Le SERP di Google privilegiano contenuti freschi. È da tanti anni che si ripete questa affermazione, come un mantra, facendo riferimento al cosiddetto algoritmo QDF di Google, la regola query deserves freshness per cui, appunto, la novità e la freschezza sono criteri che valgono una priorità nel ranking. Ma è ancora così? E quanto pesano questi fattori? Proviamo a fare un punto sulla situazione, alla luce delle costanti evoluzioni dei sistemi di interpretazione dei contenuti del motore di ricerca.
Che cosa significa Quality Deserves Freshness
Query Deserves Freshness, o QDF, non è un concetto nuovo ma spesso viene interpretato in modo improprio nella pianificazione delle campagne SEO, soprattutto quando si tratta di contenuti: estremizzando il concetto, secondo alcune teorie cambiare la data degli articoli e la frequenza di pubblicazione dei nuovi contenuti avrebbero un impatto sul ranking, proprio perché determinano la “freschezza” del sito agli occhi di Google, ma in realtà anche l’ex Googler Kaspar Szymanski ne parlò come un “falso mito” già alcuni anni fa.
Traducibile in italiano come “la query merita freschezza” (e, per estensione, risultati di ricerca attuali), questa espressione significa intuitivamente che in alcune query i motori di ricerca riordinano i risultati della ricerca in modo che i contenuti più recenti si posizionino più in alto, premiando appunto la “freschezza”.
Perché Google considera la freschezza
Valutare il “fattore tempo” è una scelta molto logica e praticamente inevitabile, per il motore di ricerca ma anche per chi produce e pubblica contenuti. In generale, vale la regola “Query Meanings Can Change Over Time” – il significato delle query può cambiare nel tempo, che non a caso è anche il titolo di un apposito paragrafo delle Linee Guida di Google per i quality raters – che ci ricorda che il contesto digitale si muove a velocità elevate e le interpretazioni delle stesse parole possono evolvere rapidamente.
Per dirla in altri termini, il significato di una query può cambiare nel tempo a causa di vari fattori, tra cui modifiche linguistiche, mutamenti sociali e sviluppi tecnologici, che provocano anche una mutazione del search intent delle persone (e quello individuato prioritariamente da Google nella classificazione dei risultati): le SERP per intent commerciali ci mostrano facilmente gli effetti di questa velocità, perché ci sono sempre nuovi prodotti più recenti e in alcuni casi i progressi tecnologici possono provocare vere e proprie rivoluzioni.
Pensiamo alle ricerche per “miglior smartphone”, “miglior tv” o anche per nomi di prodotto: in pochissimo tempo, a volte anche solo mesi, l’intento della SERP può fornire interpretazioni completamente differenti della query.
Ma in realtà questa mutevolezza vale anche per gli intenti informativi: ad esempio, cercare oggi il “presidente del consiglio italiano”, il sindaco di una città e così via potrebbe dare esiti differenti rispetto alla stessa ricerca eseguita due anni fa o tra due anni. In un certo senso, Google controlla e segue il “trend” e modifica di conseguenza l’intento di ricerca prioritario.
Nelle citate guidelines, quindi, il motore di ricerca sprona i suoi quality raters (e più in generale chiunque operi nel Web) a riflettere sulla query e sul suo significato attuale, intendendo con questo aggettivo sia il senso di “reale” che quello di “presente” – e ciò vale anche la nostra analisi della keyword in ottica strategica. Dobbiamo quindi sempre presumere che gli utenti siano alla ricerca di informazioni aggiornate su un argomento, che si tratti del modello più recente di un prodotto, dell’ultima edizione di un evento ricorrente e così via, a meno che la ricerca non indichi diversamente (ad esempio aggiungendo espressamente l’anno di riferimento, tipo [Sanremo 2017]).
