A distanza di un anno dalla prima stagione, torna su YouTube la serie “SEO Mythbusting” in cui Martin Splitt discute con un ospite di questioni relative alla SEO e all’attività dei motori di ricerca. In questa prima puntata si parla del rapporto tra Google e Bing, due dei principali motori di ricerca al mondo, e si affrontano varie questioni, sia tecniche che pratiche, relative al lavoro di ottimizzazione dei siti per questi due strumenti differenti, ma non troppo.
Google e Bing, due motori sempre più affini
Anzi, come dice il Googler questi due motori “non sono isolati” e non lo sono neppure i team che ci lavorano, che sono impegnati per migliorare la ricerca per tutti gli utenti e i webmaster in giro per il mondo.
A riprova di questo, la protagonista dell’episodio è Sandhya Guntreddy, Principal Program Manager presso Microsoft, e i due quasi-colleghi si scambiano “esperienze personali del lavoro in questo settore e in questa community”.
Come migliorare il ranking, la domanda più diffusa
La prima parte del video è incentrata sulle domande più frequenti sulla SEO ricevute nel corso del rispettivo lavoro, da cui emergono alcuni “falsi miti” piuttosto comuni.
Il primo riguarda – inevitabilmente – il ruolo giocato dai backlink per il posizionamento: sia su Google che su Bing, infatti, in tanti pensano che basti solo ricevere link per incrementare il ranking, ma “questo è solo uno dei fattori, insieme a tanti altri”, ricorda Sandhya Guntreddy. Anche perché – aggiunge Splitt – se i backlink fossero l’unico segnale usato dai motori di ricerca “il gioco sarebbe semplice: compri un sacco di link e arrivi alle posizioni top in un attimo”.
Invece, in definitiva, l’obiettivo dei motori di ricerca è incontrare le esigenze degli utenti e ciò che davvero cercano, provando a far incontrare questi bisogni con i contenuti mostrati dai siti, usando centinaia di fattori per fornire le migliori risposte. Per questo, il consiglio migliore fornito da entrambi è “pensare prima agli utenti” e poi ottimizzare gli aspetti tecnici del sito.
Il falso mito della correlazione con gli ads
Se “come faccio a raggiungere le posizioni più alte del motore di ricerca” è la domanda più diffusa alle voci pubbliche di entrambi i motori di ricerca, il falso mito che più frequentemente devono smentire riguarda la correlazione tra ranking organico e advertising online. Così come per Google Ads e Search, anche su Bing “c’è una classifica organica e un sistema di annunci che ha posizioni differenti, che sono due mondi separati in maniera netta e forte, che non hanno alcun rapporto”, spiega Sandhya Guntreddy.
L’evoluzione della community SEO internazionale
Splitt e Guntreddy si confrontano anche su temi più ampi, come il rapporto con la community SEO internazionale (che li infastidisce attraverso ogni tipo di canale, persino Instagram, scherzano), che a loro dire sta diventando sempre più tecnica e attenta alle questioni di SEO tecnica.
Tuttavia, secondo la Principal Program Manager di Bing spesso webmaster e proprietari di siti “dimenticano i fondamentali e i motivi per cui fanno questo lavoro”. Un caso specifico sono le impostazioni di blocco in robots.txt, spesso usate senza la dovuta cognizione, col risultato di impedire l’indicizzazione delle pagine da parte dei motori di ricerca, e altrettanto frequentemente la reazione più comune è accusare i motori di ricerca di penalizzare o nascondere il sito dalle SERP.
Gli strumenti di Bing per il crawling
Il discorso sulle impostazioni di blocco introduce poi un altro argomento, quello del crawling con Bingbot: spesso i webmaster si lamentano del carico di richieste di scansione che arrivano dai bot dei motori di ricerca, e quindi Bing ha studiato una serie di soluzioni.
Ad esempio, con il plugin URL submission API i siti possono notificare al motore di ricerca quando i contenuti sono aggiornati o creati, consentendo una scoperta, scansione e indicizzazione rapida (e quasi istantanea) delle pagine del sito. Si tratta di una soluzione veloce di tipo “push” (e non pull) per richiedere la scansione, e a quanto pare funziona davvero bene.
