Come recuperare i carrelli abbandonati e aumentare le conversioni
Un utente visita un sito, seleziona i prodotti, li inserisce nel carrello e poi lascia la pagina senza finalizzare l’acquisto. Succede ogni giorno, milioni di volte: è il problema del carrello abbandonato, un processo di spesa che si interrompe prima della conferma del pagamento e che incide direttamente sui ricavi degli eCommerce, con percentuali di abbandono che in alcuni settori superano l’85%. Il fenomeno ha cause differenti – costi inattesi, checkout macchinoso, mancanza di fiducia nel sito o semplici indecisioni – ma per fortuna non è ineluttabile: è infatti possibile recuperare i carrelli abbandonati e quindi trasformare una perdita in opportunità, grazie a un approccio strutturato e basato sui dati che consente di ridurre sensibilmente gli abbandoni. Andiamo a esplorare tutte le tecniche per il recupero dei carrelli abbandonati, con dati aggiornati e soluzioni pratiche per incentivare gli utenti a completare l’acquisto.
Che cos’è il recupero dei carrelli abbandonati
Il recupero dei carrelli abbandonati è un insieme di tecniche e strategie utilizzate dai negozi online per convincere gli utenti che hanno lasciato un ordine incompleto a tornare sul sito e concludere l’acquisto. Si basa su soluzioni mirate che influenzano il comportamento del consumatore, combinando marketing automation, remarketing e ottimizzazione del processo di pagamento.
Questa pratica è diventata essenziale nell’eCommerce: le statistiche mostrano che in media più del 70% dei carrelli viene abbandonato, con percentuali ancora più alte in settori specifici. La buona notizia è che gran parte degli utenti che interrompono l’acquisto non è persa definitivamente, e un’azione mirata e tempestiva può favorire il recupero di una quota significativa di questi clienti, aumentandone il lifetime value e migliorando le performance di conversione del sito.
Le strategie più efficaci per il recupero prevedono il contatto diretto con l’utente attraverso email personalizzate, l’uso di annunci mirati sui social e motori di ricerca, oltre a miglioramenti strutturali dell’esperienza di checkout. L’obiettivo non è solo recuperare una vendita singola, ma ridurre al minimo gli ostacoli che portano all’interruzione del processo di acquisto, ottimizzando il tasso di conversione complessivo.
Significato e importanza per un eCommerce
Ogni carrello abbandonato rappresenta una vendita potenziale sfumata. Ogni utente che ha superato le fasi iniziali del customer journey, selezionando i prodotti e inserendoli nel carrello, ha già dimostrato un interesse concreto che lo rende molto più vicino alla conversione rispetto a semplici visitatori del sito.
Senza strategie di recupero, queste opportunità vengono perse, traducendosi in una riduzione diretta del fatturato. Se consideriamo che il tasso di conversione medio degli eCommerce si attesta intorno al 2-3% , riuscire a recuperare anche solo una parte dei carrelli abbandonati può impattare in modo significativo sui ricavi. Inoltre, in termini molto pratici, non intervenire con la “spinta” decisiva significa lasciare spazio alla concorrenza, una eresia in un panorama in cui l’acquisizione di un nuovo cliente ha costi sempre più elevati, come ci dimostrano le strategie di customer retention.
Implementare un piano di recupero significa migliorare la redditività senza dover acquisire sempre nuovi clienti, ottimizzando il valore di coloro che hanno già visitato il sito. Dati alla mano, una strategia efficace permette di riconvertire tra il 10% e il 30% dei carrelli persi, a seconda del settore e delle tecniche applicate. Questo significa che invece di focalizzarsi solo sull’incremento del traffico diventa possibile ottimizzare le conversioni senza aumentare il budget pubblicitario, massimizzando così il rendimento dell’investimento. Inoltre, un approccio di questo tipo consente di comprendere meglio i punti critici nel funnel di acquisto, individuando le barriere che ostacolano la finalizzazione dell’ordine, così da ottimizzare anche la customer experience, rafforzare la relazione con il cliente e generare un effetto positivo sulla fidelizzazione e sulle vendite ricorrenti.
Differenza tra abbandono del carrello e abbandono del checkout
Serve a questo punto aprire una rapida parentesi: sebbene spesso vengano trattati come sinonimi, abbandono del carrello e abbandono del checkout rappresentano due fasi diverse dell’interruzione dell’acquisto, con motivazioni e strategie di recupero differenti.
L’abbandono del carrello si verifica prima dell’inizio del processo di pagamento. L’utente naviga nel sito e aggiunge prodotti al carrello, ma decide di rimandare l’acquisto per ragioni quali confronto prezzi con altri store, utilizzo della funzione carrello come lista dei desideri o semplice esitazione. In questa fase l’interesse potrebbe essere ancora incerto, e gli strumenti migliori per re-ingaggiare il cliente includono il remarketing, la personalizzazione delle offerte e le notifiche automatiche per ricordare la presenza di articoli nel carrello.
L’abbandono del checkout avviene invece quando l’utente ha già iniziato il processo di pagamento ma non lo completa. In questo caso, il livello di intenzione d’acquisto è molto più elevato, ma qualcosa ha interrotto il flusso: costi inaspettati, richiesta obbligatoria di registrazione, problemi tecnici o opzioni di pagamento non adeguate. Qui è fondamentale intervenire ottimizzando il funnel di checkout e utilizzando email di recupero personalizzate, magari con incentivi come la spedizione gratuita o piccoli sconti per chi completa l’ordine entro un determinato periodo di tempo.
