Migrazione del sito: cos’è e come si fa in sicurezza per la SEO

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È un processo delicato, che rappresenta molto più di una serie di operazioni tecniche: è un’operazione strategica che può segnare il destino di un business, piccolo o grande che sia, perché consiste nel trasferire letteralmente un’attività online da un luogo all’altro. La migrazione di un sito di qualsiasi tipo deve essere gestita al meglio per evitare fastidi a Google o agli utenti in ogni fase del trasferimento, che si traducono in problemi di ranking, di traffico organico e addirittura di sicurezza. Per dirla con le parole del nostro Giuseppe Liguori, “se la migrazione non viene eseguita correttamente può portare solo a un risultato, ovvero guai”, e anche Google conferma che il trasferimento di dominio e URL è davvero un’operazione complessa anche per i motori di ricerca, che possono impiegare fino a diversi mesi elaborare i cambiamenti in modo completo. Approfondiamo quindi il tema del trasferimento di un sito web e del processo di migrazione, provando a definire gli scenari in cui si rende necessario o preferibile trasferire un sito, cosa significa in concreto questo passaggio e quali sono i rischi che si presentano e che possono far sprofondare il nuovo sito.

Che cos’è la migrazione in informatica e nel mondo digitale

Nel contesto digitale, la migrazione consiste nel trasferimento di dati, applicazioni o intere infrastrutture da un ambiente a un altro, generalmente per aumentare prestazioni, scalabilità o sicurezza  Questo processo non riguarda solo i siti web, ma molteplici asset digitali.

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Un esempio critico è la migrazione di server, in cui dati e applicazioni vengono spostati da una macchina fisica o un servizio di hosting a uno nuovo, spesso più performante, idoneo o scalabile. La migrazione dei database, invece, prevede il passaggio di interi set di dati tra diversi sistemi di gestione, con il rischio di causare incompatibilità o integrazione errata se il trasferimento non viene gestito in modo accurato.

Altro fenomeno di rilievo è la migrazione al cloud, sempre più comune per ragioni di flessibilità e costi ridotti. In tale transizione, applicazioni e dati vengono spostati da risorse hardware fisiche a piattaforme basate su cloud computing, come AWS o Google Cloud. Questa operazione richiede particolare attenzione per garantire che i dati rimangano sicuri e accessibili senza interruzioni del servizio o problemi di accesso.

Le sfide della migrazione di infrastrutture digitali

Che si tratti di un database, un server o un’intera infrastruttura IT, ogni tipo di migrazione nasconde insidie che, se non gestite con una pianificazione attenta, possono portare a downtime prolungati e perdita di dati critici. Pianificare un percorso ben strutturato ed eseguire test pre-migrazione sono fattori chiave per ridurre al minimo i rischi operativi.

Il rischio più serio, e probabilmente il più temuto, è la perdita di dati: un errore durante la configurazione o l’assenza di backup appropriati può portare a una compromissione irreparabile di informazioni critiche. E i dati persi o corrotti sono spesso impossibili da recuperare senza costi immensi e tempi prolungati.

Un altro problema frequente è il downtime prolungato: ogni secondo di indisponibilità di un servizio può rappresentare una mancata opportunità. Questo è particolarmente vero per le piattaforme e-commerce o per i servizi digitali che devono garantire la continuità operativa 24/7. Il malfunzionamento durante la fase di migrazione può non solo impattare sul business direttamente, ma anche compromettere l’immagine della brand, il che comporta costi anche sotto il profilo della customer retention.

Un’altra sfida, forse meno vistosa ma altrettanto insidiosa, è costituita dalle configurazioni errate, in particolare per aspetti delicati quali il coordinamento di database, applicazioni e infrastrutture per garantire un funzionamento ottimale: una singola disattenzione può compromettere intere operazioni. Errori di configurazione possono comportare, per esempio, problemi di compatibilità tra vecchi e nuovi sistemi o inefficienze nelle risorse operative.

Ciò che rende tutto il più delicato è la necessità di bilanciare la rapidità del trasferimento con la sicurezza dei dati e la precisione tecnica. Non possiamo permetterci di affrettare il processo, ma dobbiamo anche tenere sotto controllo i tempi per evitare prolungati periodi di inattività o persino danni incalcolabili in termini finanziari e reputazionali. Una migrazione ben riuscita non è mai frutto di pura fortuna, ma di una pianificazione rigorosa che passa per l’audit preventivo, il backup completo e la verifica totale dei sistemi prima e dopo il trasferimento.

Che cos’è la migrazione di un sito

La migrazione del sito è il processo di trasferimento temporaneo o definitivo di una o più componenti essenziali di sito web – dominio, piattaforma, protocollo o struttura.

Non si tratta mai di un atto “una tantum” dettato da pura superficialità, ma piuttosto di una scelta ponderata, determinata da bisogni strategici o tecnici ben definiti. Per esempio, potremmo dover affrontare una migrazione per passare dal vecchio HTTP al più sicuro protocollo HTTPS, o spostare il sito su un nuovo servizio di hosting per migliorare le prestazioni.

Anche se può assumere forme diverse, questa operazione richiede sempre attenzione: quando non eseguita in maniera corretta, può infatti compromettere i rendimenti e la gestione SEO del sito, provocando danni al traffico organico e alla rilevanza acquisita nel tempo sui motori di ricerca, oltre che creare difficoltà anche agli utenti e alla loro user experience, portandoli a navigare improvvisamente su un sito diverso e magari problematico su alcuni aspetti.

Quando e perché eseguire una migrazione di un sito

La migrazione di un sito web non è quindi un’operazione da affrontare alla leggera, ma una necessità improrogabile che si presenta a certo punto del ciclo di vita di un sito, da eseguire nonostante i potenziali rischi per una serie di motivi strategici, da necessità di sicurezza fino a un completo ripensamento tecnologico, come ci ha spiegato Pierluigi Tosto in un webinar molto utile.

Sono infatti molteplici i motivi che possono spingere a trasferire un sito o riprogettarlo completamente: tra i più frequenti citiamo il passaggio al protocollo HTTPS (che ormai dovrebbe essere uno standard minimo), la necessità di un rebranding e di una nuova identità aziendale, la scelta di rendere il sito più veloce e mobile-friendly o la comparsa di nuovi obiettivi di digital marketing raggiungibili appunto con un cambio di strategia.

Più in dettaglio, una delle motivazioni più frequenti è rappresentata dal cambio di Content Management System (CMS): se il nostro sito è cresciuto oltre le capacità della piattaforma su cui è costruito, potrebbe essere opportuno passare a un CMS più strutturato e scalabile. Ad esempio, siti nati su WordPress potrebbero aver bisogno di una piattaforma dedicata come Magento, se si desidera gestire un progetto e-commerce di maggiori dimensioni e complessità. In questo caso, la migrazione di CMS non riguarda solo un cambiamento estetico o funzionale, ma richiede anche attenzione ai redirect degli URL e alla corretta trasposizione dei contenuti, per non perdere nulla in termini di posizionamento organico .

Altro scenario comune è il citato passaggio da HTTP a HTTPS: sebbene a prima vista sembri un intervento puramente tecnico, richiede che ogni singola risorsa del sito – dagli URL alle immagini – venga correttamente trasferita sotto il nuovo protocollo, pena la comparsa di errori nel caricamento delle pagine o rallentamenti che influiscono negativamente sulle prestazioni e, di conseguenza, sul ranking.

Un’altra causa strategica rilevante è legata all’introduzione di una nuova architettura o design: quando sentiamo l’esigenza di riorganizzare la struttura del sito, aggiornare la mappa di navigazione o semplicemente migliorare l’esperienza utente, potremmo trovarci di fronte a un progetto di migrazione del sito. Il rischio, in questo caso, è quello di alterare la gerarchia delle pagine, portando Google a dover rivalutare il sito, con la potenziale perdita di segnali rilevanti come l’importanza di determinati URL o la stabilità del dominio.

Infine, non possiamo trascurare il caso del cambio del dominio – una delle operazioni di migrazione più delicate, specialmente per quanto concerne la SEO: non significa soltanto trasferire contenuti da un indirizzo a un altro, ma comporta tutta una gestione accuratissima del passaggio dei backlink, della reputazione del dominio e delle impostazioni di redirect 301 per evitare perdite di traffico organico o problemi di indicizzazione. Lo spostamento di un dominio deve quindi risultare indolore per gli utenti e, altrettanto, riconosciuto e accettato dai motori di ricerca.

Quali sono i tipi di migrazioni di un sito web

Non tutte le migrazioni di siti web sono uguali, e ciascuna tipologia ha i propri gradi di complessità e rischi associati, specialmente in ottica SEO.

Il trasferimento di un sito può essere eseguito in autonomia – avendo ovviamente le conoscenze e le competenze di base – o affidato a un’agenzia esterna, e i vari tipi di migrazione possono essere effettuati singolarmente o in contemporanea. In ogni caso, è meglio conoscere i principali tipi di migrazioni, i loro effetti, le problematiche e le specifiche criticità dei vari casi, in modo da affrontare questi processi con consapevolezza, limitando l’impatto negativo e sfruttando al meglio le opportunità di miglioramento.

