con gli utenti che hanno già interagito con un brand, ad esempio visitando un sito web, registrandosi a una newsletter o effettuando un acquisto parziale, senza però completare l’azione desiderata, come un acquisto o una registrazione definitiva.
A differenza di altre tecniche pubblicitarie generali, il remarketing si basa principalmente su dati proprietari già raccolti dal brand, come indirizzi email, account registrati o storici di acquisti precedenti: queste informazioni consentono di creare messaggi altamente personalizzati per riproporre offerte o contenuti rilevanti.
Utilizzando software di automazione marketing o CRM è possibile inviare comunicazioni dirette come email, SMS o notifiche personalizzate, progettate per riattivare l’interesse degli utenti. Ad esempio, nel caso di un carrello abbandonato il remarketing può proporre un’email per ricordare all’utente di tornare a completare il suo acquisto, magari aggiungendo un incentivo esclusivo che aiuta a rafforzare la relazione con i clienti già noti al brand e ad aumentare la probabilità di conversione.
L’obiettivo principale del remarketing è creare un contatto mirato e pertinente, portando l’utente a completare azioni che aveva inizialmente lasciato in sospeso.
Significato di remarketing: di cosa parliamo esattamente
Il termine remarketing si riferisce all’azione di “riattivare” (re + marketing) il coinvolgimento di utenti che hanno già avuto un’interazione con un brand attraverso strategie di comunicazione personalizzate, come email o SMS, il remarketing punta a rafforzare il contatto con il pubblico esistente e a stimolare un’azione concreta, come completare un acquisto o esplorare un’offerta. Il nome sottolinea la volontà di reiterare attività di marketing mirate su un pubblico che ha già mostrato interesse, valorizzandone il potenziale.
Il remarketing offre la possibilità, unica nel suo genere, di trasformare una visita “casuale” o un’azione incompleta in un’occasione di conversione. Come detto, infatti, si basa proprio sulla possibilità di riprendere il contatto con persone che hanno già dimostrato una certa familiarità con il brand, attuando una serie di attività di marketing per rivolgersi a utenti che hanno già visitato il sito, interagito con la piattaforma aziendale o manifestato interesse per prodotti o servizi.
L’elemento distintivo del remarketing è la sua capacità di personalizzare i messaggi sulla base delle azioni precedentemente compiute dai visitatori, in modo da “riattivarli”: ad esempio, se un utente ha navigato su una specifica pagina prodotto o ha aggiunto articoli al carrello senza completare l’acquisto, questa tecnica consente di proporre annunci o comunicazioni specifiche, magari suggerendo i prodotti visualizzati o offrendo incentivi come sconti o spedizioni gratuite.
Il punto cruciale è che il remarketing si basa appunto su un rapporto già esistente, anche se iniziale, tra l’utente e il brand. Per questo motivo, è considerato uno strumento altamente efficace per incrementare le conversioni: il pubblico è già “caldo”, ossia ha dimostrato un interesse reale, anche se non ancora finalizzato.
Rispetto ad altre forme di promozione, il remarketing si concentra sulla costruzione o il rafforzamento di una relazione, rendendolo ideale per l’ingaggio a lungo termine e la fidelizzazione. A questo contribuisce la possibilità di personalizzazione, perché tutto il processo si poggia su dati precisi raccolti durante le precedenti visite o interazioni degli utenti, permettendo ai marketer di proporre messaggi contestuali e pertinenti.
Da questa prospettiva, il remarketing si configura come una strategia particolarmente efficace per stimolare ciò che chiamiamo “seconda opportunità”: il momento in cui un consumatore potenziale riprende in mano l’acquisto o approfondisce un’interazione, grazie a una comunicazione mirata che lo riconduce al brand. Inoltre, l’integrazione efficace del modello di archetipo di Jung nella costruzione della comunicazione per le campagne di remarketing consente al brand di trasmettere messaggi coerenti con la propria personalità, facilitando il coinvolgimento del pubblico attraverso valori e narrazioni riconoscibili.
Come funziona il remarketing
Il remarketing si basa sull’analisi e sulla riattivazione degli utenti che hanno già avuto un’interazione precedente con il brand, puntando su tecnologie come database di contatti, software CRM e piattaforme di marketing automation, e opera principalmente attraverso i dati preesistenti del brand, come ad esempio l’adesione a una newsletter, la creazione di un account, un acquisto passato o altre forme di registrazione da parte degli utenti.
Utilizzando queste informazioni è possibile inviare comunicazioni altamente personalizzate, come email promozionali, notifiche o messaggi automatizzati, per riproporre offerte o incentivare un’azione abbandonata. Ad esempio, può essere utilizzato per ricordare agli utenti prodotti lasciati in un carrello virtuale, proporre sconti esclusivi o evidenziare articoli correlati a un precedente acquisto.
Questa strategia si integra con strumenti di automazione come HubSpot, Mailchimp o ActiveCampaign, che permettono di gestire campagne su larga scala in modo sofisticato, monitorando gli stati del funnel di marketing degli utenti e attivando anche messaggi automatici basati su trigger specifici: ad esempio, un’email che invita al completo del carrello potrebbe essere seguita da un secondo messaggio con un incentivo, nel caso in cui l’utente non completi ancora l’acquisto.
Un elemento cruciale per il successo del remarketing è la personalizzazione su misura, che aumenta il coinvolgimento grazie alla pertinenza del messaggio rispetto al comportamento precedente dell’utente. Ogni interazione successiva alimenta un ciclo continuo di miglioramento: un utente che clicca su un’email può essere analizzato per comprendere se ha eseguito ulteriori azioni, come visitare nuove pagine prodotto o abbandonare nuovamente l’acquisto.