Capire questa distinzione permette di mettere in atto strategie specifiche per ogni tipo di situazione, invece di applicare soluzioni generiche che potrebbero non essere efficaci.
Quali sono i fattori che influenzano il recupero
Attenzione, però: come vedremo più specificamente, non tutti i carrelli abbandonati hanno la stessa probabilità di essere recuperati e il successo delle strategie di recupero dipende da una serie di variabili legate al comportamento dell’utente, alla tipologia di prodotto e all’esperienza d’acquisto complessiva.
Uno dei fattori più rilevanti è la tempistica dell’intervento: quanto più velocemente si riesce a contattare l’utente dopo l’abbandono, tanto maggiore è la probabilità di successo. I dati evidenziano che un’email inviata entro un’ora dall’abbandono del carrello ha un tasso di conversione superiore del 50% rispetto a una email inviata dopo 24 ore.
Anche la categoria merceologica gioca un ruolo importante. Nel settore della moda o della tecnologia, i consumatori possono essere propensi a cambiare rapidamente idea in base a offerte lampo o alternative trovate altrove. Per questi settori, campagne di retargeting aggressive sui social e la creazione di un senso di urgenza possono fare la differenza. Nel comparto lusso o nei settori in cui gli acquisti sono più ponderati, la fiducia nel brand è determinante, per cui strumenti come le recensioni, le garanzie di qualità e le testimonianze di altri clienti diventano più efficaci del classico incentivo economico. Un utente affezionato a un brand è infatti meno incline ad abbandonare un acquisto e più propenso a tornare per finalizzarlo, e una solida brand loyalty si può costruire attraverso offerte riservate, programmi fedeltà e comunicazione mirata, risultando determinante nel processo di recupero.
Un altro elemento chiave è il valore medio del carrello. Se un utente sta acquistando un articolo da pochi euro, probabilmente non è influenzato dalle stesse dinamiche di chi sta valutando una spesa più elevata. Nel primo caso, il recupero può avvenire semplicemente con un’email di promemoria, mentre nel secondo può essere utile fornire assistenza diretta, ad esempio con una chat proattiva o un contatto via WhatsApp per rispondere a eventuali dubbi.
Ciò si ricollega anche a un altro fattore da considerare: non tutti i metodi funzionano allo stesso modo. Le email hanno in media un tasso di conversione più alto, mentre il remarketing sui social è utile per stimolare un interesse più ampio, a conferma della necessità di studiare strategie in base alla tipologia di clienti e ai comportamenti di navigazione.
Perché gli utenti abbandonano il carrello: analisi delle cause principali
Ogni abbandono del carrello è il risultato di un’esperienza di acquisto interrotta, e a noi tocca comprendere cosa spinge l’utente a rinunciare al completamento dell’ordine, unica strada per ridurre le percentuali di abbandono e migliorare il tasso di conversione dell’eCommerce. L’analisi delle cause mostra come le motivazioni possano essere suddivise in tre macro-categorie: ostacoli economici, problemi di navigazione e fattori psicologici.
Le barriere economiche derivano da costi inattesi che modificano la percezione del valore dell’offerta, inducendo l’utente a valutare alternative. Le difficoltà legate al checkout, invece, incidono sulla fluidità del processo di acquisto: moduli troppo lunghi, problemi tecnici o metodi di pagamento non adeguati contribuiscono a far perdere interesse all’utente nella fase decisiva. Infine, elementi di percezione e psicologia come il senso di fiducia nel sito o l’indecisione personale possono avere un impatto significativo sulle vendite effettivamente concluse.
C’è poi un più generale fattore tempo: in alcuni momento, come la peak season, gli utenti accumulano prodotti nei carrelli senza acquistare immediatamente, confrontando prezzi e proposte su più siti, e ottimizzare il recupero in periodi di forte stagionalità può migliorare sensibilmente le conversioni.
Le ostacoli di tipo finanziario: costi inaspettati e barriere economiche
Uno dei motivi più comuni di abbandono del carrello è la discrepanza tra il prezzo inizialmente percepito e il costo finale al checkout. Spesso tasse aggiuntive, spese di spedizione elevate o supplementi per la gestione degli ordini vengono mostrati solo nell’ultima fase di acquisto, generando un effetto di sorpresa negativa per l’utente.
Le statistiche indicano che quasi la metà degli utenti abbandona l’ordine quando si trova di fronte a costi inattesi, poiché l’incremento del prezzo modifica la loro valutazione sulla convenienza del prodotto o servizio. Anche se il surplus economico non è elevato, il semplice fatto di non averne avuto consapevolezza in precedenza può generare una reazione negativa, portando alla decisione di sospendere l’acquisto.
Oltre al prezzo totale, un elemento critico è la mancanza di trasparenza sulle condizioni di spedizione e reso. Un cliente che scopre solo all’ultimo momento che i tempi di consegna sono troppo lunghi o che il costo per il reso è elevato può percepire tali aspetti come rischi aggiuntivi, rinunciando alla finalizzazione dell’ordine. Una soluzione semplice per iniziare a ridurre il rischio di abbandono? Mostrare chiaramente tutte le informazioni sulla pagina del prodotto e durante il checkout, offrendo agli utenti una previsione accurata dei costi reali del loro acquisto.
Checkout lungo e complicato
Se il carrello è il punto in cui l’utente prende una decisione d’acquisto, il checkout è la fase in cui questa decisione dovrebbe concretizzarsi senza ostacoli. Tuttavia, molti eCommerce commettono l’errore di rendere questo passaggio eccessivamente complesso, allontanando anche gli utenti effettivamente interessati.
