L’attenzione è una risorsa preziosa e rara perché “una persona ne ha solo una certa quantità”. Questa massima di Matthew Crawford ci proietta immediatamente in una delle grandi sfide del digital marketing, ovvero catturare e mantenere l’attenzione degli utenti: con la moltiplicazione delle piattaforme online e dei contenuti disponibili, infatti, l’utente medio è bombardato da notifiche, annunci e contenuti di ogni tipo, e quindi è diventato ancora più difficile emergere e farsi strada. Questo fenomeno è noto come “attention economy“, un’espressione che descrive la competizione serrata per l’attenzione in un mondo sovraccarico di informazioni, e che ci impone di ottimizzare le nostre strategie per assicurarci che il messaggio giusto raggiunga il pubblico giusto nel momento giusto.
Che cos’è l’attention economy
L’attention economy si basa su un principio semplice: l’attenzione umana è limitata. Non possiamo concentrarci su tutto contemporaneamente, quindi scegliamo a cosa dedicare il nostro tempo. In questo contesto, l’attenzione diventa una risorsa scarsa e, di conseguenza, di grande valore.
Non si tratta di un concetto nuovo – la prima formulazione ha origine addirittura negli anni Settanta – ma è diventato di strettissima attualità nell’odierno mondo digitale, in cui il contenuto sembra essere infinito mentre il tempo a disposizione di ciascuno di noi non lo è.
In tal senso, l’attention economy diventa un principio che si manifesta attraverso la lotta per emergere nel feed di notizie di un social network, per posizionarsi in cima ai risultati di ricerca di Google o per ottenere un click su un annuncio pubblicitario. Ogni interazione che riusciamo a guadagnare è il risultato di una strategia che ha saputo sfruttare efficacemente l’attention economy.
Che cosa si intende per attenzione
A questo punto è opportuno anche puntualizzare cosa significa “attenzione”: riprendendo le informazioni di Nielsen Norman Group, attenzione è “un focus selettivo su alcuni degli stimoli che stiamo attualmente percependo, ignorando altri stimoli provenienti dall’ambiente”.
Quando nelle conversazioni ordinarie diciamo “presta attenzione” implichiamo inconsciamente due importanti caratteristiche di questo asset: che è limitata e che è preziosa. Quando “prestiamo” attenzione a una cosa, esauriamo il nostro budget di risorse mentali in modo da avere meno attenzione disponibile da spendere altrove. Tutte le teorie sull’attenzione umana concordano sul fatto che la sua capacità è limitata, e già lo psicologo ed economista Herbert A. Simon negli anni Settanta descriveva l’attenzione come un “collo di bottiglia” nel pensiero umano, aggiungendo anche che “una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione”.
La presunzione del multitasking è una fandonia, sostengono gli esperti: le persone non possono dedicarsi pienamente a più cose contemporaneamente. Ad esempio, è possibile tenere il telefono acceso mentre si guarda la televisione, ma se concentrano l’attenzione su un flusso di social media, perderanno parte di ciò che è accaduto nello show.
Le principali teorie sull’attention economy
È praticamente da più di mezzo secolo che gli studiosi cercano di chiarire questi concetti e, nel tempo, le teorie che stanno alla base dell’attention economy si sono intersecate con la psicologia, l’economia e la tecnologia.
Uno dei papà di queste formulazioni è il già citato Herbert Simon, tra i primi a ragionare sulla scarsità dell’attenzione nel contesto dell’abbondanza informativa: nel 1971 Simon sottolineò che una ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione, suggerendo che quando l’informazione è abbondante, ciò che diventa raro è l’attenzione umana, consumata e dispersa in una sovrabbondanza di fonti di informazione.
