Oltre il search intent: capire le micro intenzioni per ottimizzare i contenuti

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È da anni che si parla di search intent, ritenuto il principale fattore da centrare e ottimizzare nei contenuti per cercare di ottenere visibilità sul motore di ricerca; più precisamente, però, bisogna provare a capire quali sono anche le micro intenzioni che sottendono alle query delle persone su Google, perché la crescente capacità di comprensione degli algoritmi renderà sempre più precisa la ricerca delle risposte nel Web.

Il valore del search intent

È questa la tesi di Mark Traphagen, che su Search Engine Journal invita a superare il (sempre fondamentale) search intent per imparare a cogliere quelle che definisce micro intention, ovvero una definizione più specifica delle necessità degli utenti del motore di ricerca.

L’esperto ricorda che negli ultimi anni le priorità SEO si sono spostate “da un focus sulle keyword a un approccio più incentrato sui contenuti”, che ha giustamente determinato un aumento della popolarità dell’argomento degli intenti di ricerca. Oggi, la maggior parte dei professionisti SEO concorda sul fatto che il contenuto costruito per particolari user intent non solo sia più utile per i visitatori, ma anche che possa più facilmente classificarsi sui motori di ricerca in modo opportuno.

Proprio i search engines, e Google in particolare, stanno investendo molto per migliorare la capacità di comprendere il search intent di una determinata query, perché hanno capito che “gli utenti sono più soddisfatti quando il contenuto non solo corrisponde a una parola chiave, ma indirizza l’intenzione della loro ricerca”.

L’articolo ricorda l’esempio del progetto Google BERT, il motore AI per l’elaborazione del linguaggio naturale che discerne l’intento di una query di ricerca e garantisce una migliore corrispondenza dell’intenzione: come sappiamo, questo algoritmo ora interessa quasi il 100% delle query di ricerca in lingua inglese, e quindi è il momento di “fare i conti” con l’evoluzione in atto.

Le categorie tradizionali del search intent

Classicamente, per la definizione del search intent si faceva riferimento ad alcune categorie di intenti piuttosto ampie, con un elenco che comprende di solito ricerche:

  • Informative: l’utente cerca informazioni su un argomento. Sono query solitamente contraddistinte da domande relative a chi / cosa / quando / dove / perché / come, anche se non è detto che questi termini debbano essere inclusi.
  • Navigazionali: l’utente desidera accedere a un sito o una pagina specifici. In genere questo utente ha in mente un compito particolare o conosce / sospetta la posizione delle informazioni che sta cercando.
  • Transazionali: l’utente desidera acquistare qualcosa, ma la transazione non è necessariamente monetaria. È un utente pronto per agire.
  • Local: l’utente sta cercando una risorsa geograficamente vicina alla sua posizione corrente (o una posizione dichiarata).

Queste categorie tradizionali ci sono state utili poiché “riassumono chiaramente i motivi principali per cui qualcuno si rivolge a un motore di ricerca (almeno in termini generali)”, dice Traphagen, e “aiutano professionisti SEO e gestori di contenuti a pianificare e creare contenuti che è più probabile che siano utili a determinati utenti e, quindi, più preziosi per i motori di ricerca”.

Le micro intenzioni, una definizione più precisa delle necessità degli utenti

Ma gli utenti stanno affinando sempre più le loro capacità di ricerca e sempre più spesso provano query diverse e più specifiche se la prima non ha dato gli esiti sperati; allo stesso tempo, come dicevamo, anche gli algoritmi hanno fatto enormi passi in avanti per comprendere meglio le esigenze delle persone. Per tali motivi, suggerisce l’esperto, bisogna riuscire a suddividere i macro-intenti classici in intenzioni più “piccole”, così da lavorare in modo più preciso.

Per lui, è altamente probabile che “strumenti basati sull’apprendimento automatico come BERT consentano ai motori di ricerca di andare più in profondità rispetto alle tradizionali categorie di user intent e di discernere ciò che potremmo chiamare micro-intenzioni”.

Lo zero moment of truth di Google per il marketing

In effetti, già Google aveva parlato “dell’utilità di aumentare la granularità di ampie categorie in altri contesti”, introducendo il concetto di micro-momenti, che rappresentano un miglioramento della tradizionale comprensione della customer journey e vanno oltre le tradizionali categorie del funnel. Nel mondo online, “spesso i consumatori hanno molti piccoli passaggi su più dispositivi che influenzano la loro decisione di acquisto finale” e diventa cruciale il cosiddetto “zero moment of truth” di Google, un’aggiunta al tradizionale percorso di marketing.

Questo momento zero di verità consiste in “tutte le interazioni che un consumatore potrebbe avere su numerosi dispositivi nel tempo che, insieme, influenzano la sua decisione di acquisto finale”.

Lo zero moment of truth di Google

Perché studiare le micro intenzioni

Possiamo pertanto applicare un modello simile per sviluppare il concetto di “micro intenzioni”: le più piccole e multiple intenzioni di ricerca che una persona potrebbe avere all’interno delle più ampie categorie dei tradizionali search intent.

Secondo Traphagen, l’atto di “ottimizzare per la ricerca è un tentativo di fornire la risposta più autorevole e pertinente a una query nel modo più intuitivo possibile”.

Le micro intenzioni aiutano proprio in termini di autorità / pertinenza / usabilità, perché “affinano la pertinenza del contenuto per particolari esigenze degli utenti a un livello più netto di quanto sia possibile con le sole quattro grandi categorie tradizionali di intenzioni”.