Oltre all’uso di dati preesistenti, il rispetto della privacy degli utenti è un aspetto centrale delle campagne di remarketing: i dati raccolti devono essere conformi alle normative vigenti, come il GDPR, che richiede il consenso esplicito dell’utente per la gestione e l’utilizzo delle sue informazioni personali.
A cosa serve il remarketing e quali vantaggi offre
Perché le aziende dedicano tanto tempo ed energia al remarketing? Perché la sua capacità di riportare i potenziali clienti verso il brand rappresenta un’opportunità unica in termini di ROI e fidelizzazione, trasformando un semplice interesse in una vera e propria conversione.
In pratica, serve a massimizzare i risultati delle interazioni già generate attraverso strategie promozionali, evitando di lasciare che gli investimenti fatti per attirare utenti sul sito vadano persi.
In breve, i suoi principali vantaggi sono:
- Aumento delle conversioni: il remarketing consente di ricontattare un pubblico che ha già mostrato interesse per il prodotto o servizio, aumentando significativamente le probabilità di portarlo a completare l’azione desiderata. In particolare, è efficace quando si tratta di recuperare i carrelli abbandonati: statisticamente, circa il 70% dei visitatori abbandona un e-commerce prima di completare la transazione. Una campagna di remarketing, ad esempio tramite un’email tempestiva con un’offerta di spedizione gratuita o uno sconto, può incrementare significativamente il tasso di completamento dell’acquisto.
- Miglioramento del ROI: la personalizzazione dei messaggi e il targeting mirato garantiscono una comunicazione più efficiente, che riduce il costo per acquisizione e aumenta il tasso di successo delle campagne rispetto a strategie pubblicitarie generiche. Questo permette alle campagne di remarketing di ottenere un miglior ritorno sull’investimento rispetto ad altre strategie di advertising più generiche.
- Incremento dei lead: queste tecniche supportano anche le attività di lead generation, ovvero il percorso mirato alla cattura dei contatti utili per ampliare il database del brand. Attraverso campagne personalizzate è infatti possibile trasformare un visitatore occasionale in un lead qualificato, pronto per essere coinvolto in ulteriori attività di nurturing.
- Fidelizzazione del cliente: il remarketing fa molto più che limitarsi a recuperare utenti per una conversione immediata, perché promuove anche azioni di upselling e cross-selling che creano un percorso che spinge i clienti a tornare e a considerare il brand come una scelta frequente. Sfruttando messaggi personalizzati, offerte esclusive o promozioni mirate, il remarketing diventa una leva della brand loyalty e punta a stabilire una connessione duratura e a lungo termine con il consumatore, stimolando ulteriori acquisti e rafforzando il legame con il brand.
- Promemoria strategico: gli utenti, spesso sopraffatti da una quantità enorme di informazioni, possono dimenticare un prodotto o un servizio che avevano individuato. Il remarketing aiuta a mantenere il brand nella “lista mentale” dell’utente.
Come si fa remarketing: le strategie comuni
Il remarketing si presta a una varietà di approcci che possono essere applicati a seconda dell’obiettivo di marketing e della fase del funnel in cui si trova l’utente.
Queste sono alcune delle strategie più comuni:
- Recupero carrelli abbandonati: come già detto, questa è forse la strategia più conosciuta. Consiste nell’inviare un’email o mostrare un annuncio a chi ha aggiunto uno o più prodotti al carrello senza procedere al pagamento. Per incentivare la conversione, è frequente proporre un codice sconto, promozioni a tempo o un’offerta di spedizione gratuita. La chiave qui è il tempismo: inviare il reminder entro poche ore dall’abbandono offre i risultati migliori.
- Upselling e cross-selling: tattiche di upselling (proporre versioni premium degli articoli cercati) e cross-selling (suggerire accessori o prodotti complementari) sono esempi pratici di come è possibile ottimizzare ulteriormente il percorso di acquisto. Ad esempio, se un utente ha comprato uno smartphone, una campagna cross-selling potrebbe suggerire una cover o degli auricolari.
- Persuasione: le campagne di remarketing possono essere ottimizzate applicando tecniche di neuromarketing, sfruttando leve cognitive e psicologiche, come la scarsità o l’urgenza, per incrementare l’efficacia persuasiva dei messaggi indirizzati agli utenti.
- Email remarketing e campagne DEM personalizzate: basate sulla cronologia degli acquisti o delle interazioni sul sito, le email possono proporre strategie come gli sconti per compleanno o le offerte esclusive per clienti registrati, che rafforzano il coinvolgimento e incentivare nuove azioni di acquisto.
- Promozioni temporanee: creare un senso di urgenza con offerte a tempo limitato può spingere gli utenti a tornare e finalizzare l’acquisto.
- Recupero di utenti inattivi: tramite campagne mirate, si può ricontattare chi non visita il sito da un periodo prolungato, magari offrendo sconti esclusivi per riattivare l’interesse.
- Remarketing post-vendita: dopo una conversione, il remarketing può essere utilizzato per fidelizzare ulteriormente i clienti, proponendo prodotti complementari o informazioni utili legate all’acquisto effettuato.
Che cos’è il retargeting
Ma passiamo all’altro concetto chiave da tenere a mente e sfruttare opportunamente.
Il retargeting è una strategia pubblicitaria digitale mirata a recuperare l’attenzione di utenti che hanno precedentemente visitato un sito web o interagito con un brand, senza però completare azioni rilevanti, come un acquisto o una registrazione. Pur condividendo l’obiettivo di coinvolgere nuovamente utenti precedenti, il retargeting si distingue dal remarketing per il suo focus operativo sui canali pubblicitari.
In altre parole, utilizza principalmente annunci pubblicitari, basati su strumenti di tracciamento come cookie e pixel, per riproporre agli utenti contenuti pertinenti durante la loro navigazione su altre piattaforme, come social media o siti terzi. Il retargeting si esplica quindi attraverso piattaforme come Google Ads o Facebook Ads, mostrando annunci display, video o dinamici agli utenti, invece di utilizzare comunicazioni dirette come email o SMS.
