Addio Google News? Da qualche giorno, l’1% degli utenti di otto Paesi europei, Italia compresa, non trova più risultati provenienti dagli editori dell’Unione in Google News, Discover e persino nella Ricerca Google. Non si tratta di un errore, ma di un test di Google, che ha scelto di sospendere la visibilità delle testate europee sui suoi principali servizi per un campione selezionato. L’obiettivo dichiarato è valutare l’impatto che i contenuti editoriali hanno sull’esperienza degli utenti, sul traffico verso i siti di notizie e, più in generale, sull’intero ecosistema della digitalizzazione delle informazioni. Questa scelta unilaterale e, a quanto pare imprevista, ha provocato la reazione preoccupata degli editori, che pure in passato vedevano in Google una sorta di competitor per il traffico. Insomma, il nuovo capitolo della disputa apre nuovi scenari sulle relazioni ormai logorate tra Big Tech e il mondo editoriale, su cui cerchiamo di far luce analizzando tensioni, numeri e prospettive future per chi pubblica notizie.
Google News Europa: cosa sta succedendo
Il 14 novembre 2024, Google ha avviato un test che coinvolge l’1% degli utenti in otto nazioni dell’Unione Europea: Belgio, Croazia, Danimarca, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia e Spagna.
Durante l’esperimento, i contenuti degli editori con sede nell’UE saranno esclusi dai risultati di Google News, Discover e Ricerca Google.
Secondo quanto dichiarato da Google, il test si pone come un esperimento per raccogliere dati su quanto le notizie influenzino l’uso dei prodotti della Big Tech e il traffico verso i siti degli editori. Pur trattandosi di un campione relativamente esiguo, la scelta di escludere completamente richiami e snippet alle fonti europee mette in discussione il delicato equilibrio che regola il rapporto tra editori e motori di ricerca. E difatti l’iniziativa, seppur limitata nel tempo e nelle proporzioni, ha suscitato profonde reazioni sia nel settore editoriale che nel mondo politico, a causa delle sue potenziali implicazioni sulla visibilità e sul traffico dei siti di news.
Inoltre, sempre per chiarire il contesto più ampio, questo test arriva in un momento di tensione crescente nel contesto delle normative sul copyright digitale: se da un lato i colossi digitali continuano a essere necessari per i volumi di traffico che generano, la loro indipendenza decisionale pone gli editori in una posizione sempre più fragile, che le norme provano a rafforzare.
Le spiegazioni: perché il test su Google News
In un post pubblicato sul blog ufficiale della compagnia, la Managing Director di News and Publishing Partnerships, Sulina Connal, ha spiegato che l’operazione arriva in risposta a richieste dirette da parte di editori e autorità regolatorie. L’obiettivo, secondo l’azienda, è fornire dati più approfonditi e concreti su come i contenuti editoriali influenzino l’esperienza degli utenti nella ricerca e il traffico generato verso i siti di news, in modo da fornire maggiore trasparenza sui benefici reciproci tra Google e gli editori.
Tuttavia, il modo in cui l’esperimento è stato strutturato – senza consultazioni preventive e con una scelta autonoma delle modalità di attuazione – ha suscitato forti critiche. La mancanza di dialogo, secondo le associazioni degli editori, rappresenta una violazione del principio di trasparenza che dovrebbe guidare ogni attività con ricadute importanti su un settore già vulnerabile. Inoltre, non mancano dubbi sul reale scopo di questo test: molti sospettano che dietro l’iniziativa vi sia un tentativo di mostrare agli editori il proprio potere contrattuale in vista di future negoziazioni sull’equo compenso previsto dalla Direttiva Europea sul Copyright (EUCD).
Cosa cambia per l’Italia e gli altri Paesi coinvolti
Nel concreto, il test modifica l’esperienza di navigazione per una piccola percentuale di utenti nei Paesi coinvolti: se ne facciamo parte, non troveremo risultati relativi agli editori europei nella Ricerca organica, nella scheda Notizie di Google o nel feed Discover. Eventuali contenuti di editori di nazioni extra-UE – come Stati Uniti o Paesi asiatici – continueranno invece a comparire normalmente. Sebbene i numeri dell’esperimento siano limitati, le conseguenze potenziali sono rilevanti, considerando che una porzione importante del traffico digitale verso i siti editoriali dipende storicamente da Google.
