Gli errori di keyword research che fanno fallire la strategia SEO

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Dovrebbe essere un fatto scontato: una keyword research accurata e strategica permette di allineare i contenuti del sito con le query degli utenti, aumentando così la visibilità e il traffico qualificato. Tuttavia, non è raro incorrere in errori che possono compromettere l’intera strategia SEO. E non parliamo solo di piccole sviste o di sbagli commessi da principianti SEO, ma di cattive interpretazioni, punti critici o approcci errati che possono avere ripercussioni significative sul successo di un sito web. Ecco perché è essenziale riconoscere e comprendere gli errori più comuni nella keyword research, in modo da non deviare dal percorso che conduce a risultati SEO ottimali e non boicottare involontariamente il nostro percorso verso la prima pagina di Google.

Quali sono i principali errori con la keyword research

Cattiva interpretazione dei dati, incapacità di valutare efficacemente la concorrenza, attenzione solo al volume di ricerca: sono tanti i possibili errori che si commettono in fase di keyword research, da quelli più pratici a quelli legati all’approccio stesso all’attività.

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Come dicevamo, oggi la “keyword research” è un processo che va ben oltre la semplice scelta di termini popolari e oltre quindi la banale ricerca delle parole chiave: le keyword restano le colonne intorno alle quali si costruiscono le strategie SEO e comprendere anche qual è la prospettiva in cui inserirsi nella scrittura di contenuti, ma ci sono tanti elementi da non sottovalutare e non sbagliare. Serve cioè affrontare il processo con un approccio metodico e strategico, come l’analisi delle keyword per individuare quelle giuste e compiere il primo passo per puntare a conquistare lettori.

Proprio l’assenza di un piano strategico è uno degli errori più gravi: la keyword research non è un’attività da svolgere una tantum, ma deve essere parte di una strategia SEO continua e dinamica, anche perché ciò che ieri era rilevante, oggi potrebbe non esserlo più, o potrebbe aver visto variare la sua “intenzione di ricerca”.

Problemi che compromettono il lavoro

Dal punto di vista pratico, uno sbaglio comune è non utilizzare gli strumenti giusti o non saperli sfruttare a pieno, ritrovandoci solo in un mare di numeri senza significato. Parimenti, non dobbiamo trascurare l’analisi dei nostri dati, attraverso strumenti come Google Analytics che possono fornire insight preziosi sulle parole chiave che già portano traffico al sito, permettendoci di ottimizzare la strategia esistente e di scoprire nuove opportunità.

E come non citare tra le problematiche frequenti l’ossessione per le keyword ad alto volume di ricerca, trascurando quelle a coda lunga, che spesso hanno una minore concorrenza e possono garantire un traffico più qualificato. Ciò spesso si lega a una mancata consapevolezza della concorrenza e dei siti che occupano già le prime posizioni per le parole chiave scelte, fondamentale per capire se e come è possibile competere: in tal senso, a volte è più strategico puntare su nicchie meno battute, piuttosto che sfidare giganti del web per termini estremamente competitivi.

In ultimo, oggi è cruciale non ignorare l’intento di ricerca dell’utente, ovvero il motivo per cui una determinata query viene digitata nella barra di ricerca: se non riusciamo a comprendere questa esigenza è probabile che ci sia un mismatch tra ciò che offriamo e ciò che l’utente realmente cerca, con il rischio di aumentare il tasso di rimbalzo e di diminuire la conversione.

15 gravi errori di keyword research da conoscere ed evitare

Volendo classificare sotto forma di elenco questi ragionamenti, abbiamo individuato 15 errori frequenti e gravi che possono compromettere l’esito dei nostri sforzi SEO, portando i nostri contenuti lontano dai posizionamenti desiderati e, soprattutto, distanti dalle reali necessità degli utenti target.