La migrazione di dominio, ad esempio, merita un’attenzione particolare. Quando decidiamo di rebrandizzare il nostro business o acquisiamo un dominio più adatto alla nostra attività, ci troviamo a dover comunicare a Google che tutto il traffico e l’autorità accumulata devono essere trasferiti alla nuova casa. Un cambio mal gestito può portare a una perdita drastica di traffico organico, poiché i motori di ricerca devono “riscoprire” il sito. Anche i backlink potrebbero perdere il loro valore se non viene attuata una corretta gestione dei redirect 301, che rappresentano l’unico modo per dire a Google che quei link devono puntare alla nuova versione delle pagine.

La migrazione di CMS, invece, è spesso una scelta obbligata quando il nostro sito, crescendo, richiede una piattaforma più efficace per gestire i contenuti. Cambiare CMS implica non solo affrontare il lato puramente tecnico della migrazione dei contenuti, ma anche garantire che la SEO rimanga allineata su vari piani: dalla struttura URL alla gestione dei metadata e dei tag canonical. Il rischio è quello di perdere il posizionamento conquistato se la nuova infrastruttura non riflette con precisione la precedente impostazione.

Un’altra operazione diffusa è la migrazione da HTTP a HTTPS , soprattutto per ragioni legate alla sicurezza e alle performance. I motori di ricerca premiano i siti più sicuri e, anzi, penalizzano spesso quelli che non si allineano alle nuove normative (vedi il segnale di avvertimento di Google per i siti non protetti). Tuttavia, anche in questo caso ci sono sfide da affrontare, costituite dall’aggiornamento di tutte le risorse collegate e dalla corretta trasposizione di eventuali redirect .

Parlando di replatforming, questo è una migrazione che avviene a livello infrastrutturale. Implica il passaggio a una piattaforma completamente diversa che, in molti casi, comporta anche un ripensamento delle tecnologie alla base del sito. Un replatforming non è mai una scelta leggera: richiede ingenti risorse tecniche. Spesso lo si adotta per migliorare la scalabilità del sito o introdurre funzionalità impossibili da realizzare con l’infrastruttura attuale. Anche qui, le conseguenze sulla SEO sono dirette, in quanto cambia il modo in cui il sito verrà gestito e tracciato dai motori di ricerca.

Infine, non possiamo tralasciare la migrazione di hosting, un caso che viene solitamente affrontato quando l’attuale hosting provider non riesce più a soddisfare determinate esigenze in termini di velocità, capacità o affidabilità. Il trasferimento di un sito web verso un nuovo hosting comporta principalmente la gestione dei dati, dei file e del database. Sebbene sia una delle forme di migrazione meno invasive per SEO, un errore tecnico legato al caricamento delle risorse può comunque compromettere le performance generali del sito e influenzare negativamente i fattori di ranking come la velocità di caricamento o la disponibilità del sito.

Trasferimento siti web, le tipologie in livello di difficoltà

Proviamo a fare una classificazione dei tipi di migrazione in base al livello di difficoltà richiesto dall’operazione.

La tipologia più semplice di migrazione è il cambio di dominio o rebranding (compresa la trasformazione dell’estensione); anche la migrazione grafica e il restyling del layout del sito non dovrebbero comportare particolari rischi (un esempio è la sostituzione del template di WordPress o la sua implementazione), così come ormai dovrebbe essere liscio il processo di migrazione da HTTP a HTTPS.

Possiamo definire di complessità maggiore e quindi di livello medio altri tipi di migrazione, come quella degli URL, dell’architettura dei contenuti o dei server che ospitano il sito. Il trasferimento degli URL riguarda appunto le modifiche agli indirizzi, ai percorsi e alla struttura degli URL interni dello stesso sito (un esempio immediato è lo switch da URL parlanti a statici); la migrazione dei contenuti è necessaria, ad esempio, quando si riorganizzano le categorie e quindi serve poi spostare gli articoli e i prodotti sotto le nuove gerarchie. Infine, il trasferimento di server o la migrazione di hosting e indirizzo IP avvengono quando, per motivi tecnici, di affidabilità o pratici, si decide appunto di cambiare uno di questi parametri.

Il trasferimento di CMS è invece la migrazione più complessa per la SEO, il caso più ostico da affrontare, che comporta il passaggio del sito da un CMS a un altro, o ancora da .asp a .php e così via, in seguito a valutazioni sul miglior CMS. In questo caso, l’aspetto più critico sul fronte tecnico è il radicale cambio di indirizzi che può provocare un lungo elenco di pagine in errore 404, mentre per quanto riguarda la SEO i rischi sono la perdita di authority del dominio (anche) a causa dell’interruzione dei backlink ricevuti nel corso del tempo e l’aumento eccessivo e dispersivo di crawl budget per la scansione di Google. Ci sono poi casi ancora più particolari, come quello raccontato dal nostro CMO Giuseppe Liguori, che ha dovuto eseguire la migrazione di un sito web obsoleto costruito su un CMS misconosciuto e senza accesso al database per l’estrazione dei dati!

I rischi principali nella migrazione di un sito: quali sono e come prevenirli

Una migrazione di un sito web rappresenta sempre dunque un’operazione critica, soprattutto se vista nell’ottica della SEO: in ogni fase di questo processo possono emergere potenziali insidie che, se non affrontate con la dovuta cautela, portano a errori irreparabili che compromettono il lavoro costruito in anni di ottimizzazioni.

Uno dei problemi più significativi è senza dubbio la perdita di traffico organico, che si materializza solitamente a causa di difetti nel trasferimento delle URL o nella gestione degli importantissimi redirect 301. In pratica, l’utente (e anche Google) non troverà più quelle pagine, ottenendo errori 404 e riducendo drasticamente il traffico al nostro sito: in un batter d’occhio potremmo perdere preziosi visitatori che, disorientati, si rivolgono ai nostri competitor.

Un altro rischio ricorrente riguarda gli errori di indicizzazione. Quando cambiamo l’architettura o il dominio del sito, i motori di ricerca possono interpretare male i segnali inviati e, nei casi peggiori, non indicizzare correttamente le nuove pagine. Un rischio sottovalutato, ma altrettanto grave, è la duplicazione dei contenuti, che può accadere quando gli URL vecchi e nuovi convivono senza una gestione adeguata dei reindirizzamenti, generando contenuto duplicato agli occhi di Google, che potrebbe penalizzare il sito in termini di ranking.

Infine, la perdita dei backlink è un altro rischio che può infliggere danni alla SEO e che colpisce il cuore della link building. Se tutti i collegamenti ipertestuali che terze parti hanno costruito nel corso del tempo indirizzano a pagine non disponibili post-migrazione, perderemo quel valore SEO accumulato. Senza una corretta gestione dei redirect , tale scenario diventa molto probabile.

Ma come possiamo prevenire questi problemi? In sostanza, dobbiamo mettere in atto un controllo continuo e attenzione ai dettagli tecnici, prima, durante e dopo la migrazione.

Il primo passo è nella pianificazione dettagliata e in un accurato audit SEO pre-migrazione, attraverso il quale tracciamo tutte le principali pagine del sito, gli URL e i dati cruciali. Durante la fase operativa, sarà essenziale implementare i redirect 301 con precisione millimetrica, per mantenere il valore SEO della vecchia struttura. Inoltre, è fondamentale testare e monitorare l’indicizzazione per assicurarci che tutte le nuove pagine siano correttamente comprese e indicizzate dai motori di ricerca.

Un altro strumento chiave per prevenire la perdita di traffico è il monitoraggio attivo dei backlink e dei contenuti duplicati. Verificare che i siti che puntano a noi siano aggiornati con i giusti redirect permette di mantenere la nostra integrità nella link building.

Le fasi tecniche principali di una migrazione ben gestita

Ma approfondiamo meglio questi concetti.

La migrazione di un sito è caratterizzata da fasi tecniche strettamente interdipendenti, che vanno affrontate con una combinazione di precisione e flessibilità per rispondere alle diverse esigenze che possono emergere durante il processo. Eseguire una migrazione corretta richiede una pianificazione dettagliata che integri strumenti avanzati e un monitoraggio continuo del sito, sia prima che dopo il trasferimento.

Una migrazione tecnica di successo segue fasi interdipendenti, ognuna delle quali richiede precisione e flessibilità.

  1. Pianificazione e audit preventivo. Identificare i principali backlink , le pagine rilevanti e mappare ogni URL del sito attraverso strumenti come Screaming Frog SEO Spider aiuta a capire dove concentrare l’attenzione. Pianificare opportunamente i redirect 301 è vitale per evitare la perdita di valore SEO.
  2. Implementazione dei redirect 301. Tracciare ogni vecchio URL e collegarlo al nuovo è uno step cruciale per il mantenimento delle SERP e dei risultati organici. Strumenti come Ahrefs sono utili per verificare che il traffico generato dai backlink venga reindirizzato correttamente.
  3. Verifica SEO post-migrazione. Subito dopo il lancio del nuovo sito, è necessario un monitoraggio attento delle performance tramite Google Search Console e SEOZoom per individuare eventuali errori di scansione e verificare che il traffico organico non subisca cali improvvisi.
  4. Monitoraggio performance post-lancio. Dopo la migrazione, è essenziale tenere sotto controllo metriche SEO come il traffico organico e i tassi di conversione. Strumenti come Google Analytics e PageSpeed Insights aiutano a individuare eventuali problematiche post-migrazione, come rallentamenti o errori di caricamento.