Come spiega Google, è facile notare questa volatilità del significato: l’interpretazione della ricerca [iphone] è cambiata nel tempo con il rilascio di nuovi modelli di questo prodotto; il primo melafonino è stato rilasciato nel 2007 e gli utenti che cercavano [iphone] in quel periodo erano interessati a quello che era (all’epoca) il primo e nuovo modello di iPhone. Oggi, la maggior parte degli utenti è alla ricerca del modello di iPhone più recente o di notizie su quello imminente, ed è facile ipotizzare che in futuro verranno lanciati nuovi modelli e l’interpretazione dominante cambierà nuovamente.
In maniera simile, se nel 1994 la risposta più probabile alla query [George Bush] riportava informazioni sul 41esimo presidente degli USA (da poco “sostituito” da Clinton, all’epoca), dieci anni più tardi l’interpretazione prioritaria riguardava l’altro George Bush, il figlio del precedente, che allora era il Presidente degli Stati Uniti in carica (43esimo presidente, per la precisione).
Tutto questo serve a far luce su un aspetto importante anche per la SEO: è cruciale analizzare l’intero iter di ricerca degli utenti – dal momento in cui “nasce” l’esigenza fino al punto in cui trovano la soluzione – e verificare sempre ciò che Google ha già ritenuto rilevante e mostrato in SERP, perché questo sarà il focus scelto dal motore di ricerca in quel momento, la strada a cui dobbiamo attenerci se vogliamo pubblicare un contenuto efficace e competitivo, con la consapevolezza che “non c’è niente che sia per sempre” (per citare gli Afterhours) e che ogni contenuto rischia di diventare obsoleto e perdere di vista il search intent attuale.
La storia dell’algoritmo QDF di Google
L’algoritmo battezzato Query Deserves Freshness è stato effettivamente lanciato da Google nel 2007 e poi aggiornato nel 2011 (nell’ambito dell’evoluzione del nuovo search index Caffeine) per identificare gli argomenti e le query di ricerca per cui gli utenti necessitano di contenuti aggiornati, in modo da avvantaggiarli nelle pagine dei risultati di ricerca.
Si tratta di un modello matematico che riesce a determinare se e quando gli utenti desiderano informazioni aggiornate e attuali, ovvero “fresche”, e si basa sulla popolarità di un argomento, esaminando il flusso di miliardi di query su Google e il numero di contenuti nuovi pubblicati sul tema.
Come funziona l’algoritmo QDF
In estrema sintesi, l’algoritmo QDF analizza i modelli di ricerca dell’utente per rilevare quando sta tentando di accedere a informazioni attuali (e quando invece non lo sta facendo), e si attiva quando Google registra un aumento insolito dei volumi di ricerca o delle citazioni di un determinato argomento principalmente in tre ambienti: riviste e blog, pagine multimediali e query dirette sul motore di ricerca.
Non tutte le query sono però uguali e soprattutto non tutti i topic lo sono: le ricerche per “presidente degli Stati Uniti” generano risultati che cambiano più spesso di quelli per chi cerca “biografia di Caterina la Grande”, perché è solo nel primo caso che – tendenzialmente – gli utenti hanno bisogno di leggere contenuti “freschi”.
Query deserves freshness, chiarimenti e spiegazioni
Quindi, è vero solo in parte che Google premia la freshness: questo avviene solo se la freschezza risponde al search intent e corrisponde davvero a un interesse mutato o in crescita delle persone. C’è poi un altro tipo di freschezza – quella a livello di sito – che “impone” di aggiornare con costanza i contenuti pubblicati, compresi gli articoli evergreen, per evitare che possano risultare “scaduti” o troppo vecchi, e quindi perdere posizioni e visibilità in SERP.
A livello di topic, l’attualità vale principalmente “per i siti come giornali, riviste o portali che operano con notizie frequenti e veloci, per i quali la freschezza verticale può tradursi in un vantaggio competitivo”, come spiegava ancora Szymanski, mentre per la stragrande maggioranza dei siti Web la freshness “non è importante come fattore SEO”.