Uno dei principali problemi è l’eccessivo numero di campi obbligatori da compilare. Più lunga è la procedura, maggiore è la possibilità che il cliente si interrompa prima di completare l’ordine. Gli studi mostrano che ridurre il numero di step richiesti nel checkout può aumentare il tasso di conversione fino al 35%. Eliminare le registrazioni forzate e consentire il “checkout ospite” permette di abbreviare il processo e incentivare gli utenti a concludere l’acquisto.
Un altro fattore critico è la scarsa attenzione all’ottimizzazione mobile. Poiché una buona parte degli acquisti online avviene da smartphone, un’esperienza di checkout poco fluida, con campi difficili da selezionare o una navigazione poco intuitiva, può scoraggiare gli utenti. Per ridurre gli abbandoni è fondamentale che il processo di pagamento sia rapido, reattivo e semplificato, indipendentemente dal dispositivo utilizzato.
Problemi di sicurezza e fiducia dell’utente
L’eCommerce si basa sulla fiducia: quando un utente deve inserire dati personali e informazioni di pagamento, qualsiasi segnale di poca affidabilità può spingerlo a interrompere la transazione. I dati indicano che oltre il 15% degli utenti abbandona un acquisto perché non si fida della sicurezza del sito.
Un design poco curato, un URL senza protocollo HTTPS o l’assenza di certificazioni sui metodi di pagamento possono contribuire a questa percezione negativa. Per mitigare il problema è fondamentale rafforzare la credibilità del sito: aggiungere badge di sicurezza ben visibili, evidenziare le certificazioni di pagamento e integrare recensioni di clienti reali aiuta a convincere gli utenti della serietà dell’eCommerce.
Oltre alla sicurezza nel pagamento, anche la trasparenza sulle politiche di reso e garanzia ha un impatto diretto sulla fiducia dell’utente. Un cliente che non trova informazioni chiare su rimborsi ed eventuali costi aggiuntivi può sentirsi insicuro e decidere di non finalizzare l’acquisto. Rendere queste informazioni chiare e accessibili, magari con FAQ ben strutturate e un servizio clienti facilmente raggiungibile, riduce il rischio di abbandono per dubbi sulla gestione post-vendita.
Più in generale, una presenza online ben strutturata contribuisce a ridurre le incertezze dell’utente: elementi come una forte brand identity e un solido livello di brand awareness permettono di creare maggiore fiducia, incoraggiando così la finalizzazione dell’acquisto.
Altri elementi che aumentano il rischio di abbandono
Il consumatore digitale si aspetta di poter scegliere il metodo di pagamento più comodo per le proprie esigenze: se le opzioni disponibili sono limitate o non includono sistemi diffusi come PayPal, Apple Pay o i circuiti di carte di credito più utilizzati, il rischio di abbandono del carrello aumenta sensibilmente.
I dati mostrano che l’11% degli utenti interrompe un acquisto a causa di una selezione inadeguata di metodi di pagamento, soprattutto quando si parla di transazioni su dispositivi mobili. Alcuni utenti preferiscono pagamenti immediati con wallet digitali, mentre altri desiderano rateizzare l’acquisto con servizi come Klarna o Scalapay. Un eCommerce che integra diverse soluzioni può quindi raggiungere un pubblico più ampio e limitare le perdite legate a questa barriera.
Un’altra problematica comune riguarda i processi di autorizzazione bancaria. Se un pagamento viene rifiutato senza una spiegazione chiara o richiede troppi passaggi aggiuntivi, l’utente potrebbe rinunciare all’acquisto. Offrire un’esperienza fluida dall’inizio alla fine è essenziale per favorire la conversione.
Ma non tutti gli abbandoni del carrello sono imputabili a problemi tecnici o economici. In molti casi, gli utenti lasciano gli articoli nel carrello semplicemente per mancanza di urgenza o per un processo di decisione non ancora completato, soprattutto per categorie di prodotti costosi o acquisti non strettamente necessari. Anche gli acquisti online rispondono a diversi bisogni dell’utente, da quelli primari a quelli più legati alla realizzazione personale, e applicare i principi della piramide di Maslow può aiutare a comprendere quali motivazioni influenzano le scelte d’acquisto e come spingere gli utenti verso la conversione.
Alcuni utenti utilizzano volontariamente il carrello come lista dei desideri temporanea, un metodo per memorizzare un prodotto e confrontarlo successivamente con offerte di altri negozi. In altri casi, esperienze quotidiane come una telefonata o un’interruzione nella navigazione possono far dimenticare all’utente di completare l’ordine.
Per contrastare questi fattori, strategie come email di promemoria automatiche, avvisi di “stock in esaurimento” e offerte a tempo limitato possono riattivare l’intenzione d’acquisto, spingendo l’utente a tornare sul sito. La chiave sta nel far leva sulla psicologia dell’utente, creando un senso di urgenza senza risultare invadenti.
Strategie per recuperare i carrelli abbandonati
Passiamo (finalmente!) agli aspetti pratici, tenendo a mente una regola di base: recuperare un carrello abbandonato significa intervenire nel momento giusto con la strategia più adatta al comportamento dell’utente.
Abbiamo visto come dietro un acquisto incompleto ci siano tanti motivi diversi, e ciò implica che il recupero deve cercare di combinare tecniche diverse: email mirate per il re-engagement diretto, remarketing e retargeting per mantenere alta l’attenzione, popup di uscita per fermare l’utente prima che lasci il sito e una revisione dell’intera user experience per eliminare le barriere nel checkout.