In paesi come l’Italia, dove la dipendenza degli editori dai flussi di traffico generati dal motore di ricerca è particolarmente alta, la prospettiva di una rimozione delle notizie europee anche solo temporanea rappresenta un preludio preoccupante. Gli effetti saranno misurabili sia in termini di perdita immediata di visibilità sia nella percezione degli utenti, che potrebbero iniziare a sostituire le fonti tradizionali con altre piattaforme online o extra-europee.
Le peculiarità del caso francese: la sospensione obbligata dal tribunale di Parigi
Un caso a parte è rappresentato dalla Francia, inizialmente inclusa nell’esperimento, ma poi esclusa in seguito all’intervento del Tribunale del Commercio di Parigi. Il test è stato sospeso su territorio francese poiché ritenuto in violazione degli impegni che Google aveva assunto con le autorità sulla gestione trasparente delle relazioni con gli editori. Il Syndicat des Éditeurs de la Presse Magazine (SEPM) si è rivolto al tribunale, ottenendo una misura che obbliga Google a interrompere il test, pena una sanzione di 900.000 euro al giorno.
Il tribunale ha motivato la decisione affermando che l’esperimento minacciava di alterare gli equilibri stabiliti dalla Direttiva Europea sul Copyright, compromettendo il fragile accordo negoziato a margine delle normative. Per la Francia, che rappresenta uno dei mercati editoriali più prominenti d’Europa, questa decisione rappresenta non solo un successo legale, ma anche un chiaro messaggio all’azienda statunitense: modifiche unilaterali al panorama digitale non saranno tollerate senza il coinvolgimento degli attori locali.
Le tensioni in Francia mostrano quanto complessa sia ormai la relazione tra colossi del digitale ed editoria tradizionale. Nonostante Google abbia cercato di dimostrare il suo impegno nei confronti della direttiva europea attraverso strumenti come il programma Extended News Previews (ENP), che coinvolge oltre 4.000 testate in 20 paesi, rimane un sentiero fragile da percorrere. Il test sembrerebbe ora rientrare nel più ampio scontro tra Big Tech ed Europa, dove ogni mossa può determinare precedenti destinati a influenzare profondamente il futuro del mercato editoriale continentale.
La citazione della decisione del Tribunale del Commercio di Parigi
Il ricorso presentato dal SEPM è stato accolto dai giudici francesi in tempi estremamente rapidi. Il fulcro della contestazione legale era che il test ideato da Google violasse gli accordi negoziati con le autorità anticoncorrenza francesi nel 2022, quando fu aperto il mercato sulla redistribuzione degli introiti derivanti dai contenuti editoriali. Secondo l’ordinanza emessa dal tribunale, il test avrebbe avuto un impatto diretto sulla presentazione, indicizzazione e ranking dei contenuti protetti, rappresentando una violazione esplicita degli impegni vincolanti assunti da Google.
Per sottolineare la gravità della situazione, il tribunale ha disposto una multa di 900.000 euro per ogni giorno di test attivo, con l’obbligo di una sospensione immediata fino a una decisione successiva. Si tratta di cifre commisurate all’impatto economico che una rimozione dei contenuti avrebbe potuto generare, sia in termini finanziari che di equilibri tra editori e piattaforme tecnologiche. Google, prendendo atto della decisione, ha sospeso il test “per il momento”, evidenziando di essere al lavoro per valutare nuove modalità di dialogo con le parti coinvolte.
Le motivazioni legali che hanno portato alla sospensione
La struttura legale che ha supportato la sospensione del test ha radici profonde nella Direttiva Europea sul Copyright e nelle normative francesi di protezione del mercato editoriale. La Francia è stata uno dei primi paesi a recepire la Direttiva UE già nel 2020, imponendo alla Big Tech la retribuzione per l’utilizzo di contenuti editoriali online. Questa normativa è stata accompagnata da numerose decisioni regolatorie, culminate con l’accordo del 2022 tra Google e diverse agenzie editoriali.
