È il momento di dare i numeri – e non in maniera metaforica – sullo stato dell’e-Commerce in Italia: nelle ultime settimane sono stati presentati due dei principali studi analitici sul complesso degli acquisti online nel 2020, realizzati da Casaleggio Associati e da Osservatorio eCommerce B2C – Netcomm School of Management del Politecnico di Milano. Al netto delle differenze quantitative dei due report, ciò che ci interessa sono le tendenze che mettono in risalto, a cominciare dalla conferma dell’importanza e della crescita del commercio digitale, soprattutto di prodotti.
I numeri dell’e-Commerce in Italia nel 2020
Iniziamo subito dal report e-Commerce in Italia 2021 della Casaleggio Associati, giunto ormai alla XV edizione: il fatturato totale delle vendite online nel 2020 è stimato in 48,25 miliardi di euro e fa registrare una lieve flessione di 1 punto percentuale sul 2019, soprattutto a causa del crollo delle vendite in settore quali il Turismo (-58%) e gli Spettacoli (-9%), che prima invece trainavano gli acquisti digitali degli italiani.
Si conferma anche un’altra tendenza: la pandemia ha spinto sempre più italiani a stare e comprare online: più di 3 milioni di italiani hanno navigato per la prima volta nel 2020, e sono oltre 2 milioni i nuovi consumatori digitali che si sono affacciati sulle vetrine virtuali dei negozi nello scorso anno. Questo è un fenomeno importante per le aziende che vendono via Web, che hanno visto ampliarsi il potenziale bacino di utenti: difatti, il 68% delle aziende intervistate da Casaleggio Associati ha dichiarato che il 2020 si è chiuso con un incremento del fatturato, il 12% parla di vendite stabili e, infine, il 20% segnala perdite di business.
Analizzando i trend delle spese, diversi settori hanno avuto problemi mentre altri hanno accelerato le loro vendite: nel dettaglio, oggi il primo comparto per volume di affari è quello del tempo libero che ora vale il 48% del fatturato; al secondo posto non c’è più il turismo (che, come detto, ha perso il 58% di fatturato e ora vale l’11% del totale e-Commerce in Italia, contro il 26% del 2019) ma il complesso dei centri commerciali. Altre performance positive sono quelle dei settori Alimentare (+63%), Elettronica (+12%) e Moda (+12%).
Aumentano le vendite di prodotti, crollano i servizi
Sono differenti, come anticipato, le stime dell’Osservatorio eCommerce B2C – Netcomm School of Management del Politecnico di Milano, secondo cui il giro d’affari del commercio elettronico in Italia ha toccato i 32,4 miliardi di euro nel 2020, mettendo a segno una crescita di pochi punti percentuali (+3,4%) rispetto al 2019, grazie soprattutto alle performance dei prodotti fisici (aumentati del 45% rispetto all’anno precedente).
Più in dettaglio, anche lo studio milanese segnala il crollo degli acquisti per servizi (in cui rientrano ad esempio i biglietti per aerei e treni o il ticketing dei concenti ed eventi live), che si sono fermati ad appena 6,5 miliardi di euro, a cui da contraltare la forte crescita delle vendite di prodotti, che hanno sfiorato i 26 miliardi di euro complessivi – un quarto esatto dei quali, 8 miliardi, legati ai prodotti acquistati durante la pandemia.
E proprio un’altra dinamica causata dalla situazione emergenziale dello scorso anno, con i vari lockdown e restrizioni che hanno fatto calare i consumi offline del commercio fisico, ha portato all’aumento del peso dell’online sul totale acquisti retail: ora quasi il 10% degli acquisti degli italiani avviene via Web. In valore assoluto, i settori più performanti nel 2020 sono stati Informatica ed Elettronica di consumo (+1,9 miliardi), Food&Grocery (+1,3 miliardi) e Arredamento e Home Living (+1,1 miliardi).
Inoltre, gli operatori che nel 2020 si sono affidati in parte o del tutto alla rete di vendita digitale hanno visto crescere in maniera importante i ricavi delle vendite e delle attività legate all’e-Commerce: durante il lockdown, infatti, il 50% dei merchant e brand owner ha aumentato il proprio fatturato di vendita online di oltre il 100%, mentre per il 50% dei Business partner questa crescita si è attestata tra +21% e +75%.
Secondo Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c – School of Management del Politecnico di Milano, “la pandemia ha avuto un duplice impatto: da un lato, contrariamente a quanto si possa pensare, ha frenato la crescita del mercato eCommerce B2c in Italia, che certamente sarebbe stata più elevata senza l’emergenza sanitaria, con l’eccezione di alcuni settori merceologici come il Food&Grocery in cui ha provocato un’accelerazione del mercato online”. Il secondo effetto è stato modificare “gli equilibri tra online e offline, forzando l’offerta a soddisfare le mutate esigenze di consumo e ad accelerare il suo processo di digitalizzazione e spingendo i consumatori a un utilizzo più frequente dei canali online”.
Le tendenze di acquisto online in Italia e in Europa
Al di là dei numeri, questi studi ci consentono di fotografare un momento storico in cui l’e-Commerce rimane l’unico motore di crescita del commercio, svolgendo un ruolo sempre più rilevante e decisivo nelle strategie dei merchant e dei retailer.
A cambiare sono anche le abitudini di acquisto e le prospettive degli utenti, evidenziate dal rapporto “UPS Smart E-commerce 2021” (ripreso anche da Dcommerce.it), che mette in luce informazioni sui comportamenti, gli atteggiamenti e le aspettative di oltre 10 mila consumatori di otto mercati europei, quali Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Polonia, investigando, tra l’altro, i fattori che determinano le preferenze dei consumatori negli acquisti online invece che nei negozi.