Email di recupero del carrello
L’invio di un’email strategica dopo l’abbandono del carrello è uno dei metodi più efficaci per convincere il cliente a tornare e completare l’ordine. Un’email ben strutturata può recuperare tra il 10% e il 30% delle vendite perse, a seconda del settore e della personalizzazione adottata. Questo strumento funziona perché il cliente ha già espresso interesse verso i prodotti, ma ha solo bisogno di un’ulteriore spinta per finalizzare l’acquisto.
Il messaggio deve essere formulato con cura, evitando toni troppo aggressivi o promozionali e puntando piuttosto su un approccio utile e amichevole. Ogni interazione deve trasmettere il concetto che il prodotto è ancora disponibile e può essere acquistato con pochi clic, senza cercare di “forzare” una conversione immediata.
Il tempismo è determinante nel successo di tali email di recupero. Le analisi di settore mostrano che un’email inviata entro un’ora dall’abbandono registra conversioni superiori del 50% rispetto a un invio posticipato a 24 ore, perché il prodotto e l’interesse dell’utente sono ancora freschi nella sua mente.
Un singolo messaggio, però, raramente è sufficiente. Una strategia articolata prevede almeno tre email, differenziate nel contenuto e nel tono. La prima è un semplice promemoria del carrello, con un collegamento rapido per completare l’acquisto. La seconda, inviata dopo circa ventiquattro ore, può contenere leve persuasive come recensioni o testimonianze. Se l’utente non ha ancora finalizzato l’acquisto, un terzo messaggio può introdurre un incentivo, come uno sconto esclusivo o la spedizione gratuita per un periodo limitato.
Come strutturare e testare una mail efficace
L’efficacia di un’email di recupero dipende dalla sua capacità di catturare l’attenzione e facilitare il ritorno sul sito. Il tono deve essere diretto e rassicurante, mettendo in risalto i vantaggi della finalizzazione dell’ordine senza creare pressione. Anche il formato ha un ruolo chiave: il testo deve essere leggibile sia da desktop che da mobile, con una struttura chiara e un pulsante di call-to-action ben visibile.
Alcuni elementi ricorrenti nelle email più performanti includono il nome dell’utente o riferimenti personalizzati ai prodotti che ha lasciato nel carrello, immagini di alta qualità per rafforzare l’attrattiva visiva dell’offerta e un promemoria della disponibilità limitata per creare un senso di urgenza senza sembrare artificiale. L’uso delle leve cognitive del neuromarketing nelle email di recupero, come la riprova sociale e il principio di scarsità, aumenta infatti il coinvolgimento del lettore e ne stimola la decisione d’acquisto.
Dobbiamo però ricordare che non esiste una formula unica che garantisce il recupero ottimale dei carrelli abbandonati, ed è per questo che il test A/B è una pratica indispensabile per individuare le configurazioni più efficaci. Varie combinazioni di oggetto, contenuto e tempistiche possono essere provate per identificare quali elementi generano il maggior numero di conversioni.
Personalizzare i messaggi in base al comportamento dell’utente può fare la differenza. Chi ha visitato il sito più volte senza completare l’ordine potrebbe ricevere un’email con un incentivo più mirato, mentre chi ha già interagito con precedenti comunicazioni potrebbe essere persuaso utilizzando messaggi più emozionali e basati sul valore del prodotto.
Remarketing e retargeting per il recupero dei carrelli abbandonati
Le email non sono l’unico strumento per riportare gli utenti verso il checkout. Il remarketing attraverso annunci mirati su Facebook, Google e altre piattaforme permette di intercettare nuovamente chi ha abbandonato il carrello, proponendogli messaggi personalizzati mentre naviga su altri siti o social network.
Questo sistema è particolarmente efficace per gli utenti che non hanno lasciato un indirizzo email durante il processo d’acquisto. Mostrare loro nuovamente i prodotti visualizzati crea una continuità che rafforza l’interesse e aumenta le possibilità di completamento dell’ordine.
Il successo di una campagna di remarketing dipende dall’implementazione corretta degli strumenti di tracciamento: utilizzare il pixel di Facebook o gli annunci dinamici su Google Ads consente di seguire il comportamento dell’utente in modo dettagliato, segmentando gli annunci in base alle interazioni precedenti.
Questo approccio permette di differenziare i messaggi pubblicitari: gli utenti che hanno solo visualizzato un prodotto possono ricevere un annuncio generico, mentre chi lo ha aggiunto al carrello senza acquistarlo può vedere una creatività specifica che invita al completamento dell’ordine. Un buon annuncio di remarketing deve mantenere un forte legame con il contesto in cui il cliente ha interrotto il processo d’acquisto. Mostrare nuovamente il prodotto lasciato nel carrello, con un messaggio studiato per rimuovere eventuali resistenze all’acquisto, aumenta la probabilità di riconversione. Elementi visivi di qualità, testi brevi ma incisivi e chiari riferimenti a eventuali promozioni attive contribuiscono a migliorare la performance dell’annuncio. Alcune campagne includono timer per promozioni a tempo, rafforzando il senso di urgenza senza risultare eccessivamente insistenti.
Exit-intent popup e incentivi in tempo reale
Molti utenti abbandonano il sito senza aver deciso definitivamente di rinunciare all’acquisto, e intercettare il loro intento di uscita con un popup strategico può fornire lo stimolo necessario per trattenerli.