Il test annunciato da Google, secondo i giudici francesi, non solo minava la solidità di tali accordi, ma poneva il rischio di compromettere la parità di accesso al mercato dell’informazione. L’eliminazione temporanea dei contenuti giornalistici europei avrebbe creato una condizione asimmetrica tra editori UE e altri fornitori di notizie internazionali (come quelli statunitensi), favorendo uno squilibrio nei flussi di traffico che sarebbe stato difficile recuperare anche successivamente.
Ulteriore elemento di discussione è stata la mancanza di trasparenza di Google, accusata di non aver comunicato anticipatamente il piano agli editori. Questa carenza di consultazione è stata ritenuta incompatibile con il quadro legislativo esistente e, soprattutto, con gli intenti della Direttiva Copyright, nata proprio per ricostituire un dialogo equo tra piattaforme e produttori di contenuti.
La decisione del Tribunale del Commercio di Parigi non si limita a un contesto nazionale, ma rappresenta una pietra miliare in quella che potrebbe diventare una reazione coordinata degli altri stati membri dell’Unione Europea. La Francia si è posta come un modello da seguire, dimostrando che un approccio fermo e tempestivo può arginare iniziative percepite come destabilizzanti o punitive da parte delle Big Tech. Per i paesi coinvolti nel test di Google, la vicenda francese apre interrogativi significativi: sarà possibile adottare misure simili per proteggere gli editori locali e salvaguardare l’equilibrio di mercato? O, al contrario, si rischia di procedere verso approcci discordanti privi di una visione comune?
Questo caso solleva inoltre riflessioni più ampie sul ruolo delle istituzioni europee: potrebbe infatti accelerare interventi da parte della Commissione Europea volti a uniformare le regolamentazioni e impedire che test unilaterali come quello di Google possano alterare il fragile rapporto tra piattaforme digitali e l’ecosistema editoriale. Fino ad allora, il “caso Francia” rimane un esempio di resistenza efficace, ma evidenzia anche l’urgenza di trovare meccanismi di tutela armonizzati a livello europeo per garantire un futuro sostenibile all’informazione digitale.
Le reazioni degli editori: accuse di mancanza di trasparenza e paura di un precedente pericoloso
La risposta editoriale contro la decisione di Google di avviare un test senza coinvolgere direttamente gli attori del settore è stata ferma e decisa. Le principali associazioni che rappresentano l’editoria europea – European Magazine Media Association (Emma), European Newspaper Publishers’ Association (Enpa) e News Media Europe (NME) – hanno subito puntato il dito contro la mancanza di dialogo, definendo l’iniziativa una manovra pericolosa, capace di mettere a rischio il modello economico stesso su cui si reggono molte testate giornalistiche. L’accusa principale è che questa decisione, unilaterale e non condivisa, crea un precedente allarmante, amplificando il potere di una piattaforma dominante come Google a scapito del fragile ecosistema editoriale europeo.
Emma, Enpa e NME: una difesa del modello di business editoriale
In una lunga dichiarazione ufficiale, le tre associazioni hanno sottolineato la gravità della situazione. La denuncia si articola su due fronti principali: da un lato, la mancanza di trasparenza con cui Google ha calato dall’alto il test, senza dare preavvisi né spiegazioni dettagliate sulle sue implicazioni; dall’altro, il rischio concreto che la mossa rappresenti una minaccia diretta per la redditività del settore editoriale europeo. Gli editori ritengono che, nonostante i proclami sul miglioramento della trasparenza attraverso i dati ricavati dall’esperimento, la scelta sia stata concepita per rafforzare la posizione negoziale di Google e non per supportare realmente il sistema delle news.
Puntare tutto sui modelli digitali di traffico significa dipendere in modo diretto dai flussi generati dai motori di ricerca. Emma, Enpa e NME si sono unite su questo principio, chiedendo a gran voce non solo la sospensione del test, ma anche l’avvio di un confronto strutturato con editori e stakeholder europei per evitare che decisioni simili possano causare danni irreversibili. La protezione del pluralismo informativo, per le associazioni, passa dalla difesa del loro modello di business, che rischia di essere schiacciato dalla sproporzionata influenza che Google esercita sul panorama digitale.