  1. Non fare keyword research

È facile trovare parole chiave e non serve neppure applicarsi con SEOZoom: basta andare su Google, digitare una query e ottenere informazioni correlate. Ma l’attività SEO non si basa solo sulla raccolta di keyword, perché si concretizza appunto in una “ricerca”, in un lavoro che presuppone uno sforzo per trovare l’angolo, la nicchia, la prospettiva e il valore migliore per ogni termine in funzione del sito.

Non serve dunque compilare un elenco di centinaia di keyword per ogni contenuto se poi tali parole non sono utili a raggiungere gli obiettivi prefissati, e in generale è meglio privilegiare sempre la qualità a scapito della quantità. Il concetto di fondo da ricordare è che un posizionamento elevato non è solo questione di inserire la parola chiave giusta nel testo, e non è così da molto tempo.

E anche se fare una efficace keyword research può davvero essere un processo difficile e dispendioso in termini di tempo, saltare completamente questa fase significa creare contenuti senza alcuna idea di ciò che stanno cercando i potenziali utenti, e limitarsi a pensare istintivamente a cosa vuole il pubblico. 

Per dirla in altri termini: la keyword research non va considerata un mero esercizio di ricerca di parole chiave da inserire “alla meglio” in un contenuto, perché il SEO Copywriting non significa solo aggiungere quante più parole chiave possibili in un nuovo articolo (o in uno vecchio che non dà risultati) e sperare che si classifichi.

Questo è il motivo per cui la keyword research deve essere eseguita prima di scrivere l’argomento, per iniziare col piede giusto sin dal titolo ed esser certi di conoscere il focus, il taglio e le parole chiave corretti da utilizzare nella struttura di heading e nei contenuti.

  1. Ignorare il search intent

Ripetiamo: essenzialmente una keyword è solo un termine di ricerca, letteralmente tutto ciò che qualcuno digita in qualsiasi motore di ricerca. È solo quando queste keyword sono inserite nel giusto contesto e nel giusto contenuto che risultano rilevanti, perché i crawler trovano la pagina e la ritengono utile per il pubblico interessato.

Ma per aver davvero senso, queste keyword devono essere legate all’intento dell’utente, che come detto è l’obiettivo o lo scopo dietro una query di ricerca. Semplificando al massimo, può essere informativo, di navigazione, transazionale o commerciale, e scegliere come target le parole chiave sbagliate rispetto al search intent rischia di portare sul sito traffico irrilevante o non qualificato, che non genererà conversioni.

Ad esempio, qualcuno che cerca “come riparare un rubinetto che perde” ha un intento informativo – forse la persona vuole provare a risolvere il problema da sé – e Google risponde con video tutorial o guide; al contrario, “il miglior idraulico vicino a me” ha un intento transazionale, perché l’utente cerca uno specialista che possa eseguire l’intervento – e la risposta sarà un local pack con nomi e indirizzi, o un elenco dei migliori idraulici della zona. A seconda della tipologia del nostro sito e del servizio offerto, quindi, dobbiamo capire dove andare a competere, dove è più utile comparire – banalizzando, se abbiamo un blog che offre un contenuto che spiega come riparare il rubinetto proveremo a posizionarci per la prima query, mentre se gestiamo la SEO di un idraulico in zona dobbiamo ottimizzare la sua visibilità per la seconda query.

Il modo migliore per comprendere l’intento dietro una parola chiave è analizzare le SERP per quella query, perché Google stesso con le sue feature fornisce una forte indicazione dell’esigenza che riconosce: se la pagina dei risultati è dominata dagli annunci commerciali, dalle pagine dei prodotti o dal pacchetto di mappe possiamo essere abbastanza certi che la query sia di natura transazionale. Se ci sono featured snippet e i primi risultati sono tutti articoli o post di blog, è probabile che la query sia di natura informativa. Ovviamente, è importante notare che alcune query potrebbero avere intenti misti, con SERP che contengono sia articoli di blog che pagine di categorie.