Alcuni possibili esempi di micro intenzioni

Il concetto sviluppato dall’esperto SEO è utile soprattutto per alcuni tipi di query – ad esempi, dice, per “la navigationatal e l’intenzione dell’utente locale il numero di micro intenzioni corrisponde alla diversità delle query, in quanto il micro intento è inerente alla query stessa”.

È invece nelle query informative e transazionali che le micro intenzioni possono fare la differenza, e chi le comprende può dare una spinta alle proprie pagine.

Dunque, ecco una panoramica dei micro search intent ipotizzati da Traphagen.

  1. Micro intenti informativi

All’interno della più ampia categoria di intento informational è possibile individuare alcune micro intenzioni più specifiche.

  • Educativo (educational). L’utente desidera scoprire qualcosa in più di una risposta rapida o un fatto particolare su un argomento. Il contenuto educativo viene creato per l’utente che vuole espandere la propria conoscenza su un topic e che, al termine della lettura, “saprà molto di più rispetto a prima che facesse la query”. Pertanto, è in genere “più lungo della maggior parte delle altre forme di contenuto informativo”.
  • Fattuale (factual). L’utente desidera conoscere o verificare un fatto specifico.
  • Istruttivo (instructional). L’utente vuole sapere come fare
  • Espansionale (expansional). L’utente desidera argomenti correlati o aree di espansione su un argomento di base.
  • Aggregazionale (aggregational). L’utente desidera vedere una varietà di pensieri o opinioni su un argomento.

Ognuno di questi micro intent richiama un tipo specifico di contenuto e offre un “contesto prezioso che la sola informational non dà”.

  1. Micro intenti transazionali

Molte query transazionali sono micro intenzioni autonome, in maniera simile al funzionamento delle query sugli intenti locali e di navigazione: ovvero, “contengono il micro intento dentro di sé”, come nel caso della ricerca “acquistare una fotocamera digitale Nikon d5600″.

Ma ci sono anche vere micro intenzioni per query transazionali meno specifiche:

  • Di categoria (categorical). L’utente desidera “acquistare un tipo di oggetto, ma non gli interessa necessariamente quale di quel tipo acquisterà”, perché sono interessati primariamente a vedere una visualizzazione di opzioni, per poi eseguire la loro scelta da lì.

Potrebbe sembrare una query informativa, ma non lo è (per scopi di ricerca) perché l’utente è pronto per l’acquisto e non è interessato come prima priorità a cercare maggiori informazioni prima di acquistare.

  • Di localizzazione (locational). Un eccellente esempio di come le quattro grandi intenzioni possano confluire l’una nell’altra: in questo caso, l’utente è pronto per l’acquisto e vuole solo sapere dove Il “dove” non è necessariamente un luogo fisico, ma sono comunque in gioco elementi di intento informativo e locale, e l’obiettivo per un sito è “essere l’opzione migliore in ogni modo possibile”.
  • Generico (generic). A questo utente non interessa quale marca acquista, perché vuole solo comprare ciò di cui ha bisogno. Le informazioni su una landing page per questo micro intento devono andare oltre i brand disponibili per concentrarsi su altri fattori di differenziazione (prezzo, caratteristiche e così via).

Come sfruttare i micro intenti nella strategia di produzione di contenuti

Il concetto di micro intenti è particolarmente utile “per i professionisti SEO e i content strategist che cercano di aumentare il traffico e le entrate del sito ampliando la gamma di query per le quali si posiziona”.

Dopo aver ottimizzato le pagine per tutti i termini principali ad alto volume per il proprio mercato, dice l’autore, “una crescita ulteriore può avvenire solo scavando più a fondo nelle query long tail”, ed è qui che la progettazione di contenuti per micro intenzioni può produrre risultati migliori rispetto al semplice affidarsi alle “tradizionali quattro grandi intenzioni”.

È importante ricordare che “Google sta attivamente cercando di migliorare la sua capacità di abbinare le query degli utenti al contenuto che corrisponde più esattamente alle loro intenzioni”, e “con la tecnologia in stile BERT è molto probabile che lo stiano facendo a un livello molto più granulare rispetto ai quattro grandi intenti”.

Secondo Traphagen, questo “significa che c’è un traffico significativo in ballo verso i siti che possono creare il maggior numero di contenuti mirati a micro intenzioni”.

Per riuscire a scoprire questi intenti, si può sfruttare il box “People also ask” (le persone cercano anche) per individuare quali categorie micro-intenzionali le persone stanno cercando nelle nostre aree tematiche e usare le domande specifiche fatte dalle persone come utili indizi.

Negli Stati Uniti, inoltre, Google ha attivato uno strumento che si chiama Google Question Hub, una piattaforma che raccoglie query di ricerca senza risposta per i creatori di contenuti, editori e giornalisti.

Inoltre – aggiungiamo noi – i nostri strumenti di ricerca degli intenti come search intent tool (per analizzare le intenzioni di ogni keyword, soprattutto in fase di pianificazione editoriale) e URL search intent tool (per analizzare se un URL già pubblicato ha centrato gli intenti) sono pensati proprio per ottimizzare questi aspetti e sono quindi utili anche per rispondere a intenzioni “micro”.

Infine, è sempre utile ascoltare i nostri clienti, parlare con i rappresentanti di vendita e del servizio clienti e analizzare le analisi di ricerca interna del nostro sito, per cercare altri indizi sulle microintenzioni nel nostro mercato.

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