La decisione unilaterale di Google: strategie e accuse specifiche
La critica più ricorrente da parte degli editori è rivolta al metodo adottato da Google: una decisione unilaterale, non contestualizzata e potenzialmente vessatoria nei confronti di un mercato già caratterizzato da profonde fragilità. Per le associazioni, il test ha l’aspetto di una manovra strategica volta a dimostrare agli editori quanto essi dipendano da Google per la visibilità e il traffico verso i loro contenuti. Di fatto, gli editori percepiscono l’iniziativa non come un esperimento neutrale, ma piuttosto come un chiaro avvertimento: senza l’ecosistema di Mountain View, la sopravvivenza del giornalismo digitale potrebbe essere ancora più complicata.
Le accuse mosse verso Google non riguardano solo il mancato preavviso o la metodologia di esclusione dei contenuti, ma colpiscono direttamente l’asimmetria di potere che caratterizza il rapporto tra la piattaforma e le testate giornalistiche. Con questa scelta, Google sembra voler ribadire la sua posizione dominante, dando prova di come possa influenzare in modo determinante il traffico organico e, conseguentemente, i ricavi pubblicitari di molti editori.
I precedenti internazionali: parallelismi con Spagna, Canada e Australia
Non è la prima volta che Google si trova ad affrontare polemiche e contestazioni in tema di gestione e pagamento dei contenuti editoriali. Un caso emblematico si è verificato in Spagna nel 2014, quando il governo introdusse una normativa che obbligava le piattaforme digitali a retribuire gli editori per l’uso dei loro contenuti. La risposta di Google fu drastica: chiudere completamente Google News nel Paese iberico, con effetti devastanti soprattutto per i piccoli editori, che registrarono un calo consistente di traffico organico, stimato attorno al 20%.
Un episodio simile si è verificato in Australia, dove il governo ha imposto una legge che rendeva obbligatoria la negoziazione di compensi per i contenuti editoriali utilizzati su piattaforme digitali. Dopo aver minacciato di chiudere il motore di ricerca nel paese, Google ha infine optato per accordi diretti con i grandi gruppi editoriali, lasciando però forti perplessità sul destino dei media indipendenti. Il Canada, invece, ha visto Google reagire istituendo limitazioni temporanee ai collegamenti di notizie come resistenza alle normative sulla redistribuzione dei ricavi pubblicitari.
Questi casi non fanno che evidenziare quanto sia delicato l’equilibrio tra le piattaforme globali e l’editoria locale. E il test europeo non sembra affatto estraneo a questa dinamica di conflitti e negoziazioni, che spesso vedono Google dettare i termini delle discussioni.
Il timore di un “ricatto implicito” nel settore editoriale
Tra le righe delle accuse mosse a Google, emerge una paura condivisa: che l’esperimento possa rappresentare una sorta di dimostrazione di forza strategica. L’obiettivo percepito dagli editori non sarebbe solo quello di raccogliere dati utili, ma anche quello di sottolineare – in modo implicito – quanto essi siano vulnerabili senza il supporto della piattaforma.
L’idea che Google possa calcolare l’esatta perdita di traffico causata dall’assenza di contenuti su News e Discover è vista come un messaggio destinato a rafforzare il ruolo negoziale dell’azienda in futuri accordi commerciali o nell’applicazione dell’EUCD. Questo timore rispecchia una dipendenza di fondo che molti editori ritengono di non poter più ignorare: Google e altre piattaforme non sono semplici aggregatori, ma veri e propri gatekeeper digitali, in grado di definire il futuro del settore dell’informazione online.
Alla luce di tutto questo, come dicevamo, l’appello degli editori punta non solo alla sospensione immediata del test, ma soprattutto a una revisione complessiva delle dinamiche che regolano il rapporto tra le grandi piattaforme tecnologiche e l’editoria digitale.