Questi popup si attivano quando il cursore si avvicina al tasto di chiusura o alla barra degli URL, offrendo un motivo immediato per rimanere. Le soluzioni più efficaci propongono sconti applicabili istantaneamente, promozioni sulla spedizione gratuita o l’assistenza diretta tramite chat per risolvere eventuali dubbi.
L’utilizzo di questi strumenti deve avvenire con moderazione, evitando interruzioni invasive che peggiorano l’esperienza utente. Quando ben calibrati, però, possono ridurre sensibilmente il tasso di abbandono.
Anche in questo caso, però, c’è un aspetto da memorizzare: individuare e correggere le criticità del sito è essenziale per minimizzare gli abbandoni prima ancora che si verifichino. La chiarezza della navigazione, la velocità di caricamento e la semplicità del checkout sono tutti fattori determinanti. Effettuare un’analisi SWOT sul processo di checkout permette di capire quali sono i punti critici da ottimizzare, individuando ostacoli, minacce e opportunità per costruire una user experience più fluida e meno frustrante.
In concreto, ridurre il numero di passaggi richiesti per il pagamento, garantire un layout ottimizzato anche su mobile e offrire metodi di pagamento diversificati aiuta a rendere il processo più intuitivo. Una valutazione euristica dell’esperienza permette di individuare gli ostacoli che possono generare abbandoni, e metodi di test dell’usabilità aiutano a eliminare frizioni nel processo. Un checkout fluido e privo di ostacoli è spesso la soluzione più semplice ed efficace per ridurre il numero di carrelli abbandonati, migliorando sensibilmente le conversioni senza bisogno di incentivi esterni.
Strumenti e software per il recupero dei carrelli abbandonati
Insomma: abbiamo visto perché lavorare al recupero e anche come farlo, ma manca ancora un pezzo importante per riuscire a implementare strategie efficaci. Serve cioè conoscere (e usare) strumenti adeguati per automatizzare il processo e massimizzare l’efficacia delle azioni di re-engagement: da piattaforme di email marketing a strumenti di retargeting pubblicitario, il mercato offre soluzioni avanzate che consentono di intercettare gli utenti che hanno abbandonato il carrello e riportarli sul sito nel momento più opportuno.
Le principali categorie di strumenti includono software per l’automazione delle email, che permettono di inviare messaggi personalizzati in base all’interazione dell’utente, e piattaforme di retargeting e advertising, utili per mostrare annunci dinamici a chi ha già visitato il sito. L’integrazione di questi strumenti consente di costruire un sistema efficace per ridurre il tasso di abbandono e migliorare le conversioni.
Software di automazione delle email
Lo abbiamo detto: le email di recupero sono tra le strategie più performanti per riportare gli utenti verso l’acquisto, ma gestire manualmente l’invio di messaggi personalizzati per ogni carrello abbandonato sarebbe impossibile. Per questo motivo, l’uso di software specializzati consente di automatizzare il processo, segmentando gli utenti e inviando loro comunicazioni mirate in base al loro comportamento.
Tra le piattaforme più utilizzate troviamo Mailchimp, Klaviyo e ActiveCampaign, tre soluzioni avanzate che offrono strumenti di automazione, tracciamento e analisi, facilitando il recupero dei carrelli su piccola e larga scala.
Mailchimp è una delle piattaforme più conosciute nell’email marketing, particolarmente adatta a chi gestisce un eCommerce di piccole o medie dimensioni. Consente di creare workflow automatizzati, impostare sequenze di email per il recupero e personalizzare i messaggi in base alle azioni dell’utente. Grazie ai template predefiniti, anche chi non ha esperienza può configurare facilmente campagne efficaci.
Klaviyo è progettato specificamente per gli eCommerce ed è integrato con piattaforme come Shopify, WooCommerce e Magento. Offre funzionalità avanzate di segmentazione, consentendo di inviare email altamente personalizzate basate sul comportamento dell’utente. I dati in tempo reale permettono di testare rapidamente diverse strategie e migliorare le performance nel recupero dei carrelli abbandonati.
ActiveCampaign è un software potente che combina automazione avanzata e CRM. È ideale per chi vuole andare oltre la semplice email di recupero, creando flussi di marketing personalizzati che comprendono email, SMS e notifiche push. Grazie ad algoritmi predittivi, aiuta a identificare i momenti migliori per contattare gli utenti, ottimizzando così il tasso di conversione.
Strumenti di retargeting e advertising
Quando un utente abbandona il carrello senza completare l’acquisto, le email automatiche funzionano solo se il cliente ha lasciato i propri contatti. Ma cosa succede se un visitatore naviga nel sito, aggiunge un prodotto al carrello e poi esce senza aver inserito i suoi dati? In questi casi entra in gioco il retargeting pubblicitario, che consente di mostrare annunci mirati agli utenti che hanno mostrato interesse ma non hanno finalizzato l’acquisto.
I tre strumenti più efficaci per il retargeting dinamico sono Google Ads, Facebook Ads e Criteo, che offrono soluzioni per mostrare agli utenti esattamente i prodotti che avevano visualizzato o aggiunto al carrello.
Google Ads permette di utilizzare annunci display dinamici, che si adattano ai prodotti visti dall’utente e vengono mostrati su migliaia di siti della Rete Display di Google. Attraverso il remarketing dinamico è possibile creare annunci personalizzati che includono immagini, prezzi e dettagli specifici dei prodotti lasciati nel carrello. Questo approccio aumenta la probabilità che l’utente ritorni sul sito per completare l’acquisto.