Il modo più veloce e sicuro per ottenere questi dati è ovviamente SEOZoom, che indica immediatamente la “natura” di ogni singola query identificandone l’intento. E poi, in maniera più approfondita, i nostri strumenti analizzano a fondo la query ed estrapolano indicazioni utili per creare contenuti a fuoco su ciò che cercano davvero le persone (e ciò che davvero Google mostra). In pratica, il software esegue un reverse engineering delle SERP di Google per identificare tutte le keyword che possano essere ritenute rilevanti per un topic specifico, permettendoci di fare una keyword research SEO più specifica, che può già indirizzare la creazione del contenuto in ottica posizionamento, rivelando quali sono le strategie e gli articoli che Google ha già premiato con un buon ranking.

  1. Non studiare il contesto e gli utenti

Come conseguenza diretta di quanto scritto prima veniamo così al terzo fattore critico: una keyword research può essere efficace se eseguita in maniera strategica, cominciando dall’analisi del sito e delle sue esigenze, del target di riferimento e del contesto in cui ci muoviamo – e in cui operano i competitor diretti, perché non siamo soli sul mercato!

In concreto, questo significa che bisogna cercare di individuare le parole chiave realmente usate dal pubblico a cui ci rivolgiamo, monitorare il comportamento di ricerca dell’audience e verificare con costanza che i contenuti prodotti siano in linea con quelli dei siti ben posizionati su Google (usando anche l’analisi del content gap di SEOZoom per scoprire eventuali buchi di keyword!).

Studiare il contesto permette anche di capire se Google valuta in maniera differente le query al singolare o al plurale – un’analisi che si può fare rapidamente grazie al Comparatore SERP di SEOZoom, che indica appunto la percentuale di affinità tra due SERP differenti studiando le pagine presenti in entrambe le occorrenze. Oppure, a verificare che la parola chiave non sia un nome di marca, e quindi una branded keyword, che “inevitabilmente” determinerà una SERP di intento navigazionale in cui c’è scarso spazio per emergere.

  1. Scegliere keyword fuori target

Ma passiamo ora a una serie di sbagli più pratici legati alla keyword research, cominciando da un errore che può risultare frequente soprattutto per chi è agli esordi e non ha molta esperienza: ammassare tutte le parole chiave risultate da una ricerca senza selezionare solo quelle utili al business rischia di portare fuori strada i contenuti e non offrire benefici al sito.

Nello specifico, questo errore di declina in due varianti ugualmente critiche: concentrarsi solo su keyword troppo specifiche o, al contrario, mirare a keyword irrilevanti. Nel primo caso, si rischia di perdere traffico organico che deriva da altre parole chiave, mentre nel secondo scenario le keyword inserite possono non contribuire a raggiungere gli sperati obiettivi di visibilità.

La soluzione è, anche stavolta, approfondire l’analisi delle keyword trovate, badando a selezionare effettivamente solo quelle davvero strategiche e pertinenti.

  1. Eseguire keyword research basate solo sulla struttura esistente del sito

È sicuramente importante orientare la ricerca di parole chiave alla struttura del sito, ma questo non significa trascurare la possibilità di inserire keyword alle quali non avevamo pensato e che possono portare ottimi risultati al progetto.

La ricerca non deve basarsi solo sulle pagine e sulle sezioni principali del sito (e quindi ottimizzare solo le keyword per queste), ma deve estendersi e comprendere anche parole chiave importanti che possono non essere previste dal contenuto già esistente. In questo caso, è possibile anche arrivare a stravolgere la struttura del sito e creare nuove categorie se le nuove parole chiave trovate sono funzionali per intercettare potenziali clienti.

  1. Scrivere un articolo per keyword

Dovrebbe essere ormai storia vecchia della SEO il concetto di scrivere un contenuto per ogni keyword e di ottimizzare una pagina per una singola parola chiave, ma in realtà ci sono ancora esempi negativi in tal senso.