Inoltre, il motore di Microsoft ha sviluppato anche uno strumento di crawl control, con cui un webmaster ha il potere di controllare la frequenza con cui Bingbot effettua richieste di pagine e risorse sul suo sito web. In pratica, è possibile impostare la velocità in ognuna delle 24 ore del giorno, così da limitare l’attività di Bingbot nelle ore di punta (quando sul sito ci sono i visitatori) e lasciare libera una maggiore larghezza di banda al crawler durante le ore più tranquille.
La collaborazione tra Google e Bing
Sempre in un’ottica di collaborazione proattiva (e non concorrenziale), è anche possibile integrare gli strumenti per webmaster della Google Search Console con i Bing Webmaster Tools, così da semplificare le operazioni e soprattutto evitare lungaggini e perdite di tempo con distinti processi di verifica.
SEO e JavaScript, l’approccio di Google e di Bing
Martin Splitt introduce poi un tema a lui caro, ovvero il rapporto tra SEO e JavaScript, definita “la risorsa più dispendiosa presente sui siti, più anche di immagini e video”, che “si possono passare più o meno come vengono fornito, mentre con JavaScript non è possibile”.
Da un lato, dice il Googler, “le persone fanno cose davvero eccezionali con JavaScript”, ma dall’altro non vorrebbe che “facessero affidamento solo a JS”; simili le preoccupazioni della collega di Bing, che spiega l’approccio dell’altro motore di ricerca.
Ovvero, dice Sandhya Guntreddy, il primo passo è cercare di capire “l’intento del sito e la ragione per cui ricorre a JavaScript”, perché spesso i siti lo usano in maniera esagerata e immotivata, rischiando solo di sprecare risorse che sono limitate. Pertanto, anche Bing invita a usare JavaScript in modo responsabile e a cercare un punto di equilibrio, anche per questioni di usabilità complessiva del sito.
Le questioni con JavaScript
Proseguendo nel ragionamento, Martin Splitt dice che “un’applicazione client-side-rendered in JavaScript non problematica in sé, è solo più dispendiosa. E il motore di ricerca non ha alcun suggerimento in anticipo sulla pagina, non ne può capire l’intenzione, non vede nulla fino a quando non viene eseguito il codice”. Una possibile soluzione potrebbe essere usare prima un sistema di service site rendering e hydration, che “spedisce un mucchio di contenuto iniziale al browser, e poi impiegare JavaScript per migliorarlo per l’utente, dandovi un equilibrio”.
Il problema con punteggi e tool di terze parti
L’ultima parte della chiacchierata si sofferma su un altro problema comune sia a Google che a Bing, ovvero il fatto che molto spesso gli utenti si affidano troppo a tool di terze parti e a punteggi inventati per valutare la qualità di un sito.
Il riferimento è, ancora una volta, a Domain Authority e altre “fantastiche e deliziose metriche” (come le definisce ironicamente Splitt): l’errore non è nell’utilizzare questi strumenti – i webmaster hanno bisogno di numeri e dati, afferma Sandhya Guntreddy – ma nel limitarsi a leggere queste metriche senza interpretarle, limitandosi a soffermarsi solitamente un solo aspetto e su un solo fattore di ranking tra le centinaia esistenti.
Il valore del search intent
Più in generale, secondo l’esponente di Bing c’è una incomprensione di fondo: “Credo che molte persone non capiscano davvero che c’è una query intent e pensano solo a c’è che c’è sul lato del servizio e che hanno nell’Indice”, dimenticando e trascurando “il search intent che è dietro alle query, che è quello a cui noi dobbiamo rispondere”.
In definitiva, quindi, bisogna cambiare approccio: anziché guardare solo un numero dato da uno strumento random, dobbiamo “cercare di capire di cosa hanno bisogno i nostri utenti, quale sia l’intenzione e rispondere al meglio a quell’intenzione di ricerca”, perché ciò che conta sui motori di ricerca – sia Bing che Google – è “servire gli utenti e fornire loro pagine con intenti molto belli e puliti”.