Facebook e Instagram Ads offrono strumenti avanzati per il retargeting grazie all’integrazione del Facebook Pixel. Questo sistema traccia il comportamento degli utenti e permette di creare pubblici personalizzati a cui mostrare annunci specifici. Gli annunci dinamici su Facebook e Instagram, che ripropongono i prodotti visualizzati dall’utente, sono tra le forme di retargeting con il più alto tasso di conversione, grazie alla forte personalizzazione e alla capacità di raggiungere l’utente nel contesto in cui interagisce maggiormente.
Criteo è una piattaforma specializzata in retargeting personalizzato su vasta scala. Grazie ai suoi algoritmi avanzati, è in grado di identificare le intenzioni di acquisto degli utenti e generare annunci estremamente mirati, che vengono distribuiti su diverse reti pubblicitarie e siti web partner. Questo strumento è particolarmente utile per gli eCommerce che operano su mercati internazionali, poiché consente di ampliare la copertura senza dover gestire campagne su singole piattaforme.
Attenzione: l’implementazione efficace di questi strumenti prevede una segmentazione accurata del pubblico e messaggi che richiamino l’utente senza risultare invasivi. Solo un equilibrio tra personalizzazione, frequenza di esposizione e varietà nei contenuti pubblicitari consente di ottenere risultati senza generare una percezione negativa da parte dell’utente.
KPI e metriche per misurare l’efficacia del recupero carrelli
Ma su cosa dobbiamo concentrare la nostra attenzione per capire se le strategie di recupero stanno funzionando o se si tratta di un buco nell’acqua? Anche il recupero dei carrelli abbandonati ha i suoi KPI, attraverso cui possiamo valutare l’efficacia delle attività, ottimizzando l’intero processo su base dati anziché su semplici ipotesi.
Le principali metriche da analizzare includono il cart abandonment rate, che misura la percentuale di acquisti interrotti, e il cart recovery rate, che indica quanto è efficace il recupero. L’open rate e il conversion rate delle email forniscono indicazioni sulla capacità delle comunicazioni di re-engagement, mentre il ROI delle campagne di remarketing e advertising aiuta a comprendere il rapporto tra investimenti e risultati effettivi.
Cart abandonment rate e cart recovery rate
Il primo dato da monitorare in una strategia di recupero è il cart abandonment rate, ovvero la percentuale di utenti che lascia il carrello senza completare il pagamento. Si calcola dividendo il numero di carrelli abbandonati per il numero totale di sessioni in cui sono stati aggiunti prodotti al carrello, moltiplicando il risultato per 100.
- Formula del cart abandonment rate
(1 – (numero di transazioni completate / numero totale di carrelli creati)) × 100
dove 1 rappresenta il 100% dei carrelli attivati sul sito, a cui sottrarre il numero di vendite effettivamente concluse diviso il numero complessivo di sessioni in cui un utente ha aggiunto almeno un prodotto al carrello, moltiplicando il risultato per 100 per ottenere la percentuale di carrelli abbandonati .
Un esempio rende tutto più chiaro: se su 1.000 carrelli creati solo 300 si trasformano effettivamente in acquisti, calcoleremo
(1 – (300 ÷ 1.000)) × 100 = (1 – 0,3) × 100 = 70% di abbandono carrelli.
I dati mostrano che il tasso medio di abbandono dei carrelli si aggira intorno al 70%, con variazioni che dipendono dal settore. Comprendere questo valore è essenziale perché permette di stimare l’effettiva perdita di conversioni e individuare le cause degli abbandoni.
A questo si affianca il cart recovery rate, che misura quanti utenti vengono effettivamente recuperati attraverso strategie di re-engagement. Viene calcolato dividendo il numero di acquisti effettuati dopo un’azione di recupero per il totale di carrelli abbandonati.
- Formula del cart recovery rate
(numero di transazioni recuperate / numero totale di carrelli abbandonati) × 100
si divide quindi la quantità di carrelli abbandonati che si sono trasformati in vendite grazie alle strategie di recupero per il numero complessivo di utenti che avevano lasciato il sito senza completare l’acquisto.
Ad esempio, se 150 carrelli vengono recuperati su 1.000 abbandonati, avremo
(150 ÷ 1.000) × 100 = 15% di tasso di recupero.
Un tasso di recupero efficace varia in base al settore e agli strumenti utilizzati, ma in genere si attesta tra il 10% e il 30%. Se questa percentuale risulta troppo bassa, significa che le strategie adottate non stanno funzionando e vanno ottimizzate.
Open rate e conversion rate delle email di recupero
Le email di recupero sono uno degli strumenti più utilizzati per riconvertire gli utenti che hanno abbandonato il carrello, ma la loro efficacia dipende dal tasso di apertura e dalla capacità di generare vendite effettive.
L’open rate (tasso di apertura) misura la percentuale di utenti che apre l’email di recupero rispetto a quelli che l’hanno ricevuta. Si calcola dividendo il numero di aperture per il numero totale di email inviate e moltiplicando per 100.
- Formula dell’open rate
(numero di email aperte / numero totale di email inviate) × 100
si divide quindi la quantità di utenti che hanno effettivamente aperto il messaggio di recupero del carrello per il numero complessivo di email spedite per il recupero.
Ad esempio, se 400 email vengono aperte su 1.000 inviate, avremo
(400 ÷ 1.000) × 100 = 40% di open rate.
Il valore medio dell’open rate per le email di recupero dei carrelli si aggira intorno al 40-45%, nettamente superiore alla media delle email di marketing tradizionali. Se questo valore è troppo basso, potrebbe essere necessario ottimizzare l’oggetto dell’email o migliorare la segmentazione del pubblico.