Addio Google News: l’impatto sul traffico organico per i siti che producono notizie
Il test avviato da Google non è solo un esperimento tecnico, ma un evento che può incidere sensibilmente sull’ecosistema dell’informazione online. Per i siti che producono notizie, la rimozione temporanea dei contenuti dall’1% dei risultati di ricerca Google News, Discover e Search nei paesi dell’UE coinvolti rappresenta un banco di prova che genera preoccupazione per le implicazioni immediate e per gli scenari futuri.
Le esperienze passate in Europa, in particolare in Spagna e Germania, offrono indicazioni preziose su ciò che accade quando Google riduce o elimina il supporto ai contenuti editoriali. Nel caso spagnolo, la decisione di Google di chiudere Google News nel 2014, in risposta alla normativa sulla retribuzione obbligatoria per gli snippet, ha provocato una perdita drastica per molti siti di notizie. Le stime parlano di un calo del 20% del traffico totale per gli editori più piccoli, penalizzati dalla mancanza di un’interfaccia in grado di indirizzare lettori verso i loro articoli. Il flusso di visite organiche dipende infatti fortemente dagli aggregatori, e la loro mancanza si è tradotta in minori entrate pubblicitarie e nella perdita di competitività rispetto ai grandi gruppi editoriali.
In Germania, dove Google aveva inizialmente limitato gli snippet per evitare il pagamento dei diritti richiesti dagli editori, si è rapidamente evidenziato un impatto simile. Il conseguente declino nel traffico organico, generato dall’assenza di anteprime nei risultati di ricerca, ha spinto gli editori a fare marcia indietro, rinunciando alle richieste di compensi pur di ripristinare la visibilità iniziale e minimizzare i danni economici.
Le cifre fornite da Google: valore per click e flussi di traffico mensili
A dare ulteriore peso agli effetti del test sono i numeri che accompagnano l’impatto di Google sulle dinamiche dei siti di news. Secondo i dati condivisi dalla stessa azienda, ogni mese vengono indirizzati oltre 24 miliardi di clic verso siti di notizie in tutto il mondo, generando un valore medio pari a 7-9 centesimi di euro per clic in un mercato maturo come quello europeo. Questo flusso, se tradotto in termini di fatturato pubblicitario e visibilità, diventa cruciale per la sostenibilità di molte testate giornalistiche. Per alcuni piccoli editori, questi introiti rappresentano una fetta essenziale delle rendite complessive.
Il traffico proveniente da Google non è solo quantitativo, ma qualitativamente determinante nella costruzione dell’autorevolezza e della rilevanza di un sito. Essere visibili tra i primi risultati della Ricerca Google costituisce il cuore della strategia SEO degli editori, che puntano su una miscela di contenuti di qualità e ottimizzazioni tecniche per intercettare i lettori. Senza questa fonte primaria di accesso al pubblico, diventerebbe sempre più difficile restare competitivi in un panorama dove il consumo di notizie si frammenta tra molteplici piattaforme.
Il peso strategico di Google News per l’editoria digitale: vantaggi e dipendenze
Google News, così come Discover e il motore di ricerca principale, ha assunto nel tempo un ruolo strategico e allo stesso tempo controverso per l’ecosistema editoriale digitale. Da un lato, il servizio consente ai lettori di accedere rapidamente a un’ampia varietà di fonti e genera visibilità per gli editori; dall’altro, la sua centralità nel distribuire traffico ha creato una dipendenza strutturale che risulta difficile da scardinare.
Per i media digitali, soprattutto per quelli di minori dimensioni o focalizzati su mercati locali, Google rappresenta spesso la principale fonte di traffico, lasciando poche alternative per raggiungere il pubblico e posizionare efficacemente i propri contenuti. Tuttavia, la concentrazione di tale potere in una sola piattaforma espone gli editori a rischi altissimi quando le regole del gioco cambiano. Il test in corso mette ulteriormente in luce questa dinamica: la temporanea rimozione dei contenuti dal motore di ricerca dimostra quanto fragile sia la posizione di chi opera all’interno di un’economia digitale regolata dagli algoritmi dei grandi colossi tecnologici.