Negli anni ’90, Michael Goldhaber ha approfondito il concetto di attention economy, affermando che “l’attenzione è la principale valuta dell’economia digitale” e sottolineando come, in un mondo dove l’informazione è sovrabbondante, ciò che conta è la capacità di attirare e trattenere l’attenzione del pubblico. Sempre in questo periodo B. Joseph Pine II e James H. Gilmore parlano per la prima volta di economia dell’esperienza (experience economy), sostenendo che le esperienze memorabili possono catturare efficacemente l’attenzione dei consumatori – e spronando le imprese a creare esperienze uniche e coinvolgenti per distinguersi.
Anche la nota teoria della long tail, inventata da Chris Anderson nel 2004, si applica a questi concetti perché parte dalla verifica di quanto la cultura e l’economia si stessero allontanando da un focus su un numero relativamente piccolo di “hit” mainstream, procedendo verso una vasta gamma di nicchie: in questo contesto, l’attenzione si disperde su un numero maggiore di interessi e contenuti.
Le implicazioni per il digital marketing e la SEO
Queste teorie ci ricordano che non basta produrre contenuti di qualità: è essenziale anche saperli rendere visibili e attraenti in un mare di distrazioni. Il digital marketing moderno ha adottato questo approccio per sviluppare tecniche sempre più raffinate di cattura dell’attenzione, come il targeting comportamentale, il content marketing personalizzato e non ultimo la stessa ottimizzazione per i motori di ricerca.
Il punto di partenza dell’attention economy è, come ribadito, la considerazione sul fatto che l’attenzione di un potenziale consumatore è una risorsa preziosa e limitata. Questa prospettiva si riflette nel modello AIDA (attenzione, interesse, desiderio e azione), un processo lineare che gli inserzionisti dei media tradizionali hanno a lungo utilizzato per guidare i consumatori nel funnel verso la conversione: in questa sequenza, l’attenzione rappresenta il primo e cruciale passo per trasformare un individuo da semplice spettatore a consumatore attivo.
Con l’avvento della pubblicità online, il costo per raggiungere i consumatori si è notevolmente ridotto, consentendo di trasmettere un volume di annunci molto più elevato rispetto a quanto un consumatore possa effettivamente elaborare. Di conseguenza, l’attenzione del consumatore è diventata la risorsa scarsa da catturare e gestire con cura. Tuttavia, questa superfluidità di informazioni può anche complicare il processo decisionale, spingendo gli individui a continuare a cercare e confrontare prodotti in un ciclo apparentemente infinito di promesse e aspettative – come descritto dal concetto di messy middle introdotto da Google per quella fase caotica, appunto, che sta tra il primo trigger e l’ultimo step.
La sfida per i siti web, quindi, è emergere in questo oceano di contenuti, diventando un punto di riferimento per gli utenti attraverso una combinazione di qualità, rilevanza e ottimizzazione. La qualità del contenuto è fondamentale per mantenere l’attenzione una volta catturata, evitando così un rapido disimpegno da parte dell’utente. La rilevanza, invece, assicura che i contenuti rispondano alle esigenze e agli interessi del pubblico target, richiedendo una profonda comprensione di chi sono gli utenti, cosa cercano e come preferiscono consumare i contenuti. L’ottimizzazione gioca un ruolo chiave nell’assicurare che i contenuti siano facilmente trovabili, attraverso pratiche SEO che migliorano il posizionamento nei risultati di ricerca e attraverso l’ottimizzazione dell’esperienza utente, che rende la navigazione del sito piacevole e intuitiva.
In questo contesto, è importante riconoscere e ricordare che gli esseri umani dispongono di risorse cognitive limitate: quando queste risorse vengono concentrate su un compito, ne rimangono di conseguenza meno disponibili per altri. L’attenzione, in quanto processo cognitivo che richiede la concentrazione selettiva su determinate informazioni a scapito di altre, può essere vista come una risorsa di elaborazione limitata.