Questo errore nasce da una valutazione meramente quantitativa delle parole chiave funzionali al progetto. Sin dalla sua nascita, come detto più volte anche da Ivano Di Biasi nei suoi interventi sul blog, SEOZoom ha avuto come tratto distintivo una diversa percezione delle keyword e della keyword research: anziché accontentarsi di essere un semplice rank tracker, la nostra suite ha puntato a mostrare il rendimento di ogni singola pagina web del sito. Una scelta dettata dalla consapevolezza che “ogni pagina web si posiziona per numerose parole chiave, anche quelle che non avevamo scelto di posizionare”, e pertanto “concentrarsi sulla singola parola chiave” è riduttivo per aumentare il traffico e bisogna invece lavorare sui contenuti.

Il “segreto” sta nella capacità di offrire valore aggiunto e di proporre contenuti di qualità, passando anche attraverso il linguaggio, come vediamo ora.

  1. Lavorare su keyword già presenti sul sito

Anche questo caso è piuttosto frequente: può capitare di trattare topic simili su un sito, ma in ogni caso non bisognerebbe mai cercare di concentrare i contenuti puntando a coprire lo stesso intento di ricerca.

Creare una nuova pagina che compete con keyword già presenti nel nostro portfolio di posizionamenti è rischioso per la cannibalizzazione dei contenuti e può rappresentare, nel migliore dei casi, uno spreco di risorse.

Nei casi di keyword simili già trattate, bisogna avere l’abilità di coprire con l’articolo e con il contenuto le possibili sfumature diverse dello stesso search intent, così da evitare il rischio di duplicazione e, grazie a un buona strutturazione di link interni, provare a rafforzare la pagina più vecchia e già posizionata.

Un piano editoriale efficiente e uno sguardo a SEOZoom per verificare i posizionamenti delle pubblicazioni aiuta a gestire la calendarizzazione dei contenuti in modo strategico e a evitare queste competizioni interne.

  1. Sottovalutare l’estensione della keyword

In SEO e digital marketing, il concetto di estensione semantica si riferisce all’insieme di parole chiave e frasi che sono semanticamente legate al termine principale o all’argomento di interesse. Questo include sinonimi, variazioni di parole chiave, domande correlate e altri termini che gli utenti potrebbero utilizzare per cercare informazioni su un determinato argomento. Stiamo parlando di ricerca semantica, di algoritmi evoluti capaci di comprendere il contesto: pertanto, considerare l’estensione semantica è cruciale per creare contenuti che rispondano a un’ampia gamma di query di ricerca correlate all’argomento e, contemporaneamente, riempire semplicemente i contenuti con parole chiave a corrispondenza esatta non è più efficace.

  1. Ostinarsi sulle vanity keyword

Lo ribadiamo in maniera ancora più netta: in linea di massima, andrebbero evitate le vanity keyword e, più in generale, le vanity metrics, ovvero il posizionamento per parole chiave competitive ma troppo generiche per generare davvero una conversione e che servono “solo” a fare volume e a esser ostentate come fiore all’occhiello.

Serve a poco rankare bene se poi manca il passaggio successivo, la conversione in qualsiasi forma essa sia. È allora meglio orientare la keyword research verso parole chiave che corrispondono realmente alle intenzioni di ricerca dei potenziali clienti. Piuttosto che farsi trovare da tutti, per il successo di un business online può essere più importante farsi trovare dalle persone giuste, gli utenti interessati ai prodotti o ai servizi che offriamo.

  1. Sbagliare la keyword allocation

Completata la ricerca, bisogna studiare il modo di posizionare le keyword all’interno del sito, con il processo che si definisce keyword allocation. L’errore da evitare in questa fase è di aggiungere keyword irrilevanti nelle pagine, ovvero creare contenuti che non hanno corrispondenza con le parole chiave o, al contrario, che non rispondono al search intent individuato.

Per sintetizzare: scrivere un buon contenuto non significa solo riempire il testo di keyword, ma collegare le parole chiave allo scopo della ricerca, al topic della pagina web e alle intenzioni degli utenti che arriveranno al sito.