Come TikTok, Facebook e altre piattaforme stanno rimodellando il ruolo delle news online
Se il 2010 è stato il decennio della centralità di Google e Facebook, oggi il panorama dell’informazione digitale è in continua evoluzione, spinto dall’emergere di piattaforme come TikTok. Negli Stati Uniti, oltre il 40% degli utenti di TikTok dichiara di utilizzare l’app non solo come mezzo di intrattenimento, ma anche come canale per informarsi sulle notizie. Questo trend, in crescita anche in Europa, evidenzia un cambiamento fondamentale nella fruizione delle news: i lettori, soprattutto più giovani, si spostano verso fonti alternative, più dinamiche e basate su formati visivi e narrativi brevi, in linea con le logiche dei social media.
Nel frattempo, anche Meta (con Facebook e Instagram) ha progressivamente ridotto la visibilità concessa ai contenuti giornalistici nei feed, penalizzando ulteriormente i media che un tempo si affidavano al traffico referral generato dai social network. La discesa dei contenuti giornalistici nei canali tradizionali, unita all’ascesa di formati nativi video come quelli di TikTok, sta quindi riformulando il ruolo delle notizie online, costringendo gli editori a ripensare le proprie strategie distributive.
Questi cambiamenti rendono ancora più pressante la necessità per i media di diversificare le fonti di traffico, come dicevamo anche parlando di come fare SEO oggi: l’apertura a un ecosistema più variegato non è più un’opzione, ma una strada obbligata per sostenere il presente e costruire un futuro meno esposto agli equilibri di forza imposti dai grandi player tech.
Google ed Europa: il lungo conflitto per le news
La relazione tra Google e l’editoria europea è un intreccio complesso, costruito su oltre un decennio di tensioni, compromessi, e momenti di forte contrapposizione. Questo legame è diventato il simbolo di come i grandi attori del digitale abbiano progressivamente ridefinito il valore e le dinamiche della distribuzione dei contenuti online. Dalle prime proteste degli editori nel 2014 fino alle normative più recenti sul copyright, il percorso condiviso tra la Big Tech americana e le istituzioni europee offre uno spaccato delle nuove sfide che regolano il rapporto tra piattaforme e produttori di contenuti.
Il 2014 segna un punto di svolta nelle relazioni tra gli editori europei e Google. Le preoccupazioni espresse in una lettera aperta da Axel Springer e altri grandi gruppi editoriali, in cui si denunciava l’egemonia della piattaforma nella distribuzione dei contenuti, aprono una stagione di intensi confronti. Al cuore della questione c’era, allora come oggi, il tema del valore economico dei contenuti editoriali, che secondo gli editori veniva cannibalizzato dai servizi di aggregazione delle notizie e dai risultati di ricerca, privando i publisher di compensazioni adeguate.
La risposta dell’Unione Europea non si è fatta attendere. L’approvazione della Direttiva Europea sul Copyright (EUCD) nel 2019 rappresenta l’apice di questo lungo scontro. Grazie a questa direttiva, i contenuti editoriali pubblicati online acquisiscono una nuova tutela, imponendo alle piattaforme digitali di riconoscere un compenso agli editori per l’utilizzo di snippet, anteprime e link. Tuttavia, il percorso verso l’implementazione pratica della norma è stato tutt’altro che semplice. Le resistenze da parte delle Big Tech, Google in primis, e le interpretazioni divergenti tra i vari stati dell’UE hanno fatto emergere i punti deboli di un contesto normativo ancora in divenire.
Il blocco di Google News in Spagna e il programma ENP: evoluzione del rapporto
Uno degli eventi più emblematici del conflitto è il blocco di Google News in Spagna, avvenuto come ricordato nel dicembre del 2014.
Il braccio di ferro con il colosso tech si è risolto a sfavore dei piccoli e medi fornitori di contenuti, che hanno visto un crollo significativo del traffico organico e delle entrate pubblicitarie, e ha quindi fornito una risposta molto chiara alla questione “chi perde di più quando Google decide di ritirarsi?”.