Questo principio si estende anche alle pratiche di marketing meno etiche, come l’invio di spam via e-mail e sul web. Gli spammer sfruttano l’architettura attuale dei sistemi di posta elettronica e dei motori di ricerca per catturare l’attenzione senza pagare per essa un prezzo equo. L’invio di grandi quantità di e-mail di spam ha un costo molto basso per gli spammer e può essere redditizio anche con tassi di conversione estremamente bassi; analogamente, la manipolazione dei risultati dei motori di ricerca attraverso pratiche Black Hat come la creazione e il commercio di collegamenti ipertestuali può distorcere la visibilità dei contenuti online.
Infine, il modello di inclusione a pagamento e le reti pubblicitarie come Yahoo! Publisher Network e Google AdSense trattano l’attenzione del consumatore come una proprietà che può essere sfruttata dal motore di ricerca o dall’editore.
Insomma, tutte queste pratiche evidenziano la natura commerciale dell’attention economy, dove l’attenzione è non solo una risorsa, ma anche una merce che può essere acquistata, venduta e scambiata nel mercato digitale
Attention economy: sfruttare video e multimedia per catturare gli utenti
Ogni giorno siamo esposti a oltre 4mila messaggi pubblicitari, provenienti da più piattaforme, dispositivi e canali: un vero e proprio “campo di battaglia per l’attenzione”, dice una ricerca di Dentsu promossa anche da Google. Eppure i marketer continuano “a fare trading sulle impressioni, conoscono il costo e la portata, ma forse ignorano il valore reale degli annunci, se sono mai stati visti e qual è stato il loro impatto”.
È da queste premesse che parte la definizione di un nuovo approccio al marketing multicanale, sulla scia dell’Attention Economy, che si basa su un differente sistema di valori e sulla valutazione di “ciò che è probabile che venga consegnato, rispetto a ciò che è comprato”.
Lo studio, al centro anche di un interessante approfondimento pubblicato sul blog di Google a firma di JiYoung Kim, Chief Digital Officer di Carat US, ha provato a evidenziare come i team possono utilizzare i dati e la tecnologia per rispondere a queste domande e, soprattutto, cerca di spiegare perché è il momento di iniziare immediatamente “a ridurre il divario tra media, creatività e content strategy” per ottenere il massimo da queste piattaforme digitali, utilizzando i video non solo per attirare i consumatori, ma anche per coinvolgerli, catturare la loro attenzione e ottenere risultati su larga scala.
Un nuovo approccio anche alla produzione di contenuti
L’attenzione è sempre stata “parte integrante del valore dei media, ma in un contesto di bassa crescita, con i budget dei media sotto un intenso esame, questo può confondersi con l’attenzione al prezzo”. Invece, l’attention economy mette al centro l’utente, o meglio la capacità di conquistare il suo interesse, anche temporaneo, con i contenuti promozionali proposti attraverso i vari canali e piattaforme.
L’attenzione del pubblico non è più un dato di fatto, ma è diventato “qualcosa da guadagnare mentre il pubblico spegne, salta, passa oltre e si frammenta”, soprattutto parlando di video online, il formato di annunci in più rapida crescita e caratterizzato anche dalla possibilità di visione on demand, divenuta ormai la norma.
La pubblicità è stata lenta a reagire a questa sfida e ora è necessario dedicare una nuova cura ai messaggi pubblicitari e al loro contenuto, scoprire un modo di dare valore agli investimenti mediatici dei brand che sia più stabile “nel contesto di un frammentato e confuso paesaggio digitale”, senza dimenticare che “lo scopo della pubblicità è quello di costruire ponti, semplificare e consentire ai marchi di comunicare con i consumatori”.
In particolare, le nostre abitudini di consumo multimediale cambiano e si evolvono e ormai ci stiamo slegando sempre più dalla vecchia TV tradizionale, familiarizzando con servizi video e piattaforme di streaming, presenti praticamente ovunque e a disposizione in ogni momento. Ma c’è un aspetto cruciale che i professionisti del marketing devono comprendere per cogliere le nuove opportunità: pur avendo alcune cose in comune con la TV lineare, ciò che ha funzionato per i media classici non funziona necessariamente per le nuove esperienze.