Il flusso di lavoro di una migrazione tecnica ben gestita, quindi, non si limita a trasferire i contenuti da un punto A a un punto B, ma deve essere attentamente monitorato e supportato da una suite di strumenti analitici e SEO. Solo così possiamo garantire non solo la stabilità della nuova struttura ma anche un’ottimizzazione continua, rafforzando la SEO e prevenendo eventuali crolli che potrebbero impattare negativamente sulle prestazioni del sito.

Verifica della migrazione: come monitorare i cambiamenti SEO dopo il trasferimento

Una volta completata una migrazione — sia essa un passaggio di dominio, un cambio di CMS o una migrazione da HTTP a HTTPS — il lavoro non è certamente terminato. Infatti, il vero successo di una migrazione SEO si misura attraverso un’attenta verifica post-migrazione, in cui monitoriamo le prestazioni del sito e correggiamo eventuali problemi in tempo reale. Strumenti di analisi SEO diventano i nostri alleati principali per tenere sotto controllo ogni aspetto del sito e identificare subito qualsiasi segnale negativo.

In primo luogo, il traffico organico deve essere il nostro punto di riferimento. Grazie a Google Analytics, possiamo monitorare il volume di visitatori che arrivano tramite ricerca organica e verificare se ci sono stati cambiamenti significativi. Se registriamo calo di traffico, è importante analizzare subito la fonte, comparando le prestazioni attuali con i dati pre-migrazione. Eventuali riduzioni potrebbero indicare problematiche con i redirect, errori d’indicizzazione o problemi legati al rendering delle nuove pagine.

Essenziale, poi, è effettuare una verifica dei backlink, per controllare se i collegamenti entranti raccolti nel tempo siano ora diretti verso i nuovi URL del sito. Questo è un passaggio fondamentale: fallire nel recuperare il valore dei backlink esistenti significa perdere una parte rilevante dell’autorità SEO che il nostro sito ha faticosamente costruito. Se il nuovo sito non riceve più il traffico e il valore provenienti da questi link, dobbiamo agire prontamente per stabilire nuovi redirect 301 o, in alcuni casi, contattare i proprietari dei siti che ci collegano per aggiornare il loro link.

Google Search Console, inoltre, è uno strumento indispensabile per rilevare eventuali errori di indicizzazione. Dobbiamo eseguire un controllo accurato della copertura per vedere quali URL sono state indicizzate con successo e individuare quelle che potrebbero generare errori 404. Accertiamoci anche che non siano presenti contenuti duplicati, un problema che può insorgere facilmente quando pagine vecchie e nuove coesistono senza una gestione adeguata dei canonical tag.

Controllare le performance del sito anche da un punto di vista tecnico è altrettanto importante. Strumenti come PageSpeed Insights o GTmetrix ci aiutano ad analizzare velocità e tempi di caricamento, due fattori chiave non solo per la SEO, ma anche per l’esperienza utente. La migrazione potrebbe aver introdotto nuovi componenti pesanti o errori di caching; la performance tecnica va monitorata attentamente.

Infine, eseguire un audit SEO completo pochi giorni dopo la migrazione permette di verificare che la transizione sia stata positiva in tutti i sensi. La nostra attenzione dev’essere sempre vigile, pronta a intervenire su eventuali segnali negativi per garantire che il sito continui a performare nel migliore dei modi. Così facendo, preveniamo calo di posizionamento imprevisto e manteniamo la nostra strategia SEO salda e funzionale.

Le best practices per fare le migrazioni dei siti

Come detto, le tipologie di trasferimento e migrazione hanno differenti livello di complessità e ci sono alcune indicazioni e consigli che ci permettono di approcciare a queste operazioni con la giusta accortezza e tranquillità.

  • Come eseguire la migrazione degli URL del sito

Il cambio di indirizzi nell’ambito dello stesso sito può rendersi necessario quando si scopre di aver commesso errori nella strutturazione, o quando si cerca di migliorare la navigazione e l’esperienza complessiva dell’utente. Casi comuni sono la presenza di date nelle pagine che quindi diventano obsolete, l’indicazione di elementi inutili, lo spostamento di intere directory e così via; in situazioni del genere la migrazione avviene attraverso regole di riscrittura, provando a rispettare la filosofia “less is better” (e quindi il suggerimento di avere un url leggero e compatto rispetto a quelli più estesi).

Dal punto di vista SEO, Google tranquillizza sul “credito” che il sito possiede dopo i link di redirect a nuovi URL: nella Guida di Search Console si legge infatti che “i reindirizzamenti 301 o 302 non comportano alcun peggioramento del posizionamento in PageRank“.

  • Il trasferimento del server del sito

Anche la migrazione del server può essere un processo rischioso, perché può generare due tipi di situazioni problematiche: il nuovo server si rivela peggiore del precedente o si riscontrano alcune incompatibilità, e quindi non risponde perfettamente alle richieste e causa degli errori; il tempo tecnico di passaggio del DNS e cambio di IP può causare disservizi anche gravi agli utenti e al motore di ricerca.

In questo caso, per trasferire un sito da un hosting all’altro senza avere disservizi dobbiamo prestare attenzione ai seguenti aspetti che, se trascurati, potrebbero provocare downtime molto lunghi, superiori alle 24 ore – in altre parole, provocano guai!

  1. Fare una prima copia del sito completo dal vecchio hosting al nuovo hosting, utilizzando uno dei tanti plugin per fare backup & restore del sito web, soprattutto in ambiente WordPress.
  2. Testare bene il sito web sul nuovo hosting e lanciare uno stress testal sito con il nuovo indirizzo IP, sfruttando il file “hosts” del computer; così potremo vedere perfettamente come funzionerà il sito quando la migrazione sarà completata.
  3. Fare una scansione completa del sito per verificare eventuali errori che precedentemente non sussistevano.
  4. Completate le prime operazioni, se è passato troppo tempo bisogna ricopiare il sito web o almeno il database e le immagini caricate di recente.
  5. Spostare l’IP del sito web dal pannello del gestore del DNS; non disattivare il vecchio hosting poiché potrebbero essere necessarie svariate ore per aggiornare l’IP nuovo.

 

  • I consigli per la migrazione da HTTP a HTTPS

È da svariati anni ormai che Google sta facendo pressioni per far migrare tutti i siti al protocollo HTTPS, sia includendo questo aspetto tra i fattori di posizionamento sia contrassegnando sul browser Chrome tutti i siti in HTTP come “Non sicuro”. In realtà, per quanto riguarda la sicurezza, bisogna specificare che la protezione maggiore riguarda il traffico tra il sito e l’utente finale, e quindi non c’è tutela verso attacchi hacker e simili, e che in generale questa migrazione serve a garantire la sicurezza del trasporto dei dati, a elevare il livello di privacy e aumentare il livello di fiducia nei confronti dell’utente.

Il primo passo è l’acquisto del certificato, che poi va attivato manualmente o seguendo l’installazione del provider. Questo trasferimento è abbastanza semplice e basta seguire pochi passaggi per completarlo efficacemente; ad esempio, per migrare WordPress in HTTPS (o per trasferire Prestahop, Magento, Joomla e gli altri CMS) è sufficiente modificare i dati nel pannello delle impostazioni, ma esistono anche specifici plugin che eseguono il processo in automatico. Successivamente serve lanciare dei redirect 301 con htaccess e verificare a campione che i reindirizzamenti siano stati efficaci.

È importante sottolineare che al termine della migrazione è necessario creare una nuova proprietà in Google Search Console per il dominio in HTTPS, come se fosse un sito nuovo, perché GSC gestisce HTTP e HTTPS separatamente. Inoltre, è consigliabile conservare la vecchia proprietà in HTTP per eventuali problemi futuri o per valutare dati storici.

  • I passaggi per fare un cambio di dominio e rebranding

Un’altra situazione critica nella quale può capitare di ritrovarsi riguarda il rebranding, ovvero la necessità o l’esigenza di cambiare nome del sito e del dominio a seguito di alcuni fattori, come problemi di copyright o di reputazione online, spostamento di un livello multilingua su un dominio country based, nome del sito o del marchio che in altre lingue significa qualcosa di brutto o osceno, o più semplicemente per altre scelte di marketing.

A prescindere dalla ragione che spinge al rebranding bisogna usare i soliti accorgimenti lato SEO di reindirizzamento, con la modifica degli indirizzi nei CMS descritta prima e altre regole di reindirizzamento per gli URL. Prima della messa in linea del nuovo sito bisogna sottoporre a scansione e verifica che il processo sia stato efficace, con tool specifici o con confronti manuali, tenendo presente che tutti gli status code diversi da 301 o 200 generano problemi a Google (e quindi potenzialmente al sito e al business).

In ogni caso, per evitare di disperdere il lavoro fatto bisogna approcciare a questo passaggio delicato curando anche l’aspetto SEO della migrazione, e quindi fare attenzione a preservare la visibilità organica di pagine e contenuti e a garantire che le keyword che generano il traffico maggiore (e i relativi URL) siano trasferite senza errori.

  • Come eseguire una migrazione CMS in sicurezza

Vista la complessità dell’operazione, sono fondamentali i consigli per effettuare un trasferimento di CMS in sicurezza, con almeno tre punti da rispettare per evitare brutte sorprese e un presupposto: la necessità di “costruire un ponte tra i due CMS”.