Il punto di forza principale del retargeting non è solo riportare al centro l’attenzione sul prodotto o servizio visto dall’utente, ma anche farlo in maniera coerente e personalizzata, utilizzando annunci visualizzati nei momenti e nei contesti più strategici per favorire la conversione.
Significato e definizione di retargeting: di cosa parliamo in concreto
Il retargeting è un insieme di tecniche digitali che puntano a mostrare annunci pubblicitari mirati agli utenti che hanno già avuto contatti con un brand, ma che non hanno ancora completato il percorso desiderato.
Il termine deriva quindi dall’idea di “puntare nuovamente” (re + targeting) un gruppo specifico di utenti che, pur avendo mostrato interesse, non hanno poi compiuto l’azione sperata.
Il suo funzionamento si basa sull’installazione di strumenti di tracciamento, come i cookie o i pixel, che monitorano il comportamento degli utenti su una specifica piattaforma digitale. Un esempio tipico potrebbe essere quello di un visitatore che esplora alcune pagine prodotto senza arrivare alla fase di checkout, per poi trovarsi “rastrellato” da annunci pertinenti durante la navigazione su Facebook o su siti della rete Display di Google.
A differenza del remarketing, che coinvolge spesso database di utenti già acquisiti (ad esempio iscritti a una mailing list), il retargeting non richiede necessariamente dati personali identificabili, poiché si concentra su azioni osservabili in rete. Proprio per questo si posiziona perfettamente come strategia basata sull’advertising mirato, fortemente legata ad analisi comportamentali. Inoltre, contribuisce anche alla brand awareness, mantenendo il marchio nella mente dei consumatori durante l’intero processo decisionale e superando il rischio di essere dimenticati in un mercato altamente competitivo.
Come funziona il retargeting e che tipologie ci sono
Parola d’ordine, tempismo: gli annunci devono essere mostrati quando il potenziale cliente è più predisposto a concludere l’azione. Questo, unito all’alto livello di precisione assicurato dall’individuazione delle esigenze specifiche espresse dall’utente in base alle sue interazioni precedenti, consente una comunicazione mirata che aumenta sia la probabilità di conversione sia la percezione positiva del brand, perché l’utente riceve contenuti che trova davvero rilevanti.
Come accennato, il funzionamento del retargeting ruota attorno alla capacità di tracciare le interazioni degli utenti e di trasformarle in input per campagne pubblicitarie mirate: una volta memorizzati i comportamenti degli utenti (ad esempio quali pagine hanno visitato o quanto tempo hanno trascorso a esplorare un prodotto), viene attivata una sequenza di annunci, che possono essere statici o dinamici.
Le tecnologie alla base del retargeting offrono infatti diverse modalità di implementazione, che permettono di personalizzare le campagne in base agli obiettivi aziendali e ai comportamenti monitorati. Le due principali tipologie di retargeting – statico e dinamico – si differenziano per il grado di personalizzazione degli annunci mostrati agli utenti.
- Retargeting statico
Il retargeting statico prevede la creazione di un gruppo fisso di annunci e il loro successivo collegamento a specifici segmenti di pubblico, definiti a partire da azioni precedenti. Questi annunci vengono configurati in anticipo e sono progettati per essere mostrati ogni volta che un utente rientra in un determinato segmento target. Il messaggio è quindi generico, senza grandi variabili: ad esempio, un brand potrebbe impostare una campagna per promuovere uno sconto del 10% su tutti gli articoli, riservandolo a chi ha visitato la pagina delle offerte senza completare alcun acquisto, senza adattarlo alle specifiche preferenze individuali.
Sebbene questa tipologia di retargeting sia meno flessibile rispetto a quella dinamica, è un punto di partenza solido per aziende che vogliono mantenere contenuti semplici e uniformi, soprattutto nelle campagne generali (lancio di sconti su un’intera collezione, una comunicazione incentrata sul brand o offerte generali) dove offrire un messaggio coerente al gruppo target è l’obiettivo primario.
Tuttavia, il retargeting statico presenta alcuni limiti: la mancanza di personalizzazione può rendere meno efficaci gli annunci, soprattutto nel caso di utenti in cerca di risposte specifiche ai propri bisogni.
- Retargeting dinamico
Il retargeting dinamico, invece, porta la personalizzazione a un livello avanzato. Grazie a tecnologie come l’intelligenza artificiale e il machine learning riesce a creare esperienze d’acquisto personalizzate, che guidano gli utenti attraverso il funnel di marketing, contribuendo a ridurre la distanza tra interesse iniziale e conversione effettiva. In concreto, consente di creare annunci che si “adattano” automaticamente ai comportamenti e agli interessi specifici di ciascun utente, mostrando loro annunci personalizzati che riflettono esattamente ciò che hanno cercato o visitato. Ad esempio, un utente che ha visualizzato un paio di scarpe su un sito di e-commerce potrebbe vedere un annuncio che mostra proprio quelle scarpe, accompagnato magari da ulteriori suggerimenti di articoli complementari o offerte speciali.
Questa capacità di adattamento rende il retargeting dinamico particolarmente efficace in settori caratterizzati da ampi cataloghi di prodotti, come moda, elettronica o viaggi, dove il processo decisionale è spesso frammentato tra diverse sessioni e punti di contatto – il “famoso” messy middle.
Perché il retargeting può trasformare l’interesse in acquisto
Il retargeting si distingue da altre strategie di marketing per la sua capacità di convertire un interesse latente in un’azione concreta, portando gli utenti da una semplice curiosità al completamento dell’acquisto o di altre azioni desiderate. Questa trasformazione avviene grazie a tre elementi principali: targeting preciso, personalizzazione dei messaggi e tempismo strategico.