Mentre la Spagna è rimasta per anni esclusa dall’ecosistema di Google News, in altri mercati, come la Germania, si è cercato di trovare un compromesso, seppur con notevoli attriti. Proprio da queste esperienze nasce l’introduzione del programma Extended News Previews, una risposta diretta di Google alla Direttiva Copyright. Lanciato nel 2021, l’ENP consente agli editori di ricevere licenze specifiche per consentire la pubblicazione delle anteprime dei contenuti editoriali sulle piattaforme di Google. Attualmente, oltre 4.000 testate in 20 paesi europei partecipano al programma, beneficiando di compensi basati su criteri come la frequenza di visualizzazione e i ricavi pubblicitari generati dalle pagine in cui sono mostrati i contenuti.
Pur rappresentando un progresso verso una maggiore equità, l’ENP non ha risolto tutte le tensioni. Per molti editori, i termini dell’accordo non garantiscono comunque ricompense proporzionate al reale valore economico che Google trae dai contenuti editoriali. Inoltre, resta vivo il timore che strumenti come ENP siano una soluzione tattica per prevenire l’applicazione legale di sanzioni più pesanti.
Il caso francese del 2024: sanzioni e multe per 250 milioni di euro
La Francia ha rappresentato un altro epicentro dello scontro tra Google e l’editoria europea. Nel 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza francese ha imposto a Google una sanzione da 250 milioni di euro per non aver rispettato gli impegni presi nell’ambito della negoziazione dei diritti connessi al copyright. Le indagini avevano evidenziato che, nonostante gli accordi con gli editori francesi, Google aveva agito in modo poco trasparente, sfruttando i contenuti editoriali, senza fornire una remunerazione adeguata.
Il caso francese non è un’eccezione, ma un chiaro esempio di come molti stati europei stiano adottando una posizione più incisiva nei confronti delle piattaforme tecnologiche. Proprio come avvenuto con il blocco del test da parte del Tribunale del Commercio di Parigi, la Francia dimostra che l’applicazione rigorosa della normativa può contrastare gli abusi di posizione dominante, pur restando ancora margini di miglioramento per garantire una regolamentazione uniforme a livello comunitario.
Un modello di convivenza difficile: tra vantaggi reciproci e continui attriti
Nonostante i conflitti e le polemiche, è innegabile che il rapporto tra Google e gli editori sia simbiotico. Da un lato, Google offre ai publisher visibilità senza precedenti e flussi costanti di traffico, trasformandosi in una fonte di lettori indispensabile; dall’altro, gli editori forniscono i contenuti di qualità che Google utilizza per mantenere rilevante la sua offerta su piattaforme come Google News e Discover. Questa interdipendenza, tuttavia, crea una dinamica sbilanciata, in cui l’autonomia degli editori risulta spesso subordinata alle scelte strategiche della piattaforma.
Il test attualmente in corso in Europa non è altro che un nuovo capitolo di una narrazione già vista, in cui ogni mossa di Google sembra volta a evidenziare quanto i publisher dipendano dal motore di ricerca sia in termini economici che di reach. L’eventualità di un maggiore controllo regolatorio sui grandi player tech, così come una ridefinizione delle modalità con cui i ricavi pubblicitari sono distribuiti, sarà il banco di prova per stabilire se il modello attuale sia realmente sostenibile per entrambe le parti. Fino ad allora, la convivenza tra Google e l’editoria europea rimarrà segnata tanto dai reciproci vantaggi quanto dagli attriti continui e dalle battaglie legali che ne caratterizzano il percorso.
Cosa hanno imparato (e non imparato) gli editori da queste esperienze
Le esperienze in Spagna e Germania consegnano agli editori europei alcune lezioni chiave, ma mostrano anche come le sfide continuino a restare aperte, in particolare sul piano di modelli economici più sostenibili.
La prima grande lezione è legata alla dipendenza dal traffico generato da una sola piattaforma: sia in Spagna che in Germania, gli editori hanno dimostrato quanto siano vulnerabili a decisioni che escludano o limitino la visibilità delle loro notizie su Google. Questa centralità di un unico attore mette in dubbio la capacità degli editori di mantenere la propria autonomia economica e rende indispensabile lo sviluppo di strategie di diversificazione del traffico, che includano altri canali come i social network, newsletter o piattaforme emergenti come TikTok.