In effetti, l’algoritmo QDF non si applica a tutti i tipi di query e cerca solo di servire la missione più ampia di restituire contenuti e risultati pertinenti per soddisfare l’intento dell’utente, e può influire sul posizionamento di contenuti relativi a eventi ricorrenti specifici (festival musicali, manifestazioni, fiere annuali, eventi politici come le elezioni eccetera), ma anche di contenuti che richiedono aggiornamenti frequenti e informazioni recenti (tecnologie – come la query “i migliori smartphone” – sport, gadget, offerte di lavoro e altro ancora).
L’algoritmo è più rilevante per le query di tipo informativo, come ad esempio le notizie o temi di tendenza; quindi, in genere non “interessa” i contenuti e le query transazionali, per le quali comunque vale sempre la regola del rispetto dell’intento di ricerca, che può cambiare in linea con gli eventi del mondo reale, come abbiamo visto in occasione della pandemia con l’impatto del Covid su ricerche e SERP.
Gli esempi di freschezza
L’evoluzione di Google e la sempre maggiore capacità di comprendere ciò che davvero vogliono gli utenti – anche grazie a sistemi come BERT – ha fatto fare passi da gigante anche all’algoritmo QDF, come si è visto in caso di eventi improvvisi, come ad esempio le evoluzioni delle SERP per le nuove ricerche sul Coronavirus o le “rivoluzioni” causate dal cielo arancione visto da milioni di persone nel nord della California a settembre 2020, divenuto un caso esemplare.
Come scrivevamo nel nostro articolo, in quella occasione moltissime di quelle persone hanno cercato risposte sul motore di ricerca per capire cosa stesse succedendo, e Google ha risposto cambiando in tempo reale le sue SERP, sfruttando anche funzioni come i featured snippet: le risposte precedenti indicizzate dal motore, infatti, offrivano solo “spiegazioni scientifiche generali su ciò che può far diventare il cielo arancione”, ma i californiani volevano sapere perché il cielo fosse arancione in quel momento e nel luogo in cui si trovavano.
Per questo, Google ha fornito dei risultati più freschi, adattando le risposte in base al contesto locale e usando anche il tempo e la posizione per aiutare gli algoritmi a capire cosa sta veramente cercando l’utente.
SEO e freschezza, cosa dobbiamo sapere
Il freshness update ha consentito a Google di far emergere contenuti di tendenza, regolari o aggiornati di frequente, introducendo il fattore tempo come indicatore di pertinenza e rilevanza per rendere i risultati della ricerca più rispondenti alle intenzioni dell’utente, come ha notato Kayle Larkin.
Tuttavia, spesso le persone (e non di meno i SEO) fraintendono l’aggiornamento, pensando che dia la priorità alle date di pubblicazione recenti nella valutazione dei risultati: si tratta chiaramente di una semplificazione eccessiva, che però ha alimentato molteplici “hack” virali come la creazione massiva di contenuti o il semplice aggiornamento delle date di pubblicazione come presunte buone strategie SEO.
La differenza tra freschezza e frequenza di pubblicazione
Il primo equivoco riguarda la differenza tra freschezza e frequenza: in ambito SEO (e, soprattutto, secondo ciò che intende Google) freshness è la data in cui una pagina è stata originariamente pubblicata o sensibilmente modificata. Frequenza, invece, fa riferimento al tasso di pubblicazione dei contenuti, e quindi al ritmo con cui gli articoli appaiono sul sito.
A partire da Google Caffeine, come detto, i bot di Google scansionano più spesso i siti che pubblicano contenuti con maggior frequenza (ne parlava anche Martin Splitt a proposito dei falsi miti sul crawl budget e sul crawl demand), ma questa attività non è immediatamente collegata al ranking: detto in altre parole, è la differenza tra indicizzazione e posizionamento, che seguono criteri differenti – e Google ha ufficialmente chiarito che i suoi algoritmi di ranking non tengono conto della frequenza di pubblicazione, che non è dunque un fattore di posizionamento.