In fase preventiva, bisogna eseguire un backup del vecchio database prodotti e delle vecchie regole di .htaccess, mentre sul fronte pratico è opportuno realizzare uno script di codice che “interroghi il vecchio database; trovi un elemento in comune (Es. Codice SKU, nome prodotto, etc); interroghi il nuovo database; esegua un redirect 301 verso il nuovo URL”. Al termine di questo processo bisogna verificare che tutto sia correttamente trasportato ai nuovi indirizzi.

Questa operazione è particolarmente complessa perché presuppone (almeno) tre requisiti minimi: la presenza di un programmatore che conosca bene entrambi i CMS; l’intervento di uno specialista SEO che sappia usare htaccess; una fase di verifica costante del lavoro per verificare che tutto si svolga nella maniera giusta e senza intoppi. Tuttavia, rappresenta l’unico modo funzionante per recuperare tutti gli URL o quasi.

Migrazione sito SEO, consigli rapidi per evitare guai

Le linee guida qui descritte sono un veloce vademecum per affrontare in maniera preventiva la fase di migrazione del sito in sicurezza, cercando di evitare di creare fastidi a Google o agli utenti in un processo delicato di trasferimento. Non va comunque trascurato che qualunque migrazione, anche quando svolta nel migliore dei modi, potrà avere delle conseguenze positive o negative sul sito, per cui l’obiettivo è minimizzare i rischi e cercare di limitare gli eventuali danni. Inoltre, non si può trascurare il fattore temporale: un cambio così imponente e sostanziale richiede tempo anche nelle scansioni del motore di ricerca, quindi è normale nelle prime fasi dopo la migrazione registrare fluttuazioni di visibilità e posizionamenti, che poi si regolarizzeranno nei periodi successivi.

  • Le migrazioni di siti e-commerce e le accortezze SEO specifiche

Migrare un sito e-commerce è molto più complesso rispetto alla migrazione di un sito standard, e questa complessità non è dovuta solo al numero di pagine coinvolte, ma al fatto che ogni aspetto del sito influisce direttamente sul rendimento economico. Qui non stiamo semplicemente spostando pagine informative, ma stiamo operando su un sistema integrato di transazioni, funnel di conversione, inventari e dati utente. Ogni errore commesso durante la migrazione può provocare un impatto devastante, portando a una drastica riduzione delle vendite e del traffico organico.

Uno dei primi punti a cui dobbiamo prestare attenzione è la gestione del catalogo prodotti e dei relativi database. Siti e-commerce tipicamente contengono migliaia di pagine prodotto, ciascuna con URL univoci, descrizioni dettagliate, immagini e spesso recensioni dei clienti. Qualsiasi variazione nella struttura dei permalink o negli URL deve essere gestita con precisione chirurgica, utilizzando redirect 301 per evitare di perdere il posizionamento SEO guadagnato da quelle pagine. Immaginiamo, per esempio, che un prodotto di punta sia ben indicizzato per alcune keyword ad alta redditività: se la migrazione SEO per e-commerce non viene gestita correttamente, potremmo perdere migliaia di visitatori da quella singola pagina.

Anche la user experience gioca un ruolo centrale nella migrazione. Un’esperienza utente coerente, intuitiva e facilmente navigabile è essenziale per mantenere elevati tassi di conversione. Cambiamenti drastici nell’architettura, o una navigazione compromessa, possono portare un cliente ad abbandonare il carrello. È quindi necessario preservare la struttura di navigazione e ottimizzare prestazioni come la velocità di caricamento, in modo che la pagina continui a offrire prestazioni eccellenti anche dopo la migrazione.

Un altro passo vitale nel processo di migrazione di un sito e-commerce consiste nel mantenere il monitoraggio continuo dei tassi di conversione. Gli strumenti di analisi e tracking dovranno essere pienamente operativi durante e dopo la migrazione, per assicurarsi che non ci siano fluttuazioni inattese nei tassi di vendita, e che eventuali cali immediati possano essere rapidamente corretti. Non dimentichiamo che, mentre il ranking organico è fondamentale, anche la content retention e soprattutto la capacità di accompagnare l’utente fino alla conclusione dell’acquisto sono fattori cruciali da tenere sotto controllo. Un sistema ben integrato per monitorare KPI come le conversioni, l’abbandono dei checkout, la frequenza di assorbimento delle promozioni e la risposta a campagne specifiche è irrinunciabile.

Per massimizzare il successo della migrazione, sarà anche importante sfruttare il passaggio per ottimizzare i meta tag esistenti e le descrizioni dei prodotti, senza trascurare l’implementazione di nuove best practice SEO che possono essere integrate grazie alle opportunità offerte dalla nuova infrastruttura. Quella che all’inizio nasce come una necessità tecnica – la migrazione – può infatti trasformarsi in un’opportunità per revisionare e migliorare diverse parti del sito per una performance ancora migliore.

Infine, un consiglio prezioso: eseguire test pre-lancio sotto ogni angolazione possibile. Dallo stress test sul nuovo server per verificare che regga picchi di traffico, fino ai controlli di checkout multipli con diverse forme di pagamento. Il costo degli errori per un sito e-commerce è molto più alto rispetto ad altre tipologie di siti, e qualsiasi problema che si presenti nel giorno del lancio potrebbe erodere la brand reputation in modo significativo.

I principali problemi riscontrati nelle migrazioni problematiche e come risolverli

Anche con la migliore pianificazione, le migrazioni di siti web possono riservare una serie di imprevisti che rischiano di compromettere SEO , traffico organico ed user experience. Quando la struttura del sito è particolarmente complessa, aumentano le insidie, soprattutto se non vengono individuati tempestivamente eventuali errori tecnici.

Uno dei problemi più comuni subito dopo la migrazione è il calo di traffico organico. Questo accade di frequente a causa di errori nell’implementazione dei redirect 301: se i vecchi URL, quelli che storicamente hanno garantito il traffico e il posizionamento su Google, non vengono correttamente collegati alle nuove versioni, gli utenti e i motori di ricerca si trovano davanti a pagine di errore (404) e, alla lunga, Google potrebbe deindicizzare quelle risorse, con una conseguente perdita di visibilità.

Un’altra criticità che si può manifestare durante la migrazione è la duplicazione dei contenuti, che accade tipicamente quando nuove e vecchie versioni di una stessa pagina vengono mantenute attive senza una gestione corretta dei canonical tag o dei redirect.

Nell’ambito di una migrazione SEO può anche verificarsi un problema di indicizzazione: in alcuni casi, i bot di Google potrebbero non riuscire a scansionare correttamente il nuovo sito perché il file robots.txt o il meta tag noindex non sono stati aggiornati correttamente, bloccando il processo di scansione e indicizzazione.

Un ulteriore errore diffuso riguarda le impostazioni HTTPS e SSL post-migrazione: avere certificati non correttamente configurati può generare warning nei browser degli utenti, che potrebbero percepire il sito come insicuro, diminuendo fiducia e reputazione.

Migrazioni e cambi di URL: le indicazioni e i suggerimenti di Google

La migrazione non è un topic ostico solo per webmaster, specialisti et similia, perché anche i motori di ricerca trovano difficoltà nel gestire questa operazione, arrivando a impiegare fino a diversi mesi per elaborare i cambiamenti in modo completo.

Anche se “a prima vista può sembrare un piccolo cambiamento all’interno di un sito web, modificare la struttura degli URL non è così semplice per i motori di ricerca”: si apre proprio con questa riflessione un video di #AskGooglebot, in cui John Mueller risponde alla richiesta di un utente che chiede informazioni appunto sul tema migrazioni e, in particolare, sui possibili rischi connessi all’operazione.

Il Search Advocate mette quindi subito in guardia sulla delicatezza del processo, che anche quando eseguito correttamente richiede un lungo tempo di elaborazione agli stessi motori di ricerca, e che quindi può portare a situazioni critiche, come ad esempio i temuti cali di traffico.

Le difficoltà con la migrazione del sito

Modificare tutti gli URL di un sito per trasferirli su un nuovo dominio, e quindi una migrazione completa, è forse uno degli interventi SEO più intimidatori che si possono apportare, perché interessa appunto tutto il sito nel suo complesso.

I motivi che spingono a questo passo sono vari (ad esempio cambio di dominio dopo fusioni aziendali o cambiamenti di brand), ma in linea di massima sia che stiamo “ricostruendo completamente un sito Web o semplicemente rimuovendo uno slash dalla fine degli URL” stiamo comunque compiendo una migrazione del sito, che richiede tempo e attenzione anche ai motori di ricerca per l’elaborazione delle modifiche.

Come spiega Mueller, questo dipende dalle caratteristiche stesse dei motori di ricerca come Google che “memorizzano il loro indice per pagina: pertanto, modificando l’indirizzo o l’URL di una pagina, i suoi dati devono essere inoltrati in qualche modo, altrimenti vengono persi” . Vale a dire, tutti i segnali, tutti i link, tutte le informazioni che Google ha in relazione a quell’URL devono essere inoltrati al nuovo URL.

Le raccomandazioni di Google sulla migrazione del sito

Per cercare di ridurre i rischi e non compiere errori nella migrazione, il Search Advocate offre una rapida guida al processo con delle indicazioni di base da seguire.