Perché gli italiani acquistano online e non in negozio
Tra i vantaggi dell’acquisto online ci sono la comodità, la semplicità e la velocità, indicata dal 38% degli intervistati europei (soprattutto nella fascia di età più giovane) come il motivo principale per rivolgersi al canale online. Molto apprezzati anche alcuni servizi tipici del commercio digitale, come consegna e resi gratuiti.
Ad ogni modo, il prezzo resta comunque l’elemento centrale nel processo decisionale: il 61% del campione italiano (circa mille intervistati, tra consumatori abituati allo shopping online o che preferiscono l’acquisto presso i negozi fisici) spiega di essere incoraggiato a effettuare acquisti online dalla possibilità di trovare offerte speciali e articoli in saldo, mentre la percezione che gli articoli online siano più convenienti è il fattore chiave per il 50% delle persone.
I grandi retailer preferiti sui piccoli negozi
Un elemento su cui soffermarci è anche la netta prevalenza dei grandi rivenditori, punto di riferimento per gli acquirenti in ogni settore della vendita al dettaglio rispetto ai piccoli siti o negozi online.
Ciò vale in particolare per il comparto di grandi elettrodomestici (63%) e generi alimentari (62%), mentre invece per prodotti quali articoli per la casa, libri, arredi, stoviglie, biancheria per il letto e giocattoli c’è più possibilità anche per i “piccoli” (i grandi rivenditori arrivano solo al 46%).
Gli articoli per la casa, però, insieme ai prodotti di elettronica sono le categorie preferenziali di acquisto sui marketplace online, rispettivamente al 23% e al 22%.
La rilevanza dei social nell’e-Commerce
Lo studio segnala anche la rilevanza che per gli acquirenti hanno le attività dei rivenditori sui social media, il tono dei loro messaggi, la frequenza e l’influenza di queste interazioni sulla loro visione dei brand, in particolare da quando ha avuto inizio la pandemia di Coronavirus.
Tre consumatori su quattro, ad esempio, sono maggiormente propensi ad acquistare prodotti o servizi di un brand o rivenditore di cui ritenga affidabile l’attività sui social, e – in concreto quasi la metà degli intervistati ha ammesso di aver effettuato acquisti sui social (ad esempio, attraverso l’account Instagram di un marchio) e il 51% su marketplace social, con il 24% degli intervistati intenzionato ad utilizzare di più questo canale (valore molto più alto di quello medio europeo, che si ferma al 15%).
I limiti delle imprese attive nell’e-Commerce
Non sono soltanto i grandi rivenditori o i marketplace a frenare le opportunità di business delle imprese attive (anche o solo) nel digitale: un’indagine coordinata di Marketing Arena e Università Ca’ Foscari (qui l’articolo da Engage) ha analizzato un campione di aziende attive nel B2B, segnalando un quadro di generale arretratezza.
Tre i dati che saltano immediatamente agli occhi:
- Il 76% delle aziende afferma di non disporre di un canale di vendita online.
- Il 42% delle imprese investe meno dell’1% del fatturato in comunicazione.
- Solo il 39% interpreta sito, social e altri strumenti digitali come leve per la loyalty e la retention dei clienti.
L’analisi sulle aziende B2B e le lacune nel digital marketing
Lo studio è stato portato avanti tra il 2019 e il 2020 su un campione di 101 imprese (il cui fatturato 2017, nella maggioranza dei casi, era compreso tra i 10 e i 15 milioni di euro), operanti nel nord Italia nei settori beverage, fabbricazione di macchinari, fabbricazione di autoveicoli, produzione di software e consulenza informatica.
Di fondo, emerge una generale arretratezza di queste aziende attive nel B2B per quanto riguarda gli investimenti in attività digitali, viste più “come strumento per posizionare commercialmente le proprie attività che un canale attraverso il quale costruire l’immagine dell’azienda”.
I KPI utilizzati per misurare il successo delle strategie sono l’aumento della brand awareness (34%) la raccolta di contatti commerciali (35%): manca la cultura della customer retention (la fidelizzazione del cliente anche dopo l’acquisto), KPI impostato solamente dal 6% delle aziende coinvolte e che invece è “un compito importante che permette di valorizzare il brand e consolidare le relazioni”. Questa metrica si fonda su alcuni presupposti – costa meno vendere a un cliente già acquisito che a un nuovo cliente e i tool digitali potrebbero automatizzare o snellire il processo di retention – ma spesso le aziende sottovalutano tutto quello che accade dopo la raccolta del lead o dopo la vendita (non impostando una valida content strategy, affidandosi al sito e ai social media e non a canali più specifici, come l’email marketing) e questo può dipendere sia da inefficienze organizzative, sia dalla mancanza di esecuzione delle attività. Al contrario, impostare un parametro obiettivo che misuri la customer retention “può portare a ottimizzare il costo per vendita e valutare sotto una luce diversa il costo per lead o per acquisizione cliente”.
Molto limitato anche il ricorso ad agenzie esterne per le attività di comunicazione e marketing (ritenute logiche prettamente B2C): la maggior parte delle imprese analizzate gestisce le attività attraverso un team interno, e il dato non sembra subire grandi variazioni in relazione al giro d’affari (anzi, cresce al 70% quando il fatturato supera i 15 milioni).
Altro limite evidente è la mancata esplorazione dei canali di vendita digitali: solo il 24% delle aziende presenti nel campione intervistato ha attivato le vendite online, per lo più attraverso marketplace e piattaforme di terze parti (15%), e solo il 9% ha sviluppato un proprio sito e-Commerce.
Tutti segni di un generale ritardo nella trasformazione digitale dei processi aziendali da parte delle imprese B2B.