Un altro aspetto fondamentale è la difficoltà di costruire una negoziazione paritaria. Il caso tedesco evidenzia che, anche quando viene introdotta una legge favorevole agli editori, l’impatto economico e strategico di una riduzione del traffico genera spesso un’inevitabile retromarcia. Questo compromesso sottolinea che l’asimmetria di potere tra piattaforme e produttori di contenuti è profondamente radicata e di non facile risoluzione.
Tuttavia, sembra che in alcune circostanze gli editori abbiano fallito nel pianificare adeguatamente il futuro, continuando a basarsi su modelli di business costruiti attorno a dinamiche ormai superate. Se c’è un insegnamento concreto che gli editori possono trarre da questi due casi è che, senza un più forte controllo su come il loro contenuto viene prodotto, distribuito e monetizzato, resteranno esposti alle decisioni unilaterali dei giganti del web.
Cosa insegna questa situazione alle redazioni digitali
Il dibattito intorno al test di Google rende chiaro come uno dei nodi principali per le redazioni digitali sia l’accesso al pubblico. La struttura attuale del traffico digitale si basa su tre pilastri fondamentali: motori di ricerca, social media e accessi diretti . Tuttavia, il predominio di Google e, in misura minore, di Facebook ha creato una dipendenza critica che si manifesta ogni volta che questi attori rivedono le regole dei loro algoritmi o restringono l’accesso a contenuti specifici.
Questa vicenda offre però un punto di riflessione importante: come possono le redazioni migliorare la propria capacità di intercettare un pubblico profilato e mantenerne l’attenzione senza fare eccessivo affidamento su flussi esterni di traffico? La risposta starebbe in una combinazione di ottimizzazione SEO, utilizzo di strumenti avanzati di analisi dei dati e una distribuzione multi-canale che includa canali proprietari (come newsletter e app) e piattaforme emergenti.
Inoltre, l’esperimento di Google pone l’accento sull’importanza di comprendere a fondo i propri utenti. Per molte testate, costruire contenuti che rispondano ad analisi accurate delle preferenze del pubblico può fare la differenza, sia in termini di engagement che di fidelizzazione. Sapere chi sono gli utenti, come navigano, cosa leggono e quale valore assegnano ai contenuti editoriali è il primo passo per costruire strategie editoriali più indipendenti dalle decisioni unilaterali dei giganti tecnologici.
Strategie per evitare dipendenze e diversificare le fonti di visibilità
Uno degli insegnamenti più rilevanti di questa vicenda è la necessità per le redazioni digitali di diversificare le proprie fonti di traffico. Fare affidamento esclusivamente su Google (o su qualsiasi altra singola piattaforma) espone le testate a rischi significativi, non solo economici ma anche legati alla visibilità e all’autonomia editoriale.
Diventano così cruciali strategie che vadano oltre il motore di ricerca, privilegiando un mix più equilibrato di fonti di traffico. Tra le principali opzioni troviamo:
- Accessi diretti, stimolati attraverso strumenti proprietari come app dedicate o newsletter che consentano di costruire un pubblico fedele.
- Social media diversificati, con un focus particolare su piattaforme emergenti come TikTok, che stanno vedendo una crescita nell’uso per scoprire contenuti informativi.
- Collaborazioni interne al settore, come contenuti ospitati e partnership con altre testate o blogger di settore, in grado di ampliare la base di lettori senza dover passare per il filtro dei motori di ricerca.
Inoltre, puntare su una maggiore interazione diretta con il pubblico rappresenta non solo un’opportunità per consolidare la propria posizione, ma anche un’occasione per ridurre il ruolo di intermediari come Google nella connessione tra redazioni e lettori. L’obiettivo è costruire una fidelizzazione che non dipenda esclusivamente dall’attrattività degli snippet o dal ranking algoritmico, ma che si basi su un vero rapporto di fiducia tra brand e pubblico.
Da questa prospettiva, il caso del test di Google può essere letto non tanto come una crisi, quanto come un campanello d’allarme per il settore. Investire in una strategia SEO integrata e promuovere la diversificazione delle fonti non è solo un’opzione vantaggiosa, ma una necessità per garantire un futuro all’editoria digitale in un contesto sempre più competitivo e frammentato.