I risultati dello studio confermano: l’attenzione del pubblico è merce rara
Gli specialisti di Dentsu, usando la più recente tecnologia di eye-tracking e i più recenti panel di ricerca in Regno Unito, Stati Uniti e Australia, hanno analizzato 17mila esposizioni di singoli video pubblicitari su tre piattaforme (TV lineare, video in-feed sui social media e preroll su piattaforme video), traendo alcune considerazioni molto utili per tutti coloro che sono interessati al marketing digitale.
Il primo aspetto evidenziato è in realtà una conferma di sottolinea ciò che, intuitivamente, tutti noi sappiamo: l’attenzione è una risorsa rara e, allo stesso tempo, la pubblicità spesso non richiede tutta la nostra attenzione. In media, gli annunci sono stati guardati direttamente solo per un terzo del tempo in cui sono apparsi e la maggior parte dell’attenzione è stata costituita dalla visualizzazione periferica; una parte significativa dei soggetti esaminati ha evitato completamente gli annunci. Tutte le piattaforme hanno fornito un mix di attenzione, ma il dispositivo usato è significativo per la ricezione (ad esempio, la full avoidance – totale elusione – è maggiore sulla TV lineare e minore sulla TV su smartphone).
Nello specifico, la ricerca rivela che solo un terzo degli annunci ottiene la piena attenzione del pubblico; quando le persone possono saltare gli annunci, spesso usano la funzione, e quando non possono saltare gli annunci, distolgono comunque lo sguardo. Secondo gli esperti, l’esplosione di contenuti digitali, nuove forme di pubblicità e tecnologia a portata di mano ha creato sia i motivi che i mezzi per le persone di proiettare la pubblicità fuori dalle loro vite.
Come rivalutare gli annunci
Sono due i punti di vista fondamentali che emergono dall’analisi dei risultati:
- Un annuncio che non si vede non vale nulla, ma è maggiormente sfumato il modo in cui vediamo la pubblicità e come questo influisca sull’efficacia. Ad esempio, anche gli annunci parzialmente visti sono in grado di incrementare le vendite e quindi la riduzione dell’elusione degli ads può essere più importante per gli inserzionisti rispetto al tentativo di massimizzare la piena attenzione.
- L’efficacia è strettamente correlata a quanta parte di un annuncio è visibile e per quanto tempo, ma altri fattori possono essere altrettanto importanti: momenti chiari di branding, come ad esempio mostrare il logo, aumentano l’attenzione del pubblico.
Non è solo lo sguardo pieno che ha valore: anche gli annunci in visione periferica possono aumentare le vendite perché è cambiato anche il modo di guardare (ne parlavamo anche a proposito delle SERP di Google, con il Pinball Pattern). In effetti, gli ads che hanno avuto full gaze hanno portato a incrementi di vendite solo leggermente superiori rispetto agli ads in peripheral vision. E quindi, piuttosto che puntare alla piena attenzione a qualsiasi costo, la vittoria più grande per i marketer è quella di evitare l’elusione totale, dove il pubblico guarda altrove o va direttamente via.
Context is king
Non meno importante è il ruolo svolto dal dispositivo e dalla piattaforma su cui appaiono gli annunci, al punto che lo studio rielabora la classica espressione della comunicazione web sintetizzando che “Context is king”, il re è il contesto. L’attenzione offre dati ampiamente paragonabili sia su in-feed social che nel pre-roll proposto su smartphone, ma i TV ads ottengono un’attenzione significativamente maggiore di entrambe le forme quando visti su un dispositivo mobile.
La creatività è la chiave
È dunque possibile applicare queste analisi anche nel pratico per dare maggior valore ai propri investimenti in pubblicità.