I 4 step per una migrazione sicura

  1. Valutare le opzioni e i potenziali effetti

Questi cambiamenti al sito possono provocare dei disturbi alla SEO e al ranking acquisiti, ed è quindi importante pianificare l’intervento e valutare attentamente le opzioni, i rischi e le possibili conseguenze in termini di ranking e di tempi – per decidere qual è la tempistica migliore per esporre il sito a un potenziale calo di traffico.

  1. Mappare gli URL vecchi e nuovi

Prima di eseguire la migrazione è opportuno tenere traccia di tutti gli URL del sito vecchio e di quello nuovo, per “controllare le modifiche in seguito”.

In questo modo, possiamo studiare in anticipo quali sono le risorse da migrare con un redirect 301, quali invece sono da eliminare eccetera: a processo terminato, poi, andremo a verificare che tutti gli URL utili siano stati trasferiti e siano effettivamente online, e che non ci siano risposte inattese con pagine in status code 404 (risorsa non trovata).

  1. Lanciare la migrazione

È il momento di effettuare la migrazione.

Google ricorda di implementare correttamente i redirect 301 dai vecchi URL ai nuovi e di non tralasciare tutte le “menzioni interne” al sito, come link, moduli, dati strutturati, sitemap e file robots.txt.

  1. Monitorare gli esiti della migrazione

L’ultimo step è quello più importante per il destino SEO del sito: dobbiamo cioè controllare che tutte le pagine siano state reindirizzate correttamente, utilizzando gli strumenti della Google Search Console.

I tempi per completare la migrazione

Il (breve) video di Mueller ci offre anche un’indicazione di massima sui tempi che servono a Google per completare di elaborare una migrazione del sito: il motore di ricerca, infatti, può impiegare fino a diversi mesi per terminare il processo di modifica su tutti gli URL, anche se darà priorità a quelli importanti per il sito.

Infatti, nella Search Console è possibile vedere che le pagine più importanti saranno analizzate e modificare più velocemente, mentre le altre sono soggette a elaborazione più lenta per dare modo ai sistemi di Google di riprocessare tutte le modifiche.

Anche per questo motivo, Google ricorda che i redirect vanno tenuti attivi almeno per un anno dopo la migrazione.

Le migrazioni sono davvero difficili, come sanno SEO, proprietari di siti, editori e webmaster che hanno già sperimentato questi spostamenti di URL e domini. Eppure, Google ci vuole “rassicurare” sul fatto che, con la giusta dose di preparazione, studio, ricerca e attenzione è possibile completare positivamente questa operazione e ridurre lo stress, sfruttando tutti gli strumenti per rilevare tempestivamente gli errori e monitorare i progressi del trasferimento.

Cambiare hosting, la guida ufficiale di Google

Restando sempre in casa Google, il team di Search ha pubblicato una pagina di documentazione di supporto dedicata alle migrazioni SEO, focalizzando i suoi consigli in modo specifico sui cambiamenti di hosting e sulle tecniche per ridurre al minimo l’impatto della modifica dell’infrastruttura di hosting del sito sul rendimento del sito stesso nella Ricerca Google.

Ancora più precisamente, le indicazioni riguardano unicamente le migrazioni che non interessano l’URL visibile all’utente.

Come ci ricorda Google, modificare l’infrastruttura di hosting significa cambiare provider host o passare a una rete di distribuzione dei contenuti (CDN) e il processo ideale si articola in quattro fasi:

  1. Preparare la nuova infrastruttura di hosting, caricando i contenuti sui nuovi server oppure configurando la rete CDN e i server di origine, con gli opportuni test di funzionamento.
  2. Iniziare lo spostamento del sito, modificando le impostazioni DNS del nome di dominio in modo che reindirizzino alla nuova infrastruttura di hosting. Questa fase rappresenta lo spostamento effettivo del sito e dà inizio al processo di indirizzamento del traffico alla nuova infrastruttura.
  3. Monitorare il traffico, sia quello proveniente dal nuovo hosting che quello precedente.
  4. Chiudere l’infrastruttura di hosting precedente, quando abbiamo la certezza che tutti gli utenti, incluso Googlebot, ricevano correttamente i contenuti dalla nuova infrastruttura e che nessuno stia utilizzando quella precedente.

I suggerimenti per modificare correttamente hosting

La parte più delicata di questa operazione è probabilmente la gestione di tutti i passaggi da svolgere prima di iniziare lo spostamento effettivo dell’infrastruttura.

Secondo Google, dovremmo iniziare dal caricare sul nuovo provider host una copia del sito, intesa come file HTML reali da replicare nella nuova piattaforma di hosting oppure come database da importare nella nuova posizione, e dal testare scrupolosamente che il sito funzioni come previsto, verificando che non ci siano problemi di alcun tipo negli aspetti dell’interazione degli utenti.

Una soluzione valida per testare tutte le funzionalità prima della pubblicazione effettiva del sito potrebbe essere la creazione di un ambiente di test, magari con accesso limitato a IP specifici, e il processo di verifica deve includere la supervisione di tutti gli elementi del sito aperti in un browser web – e quindi pagine, immagini, moduli e download (ad esempio i file PDF).

Successivamente, può essere consentire test pubblici con un nome host temporaneo (come beta.example.com) per la nuova infrastruttura per testare l’accessibilità da parte dei browser, così da verificare se Googlebot può raggiungere o meno il sito – per evitare che il sito di prova venga indicizzato accidentalmente, aggiungeremo la regola noindex alle intestazioni HTML o HTTP delle pagine. Per controllare il comportamento di Googlebot (e l’accesso e il traffico di Google) verso la nuova infrastruttura di hosting possiamo accedere alla Search Console, crearne uno nuovo per il tuo sito ed eventualmente anche per la proprietà temporanea. Tra gli aspetti da prendere in considerazione c’è anche il check alla configurazione del firewall o alla protezione contro gli attacchi denial of service (DoS), per evitare che impediscano a Googlebot di raggiungere il sistema DNS o i server del provider host.

Inoltre, Google suggerisce di ridurre il valore TTL (ad esempio, poche ore) per i record DNS già una settimana prima dello spostamento per velocizzare lo spostamento del sito: in questo modo, infatti, consentiamo una più rapida propagazione agli ISP delle nuove impostazioni.

L’ultimo step ci riporta alla Search Console e, nello specifico, al controllo che la verifica del sito in Search Console sia ancora valida dopo lo spostamento dell’hosting e aggiornando anche i metodi di verifica scelti nel nuovo sito. Ad esempio, se usiamo il metodo di verifica tramite file HTML dobbiamo includere il file di verifica corrente nella nuova copia del sito, così come la verifica tramite tag meta o Google Analytics nei modelli del CMS richiede l’inclusione anche nella nuova copia CMS.

Falsi miti SEO, cosa sapere sulla migrazione dei siti

Insomma, la migrazione del sito è sicuramente un’operazione difficile, ma non è certo impossibile, anche se spesso si legge in giro il contrario (o quanto meno si ingigantisce la portata dell’intervento): proprio per chiarire questi concetti, la serie SEO Mythbusting su YouTube ha dedicato un episodio a sfatare i miti sulla migrazione dei siti, offrendo una panoramica anche sui cambi di nome del dominio, sulla fusione dei siti, sulle migrazioni parziali e altro ancora.

Falsi miti sulla migrazione dei siti

Data la vastità del tema, non sorprende che questo episodio sia anche il più lungo in assoluto della serie, con una durata di oltre 20 minuti; l’ospite è Glenn Gabe (Digital Marketing Consultant, G-Squared Interactive), che apre la puntata raccontando una sua vecchia esperienza di consulenza, utile per introdurre l’argomento.

Episodio di SEO Mythbusting sulla migrazione

Una volta, dice, “ho aiutato un sito e-Commerce di larga scala che non aveva fatto redirect 301 alle immagini, che quindi non erano state trasferite; quindi, il consiglio è di non dimenticare mai di fare redirect anche alle immagini e ai contenuti visivi e poi verificare se il processo è andato a buon fine”. Ad esempio, controllando i file log del server del vecchio dominio per vedere se il traffico è sceso, e quando noteremo che l’attività di crawling è calata dire addio al sito.

È sempre Gabe a sottolineare che molti proprietari di siti hanno una vera e propria paura ad avviare il processo di migrazione, perché non sanno sicuri di cosa possa succedere; altri invece compiono le operazioni troppo in fretta e senza aver preparato tutto in maniera adeguata, a riprova della complessità del topic e della forza del principale “falso mito”.

Stando alle leggende metropolitane SEO, infatti, si verificherà sempre un calo del traffico dopo un cambio di nome di dominio o la migrazione del sito, ma in realtà non è così.

Che cos’è davvero la migrazione del sito

È Martin Splitt quindi a prendere la parola e sfatare questo mito, spiegando che innanzitutto che cos’è una migrazione del sito, ovvero – letteralmente – il trasferimento completo da un dominio all’altro, copiando praticamente l’intera struttura dell’URL e l’intero contenuto, così che alla fine del processo si avrà una copia perfetta del vecchio sito su un altro dominio.