Quanto conta la data di pubblicazione (e come viene compresa da Google)
Molti siti mostrano la data di pubblicazione dell’articolo ed esistono anche specifici markup che consentono di segnalare al motore di ricerca la data originaria e gli eventuali aggiornamenti successivi, ma Google preferisce esaminare diversi fattori (e, soprattutto, non solo le date visibili online), per determinare quando una pagina è stata pubblicata o aggiornata in modo significativo.
Proprio l’aggettivo è un fattore cruciale, perché Google invita chiaramente a non aggiornare artificialmente una pagina (espressamente una notizia, perché le news sono il topic più interessato alla tempestività e alla freschezza) senza aggiungere informazioni significative o motivi convincenti per assegnarle una nuova data e ora.
Riprendendo il discorso precedente, ci possiamo rendere conto di quanto valga la freshness (e quindi la data di pubblicazione) guardando direttamente le SERP e analizzano la tipologia di tema e di user intent: per i contenuti generalisti, come ad esempio guide o informazioni “assodate”, non è raro veder comparire in prima pagina dei link con date piuttosto vecchie, risalenti anche da alcuni anni fa.
Al contrario, per query legate all’attualità, soprattutto per intenti commerciali o transazionali – ma anche semplicemente che contengono termini che rimandano in qualche modo a un aspetto temporale, come “trend” – è molto più importante la freschezza, perché le informazioni sono volatili e soggette a rapidi cambiamenti.
Nelle immagini vediamo due esempi pratici: nella SERP per [SEO] compare in prima posizionela pagina di Wikipedia (che sicuramente non è nuova) e l’indicazione della data non è presente se non in un caso (tra l’altro, il nostro articolo sulla SEO!); altra curiosità, il risultato di StudioSamo che pure ha buon ranking risale addirittura al 2012 (basta verificarlo aprendo la pagina, che riporta la data di pubblicazione originale), segno di una rilevanza che si è mantenuta inalterata nel tempo secondo Google.
Al contrario, la query [SEO trend] ci restituisce solo risultati del 2023, anche senza aggiungere la data nella query, perché Google comprende che l’utente è interessato a ottenere informazioni attuali, valide nel contesto contemporaneo – e infatti la data di pubblicazione dell’articolo viene aggiunta per molti risultati. Insomma, se nella prima SERP non compaiono le date accanto alle pagine forse perché all’utente non “interessa” che l’informazione sia recente, ma solo che sia esaustiva, nella seconda i risultati devono essere freschi e aggiornati per soddisfare l’intento.
In questo caso, Google ritiene la freschezza importante per l’esperienza dell’utente.
Freschezza, frequenza e aggiornamento contenuti: cosa fare?
In definitiva, possiamo sintetizzare dicendo che a Google non importa con quale frequenza pubblichiamo gli articoli o se continuiamo a modificarne la data, se questo non si lega a una vera strategia.
Aggiornare i contenuti e in particolare rinfrescare gli evergreen è una ottima pratica SEO, ma solo se lo facciamo con consapevolezza e con senso, ovvero se modifichiamo davvero le informazioni, la qualità e la pertinenza del contenuto per allinearlo alle rinnovate intenzioni degli utenti e ai progressi del settore.
Quindi, quando valutiamo l’opportunità di metter mano a un vecchio articolo dobbiamo innanzitutto verificare se sia cambiato “qualcosa” rispetto alle informazioni valide al momento della stesura, e poi intervenire con la revisione. Allo stesso modo, è utile controllare le risposte di Google per la query e la keyword di destinazione, per verificare ad esempio se inizia a visualizzare immagini, video o risultati multimediali nella SERP e orientare di conseguenza anche la nostra pagina, rendendola davvero “fresca”.