  1. Concentrarsi troppo sulle metriche

Ma è sbagliato anche focalizzare completamente la keyword research solo sulle metriche indicate dai SEO tools – può sembrare paradossale scritto qui, visto che il nostro software presenta appunto tali metriche. Come sempre, sono l’intuito, l’esperienza e la competenza però a guidare il lavoro, anche in questo ambito.

Affidarsi ciecamente alla Keyword Opportunity o, al contrario, scartare a priori tutte le parole chiave con valori di Keyword Difficulty elevati non significa fare una buona keyword research.

Le metriche di KD e KO vanno sempre contestualizzate e non è consigliabile scegliere un topic rispetto a un altro solamente per un punteggio più o meno alto. Sono dei parametri che ci possono far capire a colpo d’occhio che tipologia di impegno e strategia serve elaborare nella produzione di un contenuto, ma vanno considerati insieme agli altri tanti fattori che sono in gioco quando si parla di posizionamento e di SEO.

  1. Sottovalutare le keyword long tail e quelle a basso volume

Alcune nicchie di mercato sono molto competitive e, in alcuni casi, è più strategico concentrare il nostro lavoro su parole chiave che apparentemente hanno un volume di ricerca basso, ma che possono dare riscontri più rapidi e, a volte, più utili. Sono le classiche keyword long tail, con cui tendenzialmente è più facile classificare i nostri contenuti e danno maggiori possibilità di conversione.

Parimenti, anche non saper valutare a dovere le keyword a basso volume può essere un errore, perché preclude la possibilità di ritagliarsi spazio in ambiti ancora non presidiati da competitor o molto specifici, dove gli utenti sono spesso più propensi alla conversione.

Il consiglio generale (e l’obiettivo) è puntare a ottenere un traffico qualificato verso il sito, ovvero rinunciare alla quantità per privilegiare la qualità degli utenti che atterrano sulle pagine.

  1. Non considerare i competitor

A proposito di competizione, non è possibile pensare di fare keyword research (e in generale attività online) senza tener conto delle tattiche dei diretti concorrenti: fare analisi dei competitor diretti significa anche capire quando c’è possibilità di superarli o quanto meno di gareggiare con le stesse parole chiave.

Siamo tutti bravi a trovare parole chiave con alto volume di ricerca e buone probabilità di conversione, ma se speriamo di togliere posizionamenti ai colossi del settore rischiamo di fare fiaschi clamorosi e di perdere solo tempo e risorse. Meglio prestare attenzione a combinazioni apparentemente meno vantaggiose ma che, se ben studiate, possono dare migliori risultati in termini di risultati concreti.

  1. Mancato aggiornamento e ottimizzazione delle parole chiave

La ricerca delle parole chiave non è un compito una tantum, lo dicevamo prima, ma un processo continuo che richiede un monitoraggio e un’ottimizzazione costanti. Gli algoritmi cambiano, le tendenze di ricerca cambiano, le intenzioni e gli interessi degli utenti cambiano, i competitor cambiano: se tutto è in evoluzione, non possiamo pensare che i nostri contenuti creati con vecchie keyword research resistano per sempre nel tempo, senza alcun impatto sul loro rendimento e sulla pertinenza.

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E quindi, è fondamentale utilizzare strumenti come Google Analytics o Google Search Console per monitorare il comportamento reale degli utenti o con i SEO tools come SEOZoom per avere il quadro sulle tendenze generali, intervenendo di conseguenza per aggiornare e ottimizzare regolarmente ricerche e contenuti, apportando modifiche basate sui dati.

  1. Non rivisitare regolarmente la strategia delle parole chiave

Ne consegue che l’ultimo errore è, appunto, lasciar “marcire” i nostri contenuti a causa del mancato aggiornamento delle keyword research. Il panorama digitale è in continua evoluzione, e ciò che ha funzionato bene un anno fa (o ancora prima) potrebbe non essere altrettanto efficace oggi. Revisionare e aggiornare regolarmente le strategie delle parole chiave è allora una leva cruciale per cercare di continuare a essere pertinenti e competitivi.

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