Questo processo non implica sempre un calo di traffico: per la precisione, il traffico inizia a diminuire sul vecchio dominio per riprendere sul nuovo. Nel complesso, ciò non significa che stiamo perdendo traffico, e in generale compiere questa operazione in modo pulito ci consente di completare il lavoro in modo fluido senza perdere nulla. Più critico è invece un trasferimento solo parziale del sito, che potrebbe portare ad anomalie nel traffico.

Per spiegare meglio il concetto, Splitt si lancia in una colorata analogia: a suo parere, la migrazione del sito può essere paragonata al cambio di location di un ristorante o di un food truck.

Quando andiamo in un ristorante, cerchiamo risposte a una serie di domande, del tipo “mi sento ben accolto? Il personale è gentile? La qualità del cibo è buona? Il prezzo è giusto?”, e immagazziniamo le risposte nella nostra cartella mentale per quel posto – esattamente come Google fa con i suoi segnali e fattori di rankingper ogni pagina Web.

Se un amico ci chiede un consiglio su un ristorante da provare, probabilmente useremo i segnali che abbiamo raccolto per dargli le giuste informazioni e raccomandazioni – “è perfetto se ti piace la cucina asiatica, è un posto davvero molto bello, ma piuttosto caro” e così via.

Se il ristorante si trasferisce in un’altra zona e in un altro locale, probabilmente dovremo rivalutare alcune delle risposte, per scoprire se le caratteristiche sono rimaste uguali o se c’è stata qualche variazione – per determinare se è lo stesso ristorante o food truck che ha solo cambiato zona, mantenendo ad esempio la stessa cucina di qualità e gli stessi prezzi, oppure se è cambiato qualcosa.

Tutto questo vale anche per i motori di ricerca, che devono valutare di nuovo ciò che vedono e trovano sul nuovo dominio.

Nuovo nome dominio e anomalie di traffico

Gabe chiede poi di concentrare l’attenzione su un argomento specifico, il cambio di nome del dominio: alle volte il processo è andato liscio e il sito prende forza nel tempo, ma in altri casi si possono verificare delle anomalie, come ad esempio “un sito che, tre giorni dopo, si riempie completamente del 70%”. L’esperto chiede se questo differente comportamento si possa basare sulla storia del dominio, soprattutto in casi di domini acquistati e di successive migrazioni.

Secondo Splitt, questi casi sono slegati dalla storia del dominio, che ha un ruolo principalmente nelle situazioni – definite “complicate” – di siti fondamentalmente usati a scopo spam e poi acquistati e switchati immediatamente. Il consiglio è di prendere tutte le precauzioni per non ritrovarsi in questioni strane, usando tutti gli strumenti di monitoraggio anche in Google Search Console per controllare che tutto sia stato impostato correttamente prima di fare il passaggio.

Anomalie possono verificarsi anche se apportiamo altre modifiche durante la migrazione, una “cosa rischiosa” perché mette Googlebot di fronte a difficoltà di comprensione e a differenze tra due versioni del sito. E questo, a sua volta, si può tradurre nella necessità per il bot di eseguire nuove scansioni per capire meglio, influenzando negativamente anche il crawl budget, soprattutto per siti grandi.

Le situazioni con i domini acquisiti

Quindi queste situazioni particolari possono dipendere da vari fattori, ma secondo il Googler in linea di massima passare a un dominio che siamo certi non abbia carichi pendenti passati dovrebbe andare bene. E anche se passiamo a un dominio con una storia negativa, Google è consapevole “che i contenuti dei domini cambiano” e il Rapporto Azioni Manuali ha un tool dedicato alla richiesta di riconsiderazione di domini recentemente acquisiti. Tuttavia, dobbiamo sapere che a seconda di come era il dominio in precedenza, Google potrebbe non considerare immediatamente l’azione come una migrazione, e ciò richiederà quindi di fare un re-crawl e una rielaborazione dei contenuti, e quindi maggior tempo.

A questo proposito, Gabe cita un altro esempio tratto dal suo lavoro di consulenza: c’era un cliente, un sito e-Commerce, che aveva un nome dominio molto lungo e voleva ridurre il nome alle quattro lettere che rappresentavano l’azienda; dopo aver finalmente acquistato il nuovo dominio e fatto il trasferimento, si accorgono che c’è qualcosa che non va. Non avevano fatto i giusti controlli e hanno acquistato il vecchio dominio di una “specie di rock band del passato” che era pieno di “link spammy pazzi e ogni genere di cose”: quindi, nell’immediato hanno avuto un crollo di traffico, che poi si è assestato nel tempo.

Ciò conferma che i contenuti possono cambiare e può variare anche la considerazione di Google – anche nei casi in cui il dominio ha una storia spam o è stato hackerato – e dunque serve solo un po’ di tempo per sistemarla.

Il consiglio di Splitt è essere sicuri di ripulire in anticipo tutto ciò che potrebbe essere problematico, così da dare a Google il tempo di capire che “le cose sono cambiate” e c’è stata una tabula rasa del passato.

Più in dettaglio, quando si rileva un dominio (non solo per trasferire il nostro vecchio sito) è fondamentale misurare ciò che accade attraverso gli strumenti come Search Console e conoscere la salute del dominio, considerando eventualmente la possibilità di rimuovere il contenuto, attendendo che Google capisca questo intervento, elimini i segnali negativi e faccia normalizzare le cose. Solo a questo punto conviene iniziare il trasferimento del dominio in maniera progressiva, così che – mentre Google scopre le pagine spostate – inizia a valutare i contenuti come un nuovo inizio per il dominio.

Il falso mito sulla fusione dei siti

Il video poi passa ad affrontare un altro mito da sfatare, relativo alla fusione tra due siti: in molti, dice Gabe, pensano semplicisticamente che mettere “uno più uno dia come risultato due”, ma non sempre è così.

Anche perché – aggiunge Splitt – combinare insieme due siti non è più fare una migrazione, ma creare un nuovo sito da una versione accorpata dei precedenti: questo significa che Google deve comprendere i nuovi contenuti, capire come si sono spostati dai domini di partenza, ma anche stabilire se si trova di fronte a un dominio completamente diverso o invece no, perché magari è cambiata solo la struttura degli URL nel passaggio, oppure c’è stato il trasferimento di alcuni contenuti.

Ad ogni modo, niente in questo processo è semplice come una migrazione e Googlebot deve sottoporre di nuovo a scansione un sacco di pagine. A seconda delle dimensioni del sito, ciò potrebbe significare che ci vuole parecchio tempo affinché il motore di ricerca abbia una visione chiara del sito, della sua struttura e dei suoi contenuti attuali, e molto dipende ovviamente anche da quello che concretamente si unisce in questa fusione e dall’attenzione dedicata al processo.

Siti migrati, come Google riconosce il nuovo dominio

Successivamente Gabe sposta il focus su un altro topic, ovvero cosa succede per Google quando il cambio di nome di dominio è correttamente completato e riconosciuto, ovvero quando un sito si sposta da un dominio a un altro e tutti i redirect sono attivi.

Come primo step, Google verifica innanzitutto le somiglianze tra il vecchio e il nuovo sito, per esser certo che il nuovo sito sia esattamente una copia perfetta di quello presente sul vecchio dominio – che, ribadisce Splitt, è la vera migrazione del sito. Quando si accerta che questo è ciò che è avvenuto, Google inizierà a inoltrare tutti i segnali dal vecchio dominio a quello nuovo, ma la velocità di questo processo viene completato varia da sito a sito (andando da alcuni giorni ad alcune settimane).

Inizialmente si potrebbe notare un incremento dell’attività di crawling sul nuovo dominio, che progressivamente cala quando Google comprende che si tratta di una copia del sito presente su un altro spazio. Allo stesso tempo, se tutto è nella norma, il crawling e i segnali scompariranno dal vecchio dominio per trasferirsi al nuovo.

I webmaster impegnati nel processo di migrazione possono utilizzare lo Strumento Cambio di Indirizzo (change of address tool) per dare a Google segnali addizionali e più chiari su ciò che sta avvenendo e semplificare la comprensione da parte del motore di ricerca.

Si tratta, secondo Splitt, di un tool utile per dare indicazioni esplicite a Google sul fatto che il sito si è spostato definitivamente e che quindi non è un cambio temporaneo, che potrebbe quindi velocizzare il completamento del processo perché dà modo a Google di saltare alcuni passaggi, avendo la certezza che il trasferimento è stato volontario e intenzionale.

Migrazione e qualità dei contenuti: nuove valutazioni dopo il passaggio?

Un altro “mito” che Gabe ha avuto modo di incontrare e ascoltare nel suo lavoro riguarda il riassestamento delle valutazioni sulla qualità da parte di Google dopo una migrazione. In realtà, Splitt spiega che Google rivaluta costantemente la qualità dei contenuti, indipendentemente dal fatto che il sito sia stato spostato, e ribadisce che “se ora i tuoi contenuti sono considerati di alta qualità, ciò non significa che lo saranno sempre”.

Ciò vale anche al contrario: contenuti di bassa qualità o spammy potrebbero, in teoria, essere considerati di alta qualità se vengono apportati dei miglioramenti.

Ad ogni modo, per quanto attiene la migrazione, in linea di massima se c’erano contenuti di alta qualità sul vecchio sito che vengono spostati in maniera identica sul nuovo dominio, allora anche i segnali seguiranno.