Un primo vantaggio chiave è rappresentato dalla possibilità di rivolgersi a un pubblico “prequalificato”. Diversi studi dimostrano che gli utenti raramente finalizzano un acquisto alla prima visita, e quindi serve tenere alta l’attenzione successiva del consumatore, trasformando l’interesse iniziale in decisione concreta. Chi ha interagito con un sito web è già interessato ai prodotti o servizi, e il retargeting ricorda questa connessione, rafforzando la propensione a completare l’acquisto. Ovviamente, alla base ci deve essere la costruzione di una customer experience di valore, dove ogni interazione con il brand è personalizzata e pensata per rispecchiare le aspettative dell’utente, favorendo decisioni d’acquisto consapevoli e rapide.
Il secondo elemento è la personalizzazione: un messaggio mirato e pertinente risulta molto più efficace rispetto a un annuncio generico. Ad esempio, proporre un’offerta speciale o contenuti personalizzati basati sulle preferenze dell’utente può eliminare le barriere che impediscono la conversione, come il prezzo percepito o l’incertezza sulla qualità del prodotto. Per questo, una strategia efficace si fonda spesso su una solida infrastruttura di content marketing, che offre contenuti rilevanti per il pubblico target, da utilizzare come leva per rafforzare il valore percepito del brand e favorire il ritorno verso il sito.
Infine, il fattore tempo. Abbiamo già detto del tempismo – le campagne di retargeting ottengono i migliori risultati quando i messaggi vengono inviati nei momenti chiave del journey dell’utente, come poco dopo una visita al sito o durante la fase decisionale – ma c’è anche un altro aspetto da non sottovalutare. Se è vero che studi dimostrano che visualizzare più volte un annuncio aumenta la probabilità di acquisto, poiché il brand rimane nella mente del consumatore, creando una connessione visiva e mentale costante, bisogna però evitare l’effetto opposto, il fastidio e la sensazione di eccessiva invasività. Per questo serve studiare la frequenza degli annunci e trovare il corretto equilibrio per rendere il brand un punto di riferimento mentale per l’utente, anche in fase di confronto con competitor.
Detto in altre parole, gli utenti sono più inclini a interagire con un annuncio quando il ricordo del brand è ancora fresco – ad esempio, entro le prime 24-48 ore dall’interazione iniziale – ma è fondamentale bilanciare il numero delle esposizioni al messaggio per evitare di risultare eccessivamente insistenti e ridurre il rischio di ad fatigue, ovvero quella stanchezza verso un annuncio che può portare a una percezione negativa del brand.
Inoltre, il tempismo e la rilevanza degli annunci personalizzati supportano la riduzione delle “scuse” che spesso trattengono il cliente dal procedere, come il prezzo percepito elevato o l’incertezza sulla qualità del prodotto.
Remarketing e Retargeting: similitudini, differenze e come integrarli
E quindi abbiamo visto che cos’è il remarketing e cos’è il retargeting, spesso percepiti come due facce della stessa medaglia. Però, sebbene condividano molte caratteristiche, tra cui l’obiettivo comune di riconquistare l’attenzione degli utenti che hanno già interagito con il brand, ciascuna di queste strategie si distingue per metodo, strumenti e modalità di implementazione. Approfondire somiglianze e differenze non serve solo a dissipare la confusione terminologica attorno a questi concetti, ma permette ai professionisti di costruire strategie integrate e sinergiche, capaci di sfruttare al meglio entrambi gli approcci per raggiungere risultati concreti.
In cosa remarketing e retargeting sono simili
Il punto di incontro più significativo tra remarketing e retargeting è l’intento primario: entrambi mirano a convertire utenti che sono già parzialmente coinvolti nel customer journey e hanno già mostrato un certo interesse per il brand, incentivandoli a compiere l’azione desiderata, come un acquisto, una registrazione o un’interazione più profonda con il prodotto o servizio. A differenza delle campagne di marketing che cercano di attrarre un pubblico completamente nuovo, queste strategie si concentrano su un segmento specifico di utenti, che ha già attraversato uno o più touchpoint con il brand.
Un altro punto in comune è l’uso della personalizzazione. Entrambe le strategie fanno infatti leva su dati raccolti durante le interazioni precedenti per creare messaggi più pertinenti e coinvolgenti. Nel caso del remarketing, la personalizzazione può manifestarsi attraverso email che ricordano agli utenti i prodotti lasciati nel carrello o promozioni esclusive sui loro interessi; nel retargeting, la personalizzazione emerge attraverso annunci visuali che riflettono i prodotti o i servizi esplorati online. In entrambi i casi, l’obiettivo è ridurre la dispersione dell’interesse e incentivare un’azione mirata, migliorando così l’efficacia delle campagne.
Infine, sia il remarketing che il retargeting offrono un’importante opportunità di ottimizzare il ritorno sull’investimento: poiché si rivolgono a un pubblico già qualificato, è più probabile che queste strategie generino conversioni rispetto a campagne di advertising rivolte a utenti completamente nuovi. Questo approccio riduce il costo per acquisizione e offre una maggiore probabilità di successo, specialmente nei settori dove ogni visita al sito rappresenta un’opportunità preziosa.
Le differenze principali tra remarketing e retargeting
Chiariti gli elementi di contatto, ora ci concentriamo sugli aspetti che invece differiscono – ovvero, metodi di applicazione, strumenti utilizzati e momenti del journey in cui si rivelano più adatti.