L’email conversion rate (tasso di conversione delle email) misura invece la percentuale di utenti che completa un acquisto dopo aver cliccato su un’email di recupero. Il calcolo si basa sul numero di ordini generati dalla campagna, rispetto al totale delle email inviate.
Formula del conversion rate delle email
(numero di vendite generate dalle email / numero totale di email inviate) × 100
si divide quindi la quantità di acquisti finalizzati grazie all’email di recupero per il totale delle email spedite per il recupero.
Ad esempio, se 50 acquisti sono stati effettuati dopo 1.000 email inviate, il risultato sarà
(50 ÷ 1.000) × 100 = 5% di conversion rate.
I dati mostrano che il conversion rate delle email di recupero dei carrelli può variare tra il 5% e il 15%, a seconda del settore e della qualità della strategia applicata. Un valore insufficiente può derivare da messaggi poco incisivi, call-to-action poco visibili o itinerari d’acquisto ancora troppo complicati.
Ottimizzare questi due valori non riguarda solo il contenuto dell’email, ma anche fattori esterni come il momento dell’invio, la presenza di un incentivo e la fluidità del processo di pagamento una volta che l’utente torna sul sito.
ROI delle campagne di remarketing e advertising
Le strategie di remarketing e retargeting su Google, Facebook o altre piattaforme pubblicitarie aiutano a riportare sul sito gli utenti che hanno abbandonato il carrello, ma il loro valore si misura anche in termini di ritorno sull’investimento.
- Formula del ROI
(profitto netto/ costo della campagna) × 100
dove il profitto netto è la differenza tra i ricavi generati e il costo sostenuto per la campagna, da dividere per lo stesso “costo della campagna”, ovvero il totale speso per l’investimento pubblicitario. Il valore risultante indica quanto si è guadagnato per ogni euro speso, espresso in percentuale
Ad esempio, se una campagna ha generato 10.000€ in vendite con un costo pubblicitario di 2.000€, la formula ci dirà che
((10.000 – 2.000) ÷ 2.000) × 100 = (8.000 ÷ 2.000) × 100 = 400% di ROI.
Un ROI positivo indica che le campagne di remarketing stanno generando profitti superiori agli investimenti pubblicitari, mentre un ROI negativo suggerisce che la spesa per gli annunci supera i ricavi ottenuti. Un valore adeguato varia a seconda del settore, ma in genere un ROI compreso tra 400% e 800% è considerato soddisfacente.
Per un’analisi più dettagliata, oltre al ROI va considerato anche il ROAS (Return on Ad Spend), che misura direttamente il rapporto tra spesa pubblicitaria e entrate generate dagli annunci. Conoscere entrambi i valori aiuta a prendere decisioni più informate sulla ripartizione del budget pubblicitario.
- Formula del ROAS
(entrate generate dagli annunci / spesa pubblicitaria) × 100
dove dividiamo il fatturato ottenuto direttamente dalla campagna pubblicitaria per il costo totale dell’advertising, moltiplicando per cento in modo da avere la percentuale di quanti euro vengono guadagnati per ogni euro investito in adv.
Ad esempio, se una campagna pubblicitaria ha generato 5.000€ di vendite con un investimento di 1.000€, il risultato è
(5.000 ÷ 1.000) × 100 = 500% di ROAS.
Se il ROAS è troppo basso, significa che gli annunci non stanno convertendo in maniera efficiente e che potrebbero essere necessari cambiamenti nel copy, nel targeting o nella strategia di offerta.
Oltre a questi indicatori finanziari, per misurare l’efficacia delle campagne di remarketing è utile analizzare anche il CTR degli annunci, che indica quanti utenti cliccano rispetto a quanti vedono l’annuncio, e il tasso di conversione post-click, per sapere quanti utenti che hanno interagito con l’annuncio finalizzano effettivamente l’acquisto.
Recupero dei carrelli abbandonati: domande e dubbi frequenti
Il recupero dei carrelli abbandonati è una strategia che combina marketing, analisi del comportamento degli utenti e ottimizzazione dell’esperienza d’acquisto. I motivi dietro l’interruzione di un ordine possono variare, e di conseguenza anche i metodi più efficaci per riportare gli utenti sul sito.
In questa sezione rispondiamo alle domande più comuni su tempistiche, strategie e strumenti per massimizzare il tasso di recupero e migliorare le conversioni dell’eCommerce.
- Quanto tempo ci vuole per recuperare un carrello abbandonato?
Il recupero può avvenire nel giro di poche ore o richiedere diversi giorni, a seconda della strategia adottata. Le email di recupero inviate entro un’ora dall’abbandono registrano il miglior tasso di conversione, mentre il remarketing tramite annunci può riportare l’utente sul sito anche dopo diversi giorni. I dati mostrano che la maggior parte delle vendite recuperate avviene entro le prime 48 ore, riducendosi progressivamente nel tempo.
- Quale percentuale di carrelli abbandonati è possibile recuperare?
In media, le strategie efficaci di recupero permettono di recuperare tra il 10% e il 30% dei carrelli abbandonati, ma il valore esatto dipende dal settore e dalle tecniche utilizzate. Le email ben ottimizzate possono raggiungere un tasso di conversione del 15% o più, mentre le campagne di retargeting possono incrementare ulteriormente la percentuale di recupero, soprattutto per prodotti con un alto valore medio del carrello.
- Quali software sono consigliati per automatizzare il recupero dei carrelli?