Problemi con il trasferimento, meglio non tornare indietro

Un altro consiglio che arriva da Martin Splitt riguarda il modo di affrontare eventuali problemi che si presentano dopo aver completato la migrazione: una sensazione comune, soprattutto quando si verificano cali di traffico e non si recuperano le posizioni precedenti, porta a valutare l’ipotesi di invertire il processo per ripristinare lo status iniziale.

Per Google, questo è un passaggio da non eseguire mai se non come extrema ratio, quando non ci sono altre opzioni e tutti i controlli eseguiti sul nuovo sito non hanno dato esito o spiegazioni al crollo.

Nella maggioranza dei casi, infatti, basta verificare che non ci siano problemi tecnici che possano interferire e provocare l’effetto negativo: ad esempio, Google potrebbe non aver riconosciuto i redirect, oppure il vecchio sito era sottoposto a crawling con poca frequenza e serve quindi più tempo per consentire al bot di captare i reindirizzamenti. Altre situazioni potrebbero essere modifiche algoritmiche intervenute nel frattempo, o ancora la segnalazione di contenuto spammy o azioni manuali e così via.

Se siamo certi di aver eseguito tutti i passaggi in maniera corretta e, dopo un mese, il traffico non è migliorato e tornato ai livelli del vecchio sito, potrebbe essere il caso di chiedere un aiuto esterno per scoprire la causa della situazione.

Ad ogni modo, è sempre importante confrontare il traffico tra vecchio dominio e nuovo: se il vecchio sito continua ad avere tutto il traffico storico, questo è un segno che c’è stato qualche errore nel processo di migrazione. Solo in questo senso, dice Splitt, potrebbe aver senso “invertire il processo per un po’, tornare indietro, capire cosa è successo e poi riorganizzarsi”.

Migrazione e file robots, consigli per non sbagliare

Altro aspetto tecnico trattato nel corso dell’episodio riguarda la gestione degli URL bloccati nel file robots.txt: Gabe chiede infatti se abbia senso sbloccare le risorse nel passaggio al nuovo sito, ma Splitt è piuttosto deciso nell’affermare che “non serve”.

Secondo il Googler, c’è una ragione se il sito non vuole che quegli URL siano sottoposti a scansione, quindi non c’è motivo per cui il crawler debba analizzarle con la migrazione al nuovo sito.

I problemi più comuni con la migrazione del sito

L’ultimo tema analizzato riguarda i problemi più comuni che Google riscontra sui siti appena trasferiti: l’elenco comprende tante variabili tecniche, come ad esempio robots.txt che blocca completamente le pagine del nuovo dominio, un meta tag robots noindex su tutti i contenuti nuovi o mancato passaggio delle impostazioni di Google Search Console sul nuovo dominio.

Eppure, secondo Splitt, l’errore più frequente è fare troppe modifiche e cambiamenti allo stesso tempo nel corso della migrazione, aggiungere “troppe variabili” che rendono anche difficile comprendere gli effetti del lavoro. In questi casi, infatti, diventa difficile identificare con certezza la causa di un problema, che potrebbe derivare dalla nuova struttura di URL, dalla differente tecnologia usata, dal nuovo contenuto, dalla migrazione, da cambi algoritmici di Google, da penalizzazioni o sanzioni e così via.

Il consiglio finale di Google è di fare un passo alla volta: concentrarsi prima sul trasferimento di dominio, poi cambiare deck di testo, poi eventualmente intervenire con altre cose. “Qualsiasi cosa tu stia facendo, fallo passo dopo passo”, dice Splitt, attendendo che Google faccia un nuovo crawling e processi il sito prima di metterci mano ancora.

Migrazione siti, cinque errori frequenti nel trasferimento

Quanto scritto dovrebbe averci aiutato a comprendere meglio cos’è la migrazione dei siti web e perché è un processo delicato per la SEO dei nostri progetti, ma anche a sfatare alcuni miti negativi che circondano l’argomento. Eppure, dicevamo, qualche effetto negativo può sempre verificarsi, soprattutto nelle prime fasi dopo il completamento dell’opera, e soprattutto c’è la possibilità di incappare in errori di migrazione che si trasformano in guai.

Le criticità con il processo di trasferimento di un sito

In generale, possiamo dire che il fallimento nella migrazione del sito web si verifica quando entrano in gioco alcune componenti, come una sottovalutazione dei rischi connessi al processo di trasferimento, una pessima pianificazione preventiva dei vari passaggi, l’assenza di una checklist delle operazioni da eseguire (o il mancato rispetto dei suoi punti) e, non ultimo, la mancanza di competenze tecniche necessarie da parte di chi esegue la migrazione.

  1. Dimenticare di trasferire le immagini

Uno degli errori più frequenti che si commettono durante la migrazione, soprattutto nel trasferimento da CMS a CMS, è dimenticare o trascurare le immagini. Queste risorse multimediali rappresentano una parte della strategia SEO in particolare per gli eCommerce, che traggono vantaggio e traffico anche dalle ricerche su Google Images. Pertanto, perdere ranking per la ricerca di immagini può significare anche perdita di conversioni.

È ancora Giuseppe Liguori a spiegarci che – in base alla sua esperienza – non esiste un modo semplice per migrare le immagini da CMS a CMS. Per eseguire nel miglior modo possibile questa operazione, consiglia di “tenere le vecchie cartelle ancora presenti per un periodo sufficientemente lungo, per poi attendere che Google capisca che la pagina è cambiata”, premettendo comunque che non è “la soluzione ottimale perché andrebbero gestiti anche lì i 301, ma non sempre è fattibile”.

  1. Non eseguire correttamente i redirect

La seconda categoria di errori riguarda la cattiva gestione dei redirect, che rappresentano lo strumento più importante per evitare disservizi e limitare i problemi. In questo caso, gli sbagli da evitare sono i reindirizzamenti temporanei (i redirect 301 devono essere permanenti o comunque restare attivi il più a lungo possibile, per non sfociare in altre tipologie e status di errore) o redirect del tipo “uno a tanti” verso la nuova home, che Google interpreta come “soft 404“.

Una strategia più efficace prevede, nel caso in cui una pagina vecchia non abbia corrispondenza esatta con una del nuovo sito, di reindirizzare la risorsa verso una pagina di categoria o una pagina che sia affine per contenuto trattato.

  1. Non impostare una pagina personalizzata per l’errore 404

Passiamo a un errore per così dire “di concetto”: una buona strategia di limitazione dei rischi e dei disservizi non può non prevedere la possibilità che qualcosa vada storto. Pertanto, nell’ottica di fornire comunque un’attenzione all’utente e alla sua esperienza sul sito, è sempre preferibile durante la fase di migrazione assicurarsi di progettare delle pagine personalizzate per l’errore 404, il più temuto status per i siti.

Leggendo le informazioni riportate su questa “pagina non trovata“, condite magari da un messaggio ironico o da consigli per atterrare su altre risorse utili, il lettore non si troverà disorientato ma potrà avere indicazioni per proseguire la navigazione all’interno del nuovo sito web

  1. File Robots.txt non configurato correttamente

Ben più gravi sono le conseguenze degli errori legati alla mancata o sbagliata configurazione del file robots.txt al termine del processo di trasferimento del sito: nella procedura regolare, bisogna aggiornare il file ed evitare che possano risultare bloccate risorse o sezioni del sito che invece devono essere aperte.

Altra criticità frequente è l’uso della direttiva disallow nel robots.txt su cartelle che contengono i file CSS e Javascript che sono necessari ai browser per disegnare correttamente la pagina e agli spider come Googlebot per scansionare e indicizzare correttamente gli elementi contenuti.

  1. Non controllare i backlink

L’ultimo errore che aggiungiamo a questo veloce elenco di problemi legati alla migrazione di un sito riguarda un argomento delicato per la SEO, ovvero i backlink che, come ripetiamo di frequente, sono tra i più importanti segnali di ranking su Google.

Pertanto, per evitare scossoni al posizionamento raggiunto dopo tanto lavoro e fatica, bisogna procedere con particolare criterio e attenzione in ogni fase della migrazione e verificare rigorosamente le impostazioni dei redirect sulle pagine che nel tempo avevano ricevuto backlink.

Verificare i backlink anche dopo i redirect

Oltre ai cambiamenti standard, come le modifiche ai link dei profili social in caso di trasferimento del dominio o rebranding, il consiglio generale è di procedere all’aggiornamento degli URL di riferimento dei collegamenti in ingresso verso il sito migrato, contattando eventualmente i singoli webmaster di questi siti (a cominciare da chi gestisce i domini più importanti e dal trust maggiore) per segnalare la migrazione e dunque richiedere la conseguente modifica ai link.

Il modo più efficace di procedere in questa operazione inizia nelle fasi preventive del processo di migrazione, quando si può scaricare l’elenco delle risorse che puntano verso il sito in dismissione grazie ai classici strumenti di analisi backlink, verificando poi a trasferimento completato che i redirect funzionano e se c’è la possibilità di linkare direttamente alle nuove risorse, semplificando così anche il percorso che deve seguire Google per raggiungere la destinazione corretta.

Migrazioni e cali di traffico del sito, 11 possibili cause

Nonostante le accortezze, però, possiamo comunque incappare in qualche errore, dimenticanza o leggerezza che rischia di compromettere il risultato e provoca un calo di traffico organico del sito: se, infatti, è naturale riscontrare delle fluttuazioni dei volumi delle visite e nei ranking nelle prime fasi successive al processo, la situazione può diventare critica in presenza di errori quali redirect sbagliati, collegamenti interni interrotti, blocchi nei file robots.txt o nella sitemap che possono far crollare le prestazioni del sito.