La differenza più evidente tra le due strategie risiede nei canali di attivazione: il remarketing utilizza principalmente strumenti diretti, come email, comunicazioni push o messaggi automatizzati, rivolgendosi a utenti di cui il brand possiede già dati di contatto. Questo significa che si appoggia a database proprietari, costruiti tramite iscrizioni volontarie a newsletter, registrazioni su piattaforme o precedenti interazioni di acquisto. Ad esempio, un brand può decidere di inviare un’email di promemoria pochi giorni dopo un abbandono del carrello o proporre un’offerta speciale per fidelizzare clienti che non interagiscono da tempo.
Il retargeting, al contrario, si affida a strumenti di advertising display come Google Ads, il Pixel di Meta o altre piattaforme pubblicitarie per coinvolgere utenti sulla base di comportamenti osservati online. Qui non sono necessarie informazioni di contatto: le campagne di retargeting si basano su cookie traccianti e pixel integrati nelle pagine web, che registrano le azioni dell’utente e permettono di mostrare annunci pertinenti durante la navigazione su piattaforme terze. Questo rende il retargeting particolarmente utile per intercettare di nuovo utenti che hanno visitato il sito ma non hanno completato alcuna azione significativa.
Remarketing e retargeting differiscono anche per il momento esatto in cui intervengono nel funnel di marketing: il retargeting è efficace quando si tratta di mantenere attiva la percezione del brand e costruire fiducia, quindi risulta ideale nelle fasi alte e intermedie del funnel – ad esempio, può essere utilizzato per riportare l’attenzione su un prodotto specifico visualizzato dall’utente durante una ricerca online, cercando così di spingerlo verso il basso della piramide convertendo l’interesse potenziale in curiosità più concreta. Il remarketing, invece, è utile soprattutto nelle fasi successive, sia per finalizzare una conversione che per consolidare la relazione con l’utente una volta che ha già effettuato un acquisto. Ad esempio, può essere utilizzato per recuperare un carrello abbandonato, ma anche per proporre prodotti correlati a un acquisto recente o incentivare una nuova interazione con il marchio attraverso un programma di fidelizzazione.
Come combinare remarketing e retargeting per una strategia vincente
Questa distinzione non implica che i due approcci debbano essere utilizzati esclusivamente in modo isolato; piuttosto, la loro complementarità diventa il vero punto di forza per creare campagne veramente performanti, che riescono a massimizzare le conversioni e ottimizzare i tempi di decisione dei consumatori.
- Creare un funnel di marketing coerente
Un metodo efficace per integrare le strategie è sfruttare il retargeting nelle fasi iniziali del funnel, dove l’obiettivo è attirare l’attenzione verso il brand o un prodotto specifico. Ad esempio, un utente che visita un sito senza compiere alcuna azione può essere ritargetizzato con annunci display, che lo spingano a tornare sul sito per esplorare ulteriormente. Una volta superate le fasi di esplorazione iniziale, il remarketing può entrare in gioco per chiudere il cerchio: gli utenti che hanno abbandonato il carrello o hanno manifestato un interesse profondo per un prodotto possono ricevere promemoria via email o notifiche personalizzate con incentivi specifici per completare l’acquisto.
- Bilanciare frequenza e pertinenza
La corretta integrazione tra remarketing e retargeting richiede una pianificazione attenta della frequenza e della pertinenza degli annunci. Gli utenti non devono essere bombardati da messaggi identici su più canali, poiché ciò potrebbe creare frustrazione e compromettere l’esperienza complessiva. Idealmente, il retargeting dovrebbe generare awareness e interesse proattivo, mentre il remarketing dovrebbe offrire esperienze mirate e personalizzate, costruite sui precedenti punti di contatto.
- Monitorare e ottimizzare continuamente i risultati
L’integrazione delle due strategie consente anche di raccogliere dati più ricchi e utili per perfezionare future campagne di marketing. Ad esempio, analizzare quali prodotti ottengono più clic nei messaggi di remarketing può aiutare a calibrare meglio gli annunci di retargeting, e viceversa. Questo processo di ottimizzazione continua garantisce che entrambi gli approcci abbiano il massimo impatto, migliorando il ROI complessivo.
Quali sono i KPI da monitorare per ottimizzare le strategie
Ribadiamo un concetto “scontato”: per garantire un’efficacia reale, ogni campagna di remarketing o retargeting deve essere monitorata sulla base di metriche precise e significative, che aiutano a valutare il successo delle iniziative e consentono anche di individuare aree di miglioramento e ottimizzare l’investimento.
Tra i KPI più rilevanti troviamo il CTR (Click-Through Rate), che misura la percentuale di utenti che cliccano su un annuncio rispetto a quanti lo hanno visualizzato. Questa metrica permette di valutare l’efficacia creativa e il livello di coinvolgimento degli annunci. Tuttavia, non basta fermarsi a questo dato: il Conversion Rate rappresenta il vero indicatore di successo, soprattutto per campagne che puntano a portare azioni concrete come acquisti, registrazioni o compilazioni di form.
Un’altra metrica fondamentale è il CPA (Cost Per Acquisition), che rivela il costo effettivo sostenuto per generare una conversione. Monitorare il CPA permette di capire se le campagne sono economicamente vantaggiose o se è necessario rivedere il targeting e la creatività. Anche il ROAS (Return On Advertising Spend), che misura il ritorno sugli investimenti pubblicitari, è cruciale per comprendere l’efficienza complessiva delle campagne.
Il tempo trascorso da un utente sulla pagina pubblicizzata o il numero medio di interazioni successive possono fornire ulteriori informazioni sulle performance degli annunci, evidenziando se stanno suscitando reale interesse o soltanto impressioni superficiali. Tuttavia, è importante ricordare che ogni settore ha le sue specificità, e le metriche devono essere contestualizzate per riflettere al meglio obiettivi di marketing e funnel specifici.
Una strategia ben eseguita non si limita a raccogliere le metriche, ma le utilizza per perfezionare continuamente le campagne. Ad esempio, un CTR basso potrebbe suggerire la necessità di aggiornare il copy o il design degli annunci, mentre un ROAS negativo potrebbe indicare l’esigenza di rivedere i segmenti di pubblico su cui focalizzarsi. Questo ciclo continuo di analisi e miglioramento consente di mantenere alta l’efficacia delle campagne, anche in un mercato sempre più competitivo e complesso.
Strategie pratiche ed errori da evitare
Ma passiamo un po’ ad aspetti pratici legati all’impostazione delle campagne di remarketing e retargeting: di base, le best practice ci aiutano a evitare errori che potrebbero compromettere l’esperienza utente o danneggiare la reputazione del brand, senza trascurare le evoluzioni del settore – in particolare, con l’introduzione di normative sempre più rigorose sulla privacy, è essenziale gestire i dati degli utenti con trasparenza e precisione.
L’efficacia di una campagna di remarketing o retargeting è legata alla capacità di individuare i dettagli che fanno la differenza, dalla qualità del contenuto presentato sino alla piattaforma scelta per raggiungere il pubblico giusto.
Una landing page ottimizzata è il punto di snodo tra un annuncio efficace e una conversione riuscita. Quando un utente clicca su un annuncio di remarketing o retargeting, si aspetta di arrivare direttamente al contenuto promesso: assicurare che la pagina sia coerente con il messaggio dell’annuncio significa minimizzare i passaggi e massimizzare le probabilità che l’utente compia l’azione desiderata. Ad esempio, una campagna mirata al recupero di un carrello abbandonato dovrebbe portare l’utente esattamente al checkout, con una chiara visualizzazione degli articoli lasciati e (se previsto) dell’incentivo offerto, come uno sconto.
Può apparire banale, ma personalizzare i messaggi è esattamente ciò che spinge la campagna verso il successo: gli utenti rispondono meglio a contenuti che riflettono i loro interessi specifici o il loro comportamento precedente. Nel remarketing, ciò può tradursi in email che utilizzano il nome del destinatario, che menzionano un prodotto visualizzato o che propongono offerte contestuali; nel retargeting, gli annunci dinamici che mostrano prodotti correlati o aggiornamenti basati sulla cronologia di navigazione hanno tassi di coinvolgimento significativamente più alti rispetto agli annunci generici.
Non tutte le piattaforme si equivalgono, e la scelta dello strumento giusto dipende dall’obiettivo prefissato. Per il retargeting, le reti pubblicitarie come Google Ads o Meta Ads sono ideali per intercettare gli utenti durante la navigazione sul web o sui social network. Per il remarketing, invece, le email o le notifiche push sono più adatte per comunicare direttamente con un pubblico già acquisito. Diverse piattaforme offrono funzionalità avanzate per gestire queste campagne in modo ottimale: ad esempio, Facebook Ads permette di tracciare l’intero journey di un utente grazie al Pixel, mentre Google consente di integrare il remarketing direttamente in Google Analytics per monitorare le performance.
Gli errori più comuni nelle campagne di remarketing e retargeting
Anche le strategie più promettenti possono fallire se non implementate correttamente, e gli errori possono limitare fortemente l’efficacia delle campagne di remarketing e retargeting, o addirittura avere conseguenze negative sull’immagine del brand.
Ne abbiamo già fatto cenno: nel retargeting, uno dei problemi più comuni è l’ad fatigue, che consiste nel mostrare ripetutamente gli stessi annunci agli stessi utenti; in tal modo, riduce l’efficacia delle campagne nel tempo e soprattutto infastidisce gli utenti, portandoli a ignorare attivamente quegli annunci o addirittura a percepire il brand in modo negativo. Una soluzione è implementare un frequency capping, che limita il numero di volte in cui un utente vede un annuncio, e aggiornare regolarmente i contenuti dell’advertising per mantenerlo fresco e rilevante.
Anche un targeting impreciso o mal configurato è dannoso, perché può far sprecare budget prezioso, mostrando annunci a utenti non interessati o in fasi del journey in cui il messaggio risulta inefficace. Ad esempio, è controproducente continuare a mostrare annunci di un prodotto già acquistato dall’utente. In questi casi, utilizzare segmenti ben definiti e tecniche di esclusione delle audience può ottimizzare le risorse e concentrare gli sforzi su chi ha maggiori probabilità di convertire.
Infine, è frequente – e sbagliata – la mancata coerenza tra annuncio e landing page: inviare gli utenti su pagine non correlate all’annuncio o mal configurate è uno dei principali motivi per cui le campagne non generano conversioni. Ad esempio, promuovere uno sconto del 20% e poi condurre l’utente su una homepage generica, invece che su una pagina prodotto specifica, mina la fiducia e disorienta il visitatore. Coerenza e semplicità sono essenziali per costruire un’esperienza senza interruzioni.
Gli aspetti critici da valutare: privacy, normative e cookie
Allargando il quadro degli elementi “critici”, non possiamo non parlare brevemente al ruolo delle regole nei processi di remarketing e retargeting, alla luce di un contesto normativo sempre più rigoroso cui dobbiamo adattarci.
Regolamenti come il GDPR (General Data Protection Regulation) in Europa o il CCPA (California Consumer Privacy Act) negli Stati Uniti hanno ridefinito le modalità di raccolta, gestione e utilizzo dei dati personali, imponendo un nuovo standard di trasparenza e rispetto per i consumatori.
Il punto centrale riguarda il consenso esplicito degli utenti per l’uso di strumenti di tracciamento come cookie e pixel. Ad esempio, prima di implementare campagne che utilizzano questi dati comportamentali, è necessario garantire che gli utenti abbiano accettato consapevolmente la raccolta di informazioni, attraverso meccanismi chiari come banner conformi, che permettano all’utente di accettare o rifiutare certi tipi di cookie in modo trasparente.
Le aziende devono inoltre garantire che la raccolta dei dati avvenga in modo etico e nel rispetto delle aspettative dell’utente, fornendo una privacy policy dettagliata che includa ad esempio informazioni chiare sui dati raccolti, come saranno utilizzati e per quanto tempo verranno conservati.
Ma non basta raccogliere i dati in modo conforme: è altrettanto fondamentale preservarli contro qualsiasi accesso non autorizzato, e quindi adottare procedure di data protection avanzate, crittografia e implementare sistemi di sicurezza robusti.
L’altro aspetto chiave riguarda l’impatto delle normative sulla progettazione stessa delle campagne: se è vero che Google sembra aver messo da parte il progetto di eliminare i cookie di terze parti da Google Chrome, è comunque opportuno premunirsi per evitare affidarsi a strumenti tradizionalmente dipendenti da queste tecnologie, che devono evolversi per garantire la stessa efficacia in uno scenario che richiede approcci più innovativi e, al tempo stesso, rispettosi della privacy.
Ad esempio, integrare un sistema di segmentazione contestuale piuttosto che basato sull’utente o implementare uno strumento di gestione del consenso non è più un’opzione, ma una necessità strategica. E, ovviamente, le piattaforme pubblicitarie stesse stanno introducendo soluzioni alternative per supportare la personalizzazione e la misurazione delle campagne. Allo stesso tempo, è evidente che acquisiscono sempre più importanza i First-Party Data, ossia i dati raccolti direttamente dal sito web o dall’azienda, come adesione a una newsletter, compilazione di un modulo o dati da sistemi CRM. Con queste informazioni è possibile creare campagne mirate senza la necessità di appoggiarsi a fonti esterne, migliorando la qualità e l’affidabilità delle informazioni utilizzate. Inoltre, partnership con sistemi proprietari come il Facebook Pixel o l’implementazione di strumenti interni come i Custom Audience di Meta rappresentano un’opportunità per continuare a operare con precisione anche in un mondo privo di cookie di terze parti.
FAQ su remarketing e retargeting: i dubbi più comuni spiegati
Remarketing e retargeting sono due tra le strategie più discusse (e spesso incomprese) nel marketing digitale e lasciano spesso spazio a domande sulle loro applicazioni, differenze e vantaggi concreti. In questa sezione risponderemo alle domande più frequenti e utili per chiarire dubbi e fornire indicazioni pratiche per implementare queste tecniche nelle proprie campagne digitali.
- Che cos’è il remarketing?
Il remarketing è una strategia che consente di ricontattare gli utenti che hanno già interagito con un brand – ad esempio visitando il sito web o acquistando un prodotto – con messaggi personalizzati e mirati. Solitamente, si utilizza per recuperare carrelli abbandonati, fidelizzare i clienti o incentivare ulteriori acquisti tramite email o altre comunicazioni dirette. È particolarmente efficace perché si concentra su un pubblico già qualificato.
- Che cos’è il retargeting?
Il retargeting è una strategia di marketing che utilizza annunci pubblicitari mirati per raggiungere utenti che hanno precedentemente visitato un sito o interagito con un brand, senza però completare un’azione desiderata (ad esempio un acquisto). Grazie a strumenti di tracciamento come cookie e pixel, il retargeting permette di riproporre prodotti o servizi rilevanti attraverso piattaforme come Google Ads o Meta Ads, cercando di riconnettere l’utente con il brand e favorire la conversione.
- Qual è la differenza tra remarketing e retargeting?
La differenza principale sta nei canali e nei metodi usati per raggiungere gli utenti. Il remarketing si basa su database proprietari, come email o elenchi di contatti, per inviare comunicazioni mirate, e viene spesso sfruttato tramite campagne di email marketing. Il retargeting, invece, utilizza strumenti pubblicitari come i pixel di tracciamento o i cookie per monitorare il comportamento degli utenti online e mostrargli annunci specifici su piattaforme terze, come la rete Display di Google o i social media.
- A cosa serve il remarketing?
Il remarketing è utile per riattivare l’interesse di utenti che hanno già avuto un’interazione con un brand, spingendoli a completare azioni precedentemente abbandonate, come l’acquisto di un prodotto o l’iscrizione a un servizio. Si concentra su comunicazioni dirette e personalizzate, come email, messaggi SMS o notifiche, con l’obiettivo di portare gli utenti verso una conversione o rafforzare la loro fidelizzazione. Questo approccio è particolarmente efficace per mantenere il brand ben presente nella mente dei consumatori.
- A cosa serve il retargeting?
Il retargeting è particolarmente utile per incentivare gli utenti che hanno visitato un sito web, ma non hanno completato un’azione (come un acquisto o la richiesta di informazioni). Funziona mostrando annunci mirati durante la loro navigazione su altri siti o social network, spesso con contenuti rilevanti rispetto ai prodotti o servizi che hanno visualizzato in precedenza. L’obiettivo è riportarli sul sito e accompagnarli verso una conversione.
- A chi serve il remarketing?
Il remarketing è utile per aziende e settori con un ciclo di vendita medio-lungo o che devono mantenere un alto livello di contatto con i clienti. Alcuni esempi includono:
- e-Commerce: recupero dei carrelli abbandonati e upselling con offerte personalizzate.
- Servizi basati su abbonamento: come piattaforme di streaming o fitness digitali, per fidelizzare gli utenti e stimolare i rinnovi.
- Viaggi e turismo: per incentivare la prenotazione di alloggi, voli o pacchetti vacanze.
- Formazione online o corsi: per ricordare agli utenti di completare l’iscrizione o suggerire moduli aggiuntivi.
In generale, il remarketing è particolarmente efficace per brand che mirano a costruire una relazione duratura e personalizzata con i propri clienti.