La prima cosa che qualsiasi operatore di marketing deve sapere è che i fattori chiave per raggiungere gli obiettivi sono la creatività e il contenuto in cui vive. Lo studio sull’Attention Economy ha consentito di ridefinire “il modo in cui misuriamo, pianifichiamo e acquistiamo i media” e, lavorando con Google e YouTube, JiYoung Kim ha identificato tre elementi chiave per attirare l’attenzione e, in definitiva, le prestazioni dei video:
- Intelligenza creativa.
- Test creativi.
- Pensare come un creatore.
Iniziare con l’intelligenza creativa
C’è una correlazione diretta e innegabile tra il rendimento della campagna e l’efficacia della creatività, ma l’aspetto critico è capire cosa rende efficace la tua creatività. Secondo l’autrice, oggi i brand “possono sfruttare l’intelligenza artificiale, l’apprendimento automatico e la scienza dei dati per comprendere gli elementi creativi che guidano le prestazioni dei media e ottimizzare le loro risorse di conseguenza”.
Quella che è considerata una creatività “efficace” si evolverà parallelamente alle richieste dei consumatori e i professionisti del marketing devono imparare a navigare in questa evoluzione rispetto alla propria attività mediatica in tempo reale.
Associando gli output dell’API Video Intelligence di Google e i dati sul rendimento della campagna YouTube di clienti selezionati, i data scientist di Dentsu sono stati in grado di scoprire cinque suggerimenti per una creatività più efficace:
- Il posizionamento del logo è importante. Se stai sviluppando risorse che si possono skippare, è bene evitare di posizionare il logo o il nome del brand vicino al pulsante “Salta annuncio”, mettendolo in una posizione più evidente e visibile.
- Dare allo spettatore un chiaro passo successivo. Bastano semplici CTA per far restare gli spettatori sul percorso previsto.
- Usare inquadrature e fotogrammi diversi per mantenere alti i livelli di attenzione. Video, voci fuori campo e testo girati dinamicamente catturano l’attenzione e stimolano l’azione.
- Formati più brevi possono aiutare a promuovere le offerte. Quando scoprono la presenza di uno sconto o un’offerta, gli spettatori tendono a smettere di guardare e ad agire.
- Usare subito i sonic brand. Se valutiamo di usare un jingle o qualche altro tagging sonoro, è opportuno inserirlo in primo piano nell’annuncio, quando è più probabile che attiri l’attenzione della gente.
Accettare i test creativi
JiYoung Kim invita poi a sfruttare i test creativi per capire come la qualità degli annunci influisce sulle vendite, sull’intenzione di acquisto e sul ROI, a maggior ragione in uno scenario in cui sono aumentati gli strumenti a disposizione dei consumatori per saltare, ignorare o bloccare gli annunci e quindi è ancora più critico riuscire a intercettare la loro attenzione.
A supporto di questa tesi, la Chief Digital Officer ricorda il caso di un cliente di Carat – operante nel settore dei beni di consumo confezionati – che ha messo l’azienda di fronte alla sfida di stimolare la considerazione degli acquisti all’interno di un verticale affollato. La sperimentazione si è servita dello strumento Video Experiment di Google per identificare le opportunità di ottimizzare e perfezionare la creatività video per massimizzare i risultati, e così il team ha scoperto alcuni aspetti interessanti:
- I video che pubblicizzano la “morbidezza” dei prodotti hanno aumentato del 6,9% la considerazione di acquisto tra le donne.
- La creatività che presenta il prodotto come “premium” ha generato un aumento del 6,1% della considerazione di acquisto tra gli uomini e ha generato l’incremento più elevato (6,3%) nella considerazione complessiva degli acquisti tra tutti i dati demografici del pubblico.
- Dal punto di vista della frequenza, l’esposizione per due volte di uno spettatore a un annuncio ha generato l’incremento maggiore nella considerazione di acquisto e i risultati dell’impatto del brand sono stati più forti sui dispositivi mobili.
I risultati di test attuabili come questi “sono