Scoprire i problemi presenti con un’analisi tecnica

Il primo passo per risolvere la questione è disporre di “un elenco completo dei problemi che affliggono il tuo sito, in modo da poter verificare e correggere eventuali problemi che potrebbero sorgere”, ci dice Ludwig Makhyan su Search Engine Journal.

Possiamo usare uno strumento come ScreamingFrog o lo spider di SEOZoom per scansionare il sito e trovare tutti i problemi specifici della pagina, come ad esempio

  • Redirect
  • Collegamenti interrotti / broken links
  • Contenuti duplicati
  • Problemi di metadati
  • txt URL bloccati.

Un altro consiglio è di lanciare una scansione principale ed eseguire il backup dei dati prima di qualsiasi migrazione o riprogettazione di un sito Web importante, così da avere dati per il confronto successivo e vedere cosa è cambiato. Allo stesso tempo, è necessario salvare una copia dell’HTML e del layout del sito prima di riprogettarlo, in modo da poterlo rivedere e rivisitare se necessario.

Errori con la migrazione del sito

Le 11 cause più comuni di cali di traffico dopo una migrazione

In base alla sua esperienza, Makhyan elenca quindi quali sono gli 11 motivi più comuni per cui si possono verificare cali di traffico dopo una migrazione, legati alla complessità del processo, che possono portare al fallimento dell’operazione in termini di redditività del sito.

Vale comunque il consiglio dato da Google: meglio non tornare indietro, ma tentare di risolvere tutti i problemi e insistere con il sito nuovo, a meno di ritrovarsi senza altre soluzioni, perché tutti i controlli eseguiti sul nuovo dominio non hanno dato esito né si identificano spiegazioni al crollo.

  1. Modifiche ai tag canonical

Cerchiamo le pagine del sito che hanno perso traffico o ranking, analizzando i tag canonical per vedere se sono stati modificati in un modo che possa aver influito sul traffico.

Alcuni dei problemi comuni con questi tag sono:

  • Indicazione di pagine non pertinenti.
  • Problemi di programmazione (esempio: barra finale mancante).
  • Indicazione di vecchi URL che non esistono più.
  1. Robots.txt e/o Contenuti non indicizzabili

Il secondo step è verificare il file robots.txt o le pagine che hanno perso traffico per vedere se sono ancora indicizzabili, perché il calo potrebbe derivare da un problema con l’indicizzazione. Google mette a disposizione uno strumento di verifica dei file robots.txt (Tester dei file robots.txt) che può aiutarci a identificare e correggere eventuali problemi che potremmo riscontrare con il file.

  1. Perdita di metadati

La migrazione potrebbe causare la scomparsa dei metadati del sito web durante il processo, perché nel trasferimento del database si possono perdere colonne relative ai title tag o alle meta description.

La scansione con gli strumenti di crawling e spider ci permette di verificare che i titoli e la descrizione siano ancora accurati e intatti; in caso contrario, sarà necessario reinserire questi importanti metadati, ritrovando quelli precedenti grazie al backup creato prima della migrazione oppure facendo una rapida ricerca su Google del sito utilizzando il comando “site: URL.com” per rileggere quelli nella memoria del motore.

  1. Perdita di velocità della pagina

In caso di migrazione completa del sito web o cambio di server, nel processo si può rischiare di perdere un po’ di velocità della pagina, e quindi è utile verificare le performance tecniche delle pagine con traffico in calo per monitorare la situazione.

In casi di effettiva perdita di velocità, potrebbe essere necessario:

  • Verificare che il CDN sia compreso nella migrazione e funzioni correttamente.
  • Verificare che il sistema di memorizzazione nella cache sia installato e funzioni correttamente.
  • Controllare PageSpeed Insights per trovare soluzioni facili che possono aumentare la velocità del sito.

Non bisogna poi dimenticare che anche i problemi del server potrebbero affliggere il sito e non consentirgli di caricarsi abbastanza velocemente.

  1. Link interni

I link interni sono un ottimo modo naturale per mantenere le persone sul sito e aiutano anche i motori di ricerca a passare da una pagina all’altra del sito. Dopo una migrazione è fondamentale controllare che i collegamenti interni nei blog post e nelle pagine riportino al nuovo sito corrente e non facciano riferimento a quello vecchio.

  1. Problemi di accessibilità dei contenuti

Google Search Console elenca tutte le pagine indicizzate del sito nel Rapporto sullo stato della Copertura, che segnala le pagine con errore, valide con avviso, valide o escluse. A conclusione del processo di trasferimento, quindi, è consigliabile monitorare questo report per scoprire se sono sorti eventuali problemi di accessibilità.

  1. Redirect interrotti

I reindirizzamenti del sito sono parte integrante di qualsiasi migrazione, sottolinea Makhyan, e “se non disponi di un piano di redirect 301 durante la migrazione del sito, avrai molti problemi dopo”, spiega l’esperto.

Il rischio è di perdere traffico perché “ai motori di ricerca non viene comunicato dove è stato migrato il tuo sito”, ma anche i visitatori potrebbero essere disorientati nel processo.

Dobbiamo andare alla ricerca di eventuali loop o catene di redirect che presentano problemi, provando a:

  • Pulire tutti i loop di reindirizzamento.
  • Seguire le catene di redirect per verificare che il reindirizzamento sia accurato.
  • Controllare che i vecchi URL siano reindirizzati correttamente ai nuovi URL, aggiornando i link alle pagine con 301 collegandoci invece alla nuova pagina.
  • Verificare che l’URL di inizio e l’URL di destinazione siano accurati.
  • Verificare anche lo stato finale e lo status code.

Un altro consiglio è utilizzare reindirizzamenti dalle vecchie pagine con il redirect 301 e non con redirect 302, che non sono permanenti.

  1. Link esterni persi

I link esterni restano un potente segnale per i motori di ricerca, e si può semplicisticamente dire che un ottimo sito con molti link organici avrà spesso un posizionamento elevato.

Dopo una migrazione, potrebbe essere utile contattare i proprietari di siti che ospitavano backlink al nostro vecchio dominio per chiedere loro di aggiornare i loro collegamenti al nuovo sito o di reindizzare i link a pagine simili sul nuovo progetto.

In caso contrario, la presenza di link interrotti o che puntano a pagine del vecchio sito non reindirizzate al nuovo può causare problemi con le classifiche di ricerca.

  1. Problemi di piattaforma / hosting

In caso di spostamento di piattaforma o server bisogna fare attenzione ad alcuni piccoli problemi che potrebbero far diminuire il traffico del sito:

  • Firewall che bloccano i bot dei motori di ricerca.
  • Piattaforme che utilizzano JavaScript, che è più difficile da eseguire per i bot.
  • Velocità basse e prestazioni scadenti.
  • Restrizioni del Paese.

In questi casi, è utile esaminare attentamente tutte le pagine che hanno avuto calo di traffico, provando prima a fare un test drive della piattaforma o del server nuovo “prima di andare all in e migrare il tuo sito”, che potrà dare le informazioni necessarie ad evitare problemi successivi.

  1. Immagini

Un’altra possibile causa di diminuzione di traffico organico sono gli errori con gli URL delle immagini, frequente quando il sito riceve molto traffico da queste risorse. Per evitare brutte sorprese, dobbiamo essere certi di linkare alle immagini giuste e al nuovo dominio corretto.

In caso di utilizzo di una rete CDN, dovrebbe essere semplice apportare una rapida modifica per trasferire tutte le immagini sul nuovo sito. Se usiamo un CNAME per creare gli URL di immagine, è fondamentale verificare che il CNAME stia puntando al nuovo sito e/o server.

  1. Update di Google

Se nei casi precedenti la responsabilità dei problemi era a carico nostro (o comunque di chi ha curato la migrazione), a volte anche la sorte può metterci lo zampino: è il caso di trasferimenti che arrivano in coincidenza di un aggiornamento dell’algoritmo di Google, che può quindi cambiare completamente le SERP.

In tale situazione, quindi, la perdita di ranking e traffico non è correlata strettamente alla migrazione, ma dipende appunto dagli update del motore di ricerca.

Come risolvere i problemi e recuperare il traffico

La raccolta e il benchmarking dei dati prima che avvenga la migrazione del sito web è fondamentale, dice Ludwig Makhyan, che quindi consiglia come elemento prioritario tenere traccia di tutte le modifiche prima e dopo questo delicato processo.

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La correzione di tutti i problemi del sito richiede tempo e pazienza, “ma la SEO richiede sempre un approccio a lungo termine”: in concreto, bisogna esamina il sito, verificare l’eventuale presenza di questi problemi e apportare le correzioni necessarie. Quando siamo soddisfatti delle modifiche, poi, bisogna comunque attendere alcuni giorni o settimane per vedere se il traffico torna ai livelli precedenti alla migrazione.

Se, trascorso questo periodo, il traffico sarà ancora drasticamente inferiore rispetto a quello precedente alla migrazione, potrebbe essere necessario chiedere supporto specializzato per trovare eventuali problemi fastidiosi che non riusciamo a identificare.

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