- A chi serve il retargeting?
Il retargeting è ideale per settori che puntano a conversioni rapide o che operano in mercati competitivi nei quali gli utenti esplorano numerose alternative. È adatto per:
- e-Commerce: mostrare annunci personalizzati con prodotti visualizzati dall’utente.
- Tecnologia ed elettronica: per convincere clienti che stanno valutando prodotti di alto valore economico, come smartphone o laptop.
- Settore automobilistico: per mantenere alta l’attenzione sulla configurazione di un’auto personalizzata o su promozioni.
- Settori locali o eventi: per recuperare utenti che hanno visitato una pagina evento o un’attività locale senza prenotare o registrarsi.
Il retargeting è particolarmente utile per tutti i siti web o le aziende che vogliono ridurre la dispersione del traffico e del budget pubblicitario, concentrandosi su un target già interessato.
- Come funziona il retargeting dinamico?
Il retargeting dinamico utilizza tecnologie come il machine learning per creare annunci personalizzati in tempo reale, adattati agli interessi e ai comportamenti di ciascun utente. Ad esempio, se un cliente ha visitato una pagina prodotto senza acquistare, il retargeting dinamico mostrerà un annuncio mirato con il prodotto in questione, magari includendo un’offerta speciale per incentivare l’acquisto. Questo è particolarmente efficace per e-commerce con cataloghi vasti.
- Il retargeting è utile per aumentare le vendite?
Sì, il retargeting è una delle tecniche più efficaci per recuperare vendite potenzialmente perse. Ad esempio, si stima che oltre il 70% dei carrelli online venga abbandonato prima del completamento della transazione. Una campagna di retargeting ben impostata può riproporre all’utente i prodotti lasciati nel carrello, aumentandone le probabilità di acquisto. Inoltre, è utile per mantenere il marchio presente nella mente del cliente.
- Come fare remarketing su Google Ads?
Per fare remarketing con Google Ads, è necessario:
- Installare il tag di Google Ads sul sito web, in modo da tracciare il comportamento degli utenti.
- Creare una lista di pubblico basata su criteri specifici (ad esempio, utenti che hanno visitato determinate pagine o abbandonato il carrello).
- Configurare una campagna di remarketing nella rete Display o nella rete di ricerca, scegliendo il pubblico e personalizzando gli annunci.
Il sistema consente di raggiungere oltre il 90% degli utenti di Internet con annunci altamente mirati.
- Che cosa occorre abilitare prima di attivare il remarketing su Google Analytics?
Prima di attivare una campagna di remarketing tramite Google Analytics, è necessario configurare:
- Funzionalità pubblicitarie avanzate, come la raccolta di dati demografici e interessi, nelle impostazioni di Analytics.
- Un pubblico personalizzato basato sui criteri desiderati (ad esempio, utenti che hanno trascorso più di un minuto sul sito, o che hanno visualizzato una specifica categoria di prodotti).
- L’integrazione di Analytics con l’account Google Ads per sincronizzare i dati.
- Come fare retargeting su Facebook?
Per fare retargeting su Facebook, è necessario:
- Installare il Pixel di Facebook sul sito per tracciare le visite e le azioni degli utenti.
- Creare un pubblicitario personalizzato su Facebook Ads, segmentando il pubblico in base a criteri come le pagine visitate, i prodotti visualizzati o i carrelli non completati.
- Configurare annunci dinamici, mostrandoli agli utenti direttamente sui loro feed di Facebook o Instagram.
Questa strategia è ideale per mantenere il coinvolgimento degli utenti e portarli verso la conversione.
- Quanto può costare il retargeting?
Il costo del retargeting dipende da fattori come il settore, il tipo di offerta e il modello di pagamento scelto.
Le campagne di retargeting utilizzano principalmente due modelli:
- CPC (costo per clic), in cui si paga solo se l’utente clicca sull’annuncio; ideale se si desidera monitorare conversioni dirette.
- CPM (costo per mille impression): si paga per il numero di volte che l’annuncio viene mostrato, indipendentemente dai clic. Questo modello è utile per strategie di brand awareness.
I costi per clic variano generalmente tra 0,50€ e 3€ a clic, ma possono salire in settori competitivi.
- Il remarketing e il retargeting rispettano le normative sulla privacy?
Sì, ma solo se configurati correttamente. Entrambi gli approcci utilizzano dati personali o comportamentali, che devono essere raccolti e gestiti in conformità alle normative come il GDPR in Europa o il CCPA negli Stati Uniti. È necessario:
- Ottenere il consenso esplicito per l’uso dei cookie di tracciamento.
- Informare chiaramente gli utenti sull’uso dei loro dati tramite una privacy policy trasparente .
- Offrire la possibilità di disattivare annunci personalizzati o revocare il consenso precedentemente fornito.
- Quando conviene utilizzare remarketing e retargeting insieme?
L’integrazione di remarketing e retargeting è consigliata per massimizzare i risultati a ogni fase del funnel.
Ad esempio, si può utilizzare il retargeting per reindirizzare utenti che hanno visitato il sito, ma non hanno iniziato un’azione concreta. Successivamente, il remarketing può intervenire per incentivare la conversione, ad esempio con un’email che propone uno sconto esclusivo per finalizzare l’acquisto.
- Come evitare che remarketing e retargeting diventino invadenti?
La chiave è trovare un equilibrio tra frequenza e rilevanza dei messaggi. Alcuni consigli:
- Attivare il frequency capping, per limitare il numero di annunci mostrati a un singolo utente in un determinato periodo.
- Rinnovare con regolarità il contenuto degli annunci, evitando di mostrare sempre lo stesso messaggio.
- Monitorare il feedback degli utenti, come il tasso di rimbalzo o i commenti sui social, per individuare segnali di fastidio o disinteresse.