Tra gli strumenti più utilizzati troviamo:
- Mailchimp e Klaviyo per l’automazione delle email di recupero con segmentazione avanzata, utili anche per la lead generation, arricchendo il database utenti per future azioni di marketing mirato.
- ActiveCampaign per combinare email, SMS e notifiche personalizzate.
- Google Ads e Facebook Ads per il retargeting mirato.
- Criteo per le campagne dinamiche basate sul comportamento dell’utente.
- OptinMonster e Justuno per implementare popup di uscita con offerte personalizzate.
L’integrazione tra questi strumenti consente di automatizzare le azioni di recupero e aumentare la probabilità di conversione senza intervento manuale.
- Le email di recupero funzionano davvero?
Sì, le email di recupero sono tra le strategie più efficaci per riportare gli utenti sul sito. Con oltre il 40% di tasso di apertura medio e un tasso di conversione che può arrivare al 15%, rappresentano un canale essenziale per riattivare gli utenti. La chiave del successo è una combinazione di tempistiche corrette, personalizzazione e messaggi persuasivi che eliminino eventuali ostacoli all’acquisto.
- Qual è la tempistica ideale per inviare un’email di recupero?
La prima email dovrebbe essere inviata entro un’ora dall’abbandono, perché è il momento in cui l’interesse del cliente è ancora alto. Una seconda email può essere inviata tra le 24 e le 48 ore successive, ricordando all’utente i prodotti lasciati nel carrello. Se l’acquisto non è stato completato, una terza email entro 3-5 giorni può includere un incentivo, come uno sconto o la spedizione gratuita, per aumentare le possibilità di conversione.
- Come evitare che le email finiscano nello spam?
Per migliorare la consegna delle email e ridurre il rischio che finiscano nello spam, è importante:
- Utilizzare un dominio verificato (evitando mittenti generici come Gmail o Yahoo).
- Evitare parole trigger che i filtri antispam segnalano come promozionali (gratis, offerta speciale, clicca qui).
- Personalizzare il contenuto con il nome dell’utente e i dettagli dell’ordine per renderlo più rilevante.
- Mantenere un buon rapporto tra testo e immagini per migliorare la leggibilità della mail dal punto di vista degli algoritmi di filtraggio.
- Consentire agli utenti di aggiornare le preferenze di comunicazione, fornendo un’opzione chiara per annullare l’iscrizione se non vogliono più ricevere le email.
- Come si può personalizzare il messaggio per renderlo più efficace?
La personalizzazione è essenziale per migliorare le conversioni. Un’email generica potrebbe non essere sufficiente, mentre un messaggio mirato può fare la differenza. Alcune tecniche di personalizzazione includono:
- Indicare il nome dell’utente per rendere la comunicazione più diretta.
- Mostrare i prodotti specifici che l’utente ha lasciato nel carrello, con immagini e breve descrizione.
- Aggiungere recensioni o testimonianze per aumentare la fiducia nel prodotto.
- Offrire un incentivo mirato, come un codice sconto esclusivo o la spedizione gratuita limitata nel tempo.
- Utilizzare testi dinamici, che si adattano al comportamento del cliente (ad esempio: Stavi valutando questo prodotto? Ti aspetta ancora nel tuo carrello!).
- È utile offrire sconti o incentivi per recuperare il carrello?
Gli incentivi possono essere molto efficaci, ma vanno usati con attenzione per evitare di creare aspettative sbagliate nei clienti. Offrire sconti su acquisti già pianificati può ridurre il margine di profitto senza reale necessità. Tuttavia, in specifici casi, le offerte possono aumentare le conversioni:
- Sconto temporaneo per urgenza: “Completa l’ordine nelle prossime 24 ore e ottieni -10%”.
- Spedizione gratuita per ridurre l’ostacolo economico.
- Omaggio su ordini superiori a una certa soglia, per incentivare anche acquisti aggiuntivi.
Un test A/B può aiutare a capire quali incentivi funzionano meglio e se davvero migliorano il risultato finale senza erodere eccessivamente il margine.
- Quali sono le migliori strategie di retargeting?
Il retargeting permette di mostrare annunci personalizzati agli utenti che hanno visitato il sito senza completare l’acquisto. Le strategie più efficaci includono:
- Annunci dinamici su Facebook e Instagram che mostrano all’utente gli stessi prodotti lasciati nel carrello.
- Google Ads Remarketing, che ripropone i prodotti su siti partner e nella rete display.
- Segmentazione del pubblico, adattando gli annunci in base al comportamento dell’utente (ad esempio, chi ha visitato il sito più volte senza acquistare riceve un messaggio diverso da chi ha abbandonato il checkout all’ultimo passaggio).
- Come monitorare l’efficacia delle strategie di recupero?
Il monitoraggio delle performance è fondamentale per valutare l’efficacia delle strategie di recupero. I principali KPI da tenere sotto controllo includono:
- Cart recovery rate, che misura la percentuale di carrelli recuperati grazie alle strategie implementate.
- Open rate e click-through rate delle email di recupero, per verificare il coinvolgimento degli utenti.
- Conversion rate delle email e degli annunci, per capire quanti utenti che interagiscono con i messaggi tornano effettivamente a effettuare un acquisto.
- ROI delle campagne di remarketing, per verificare se il budget investito genera un ritorno positivo in termini di vendite.
Ottimizzare questi aspetti in modo continuo consente di ridurre progressivamente il tasso di abbandono, migliorare il tasso di conversione e rendere l’intero funnel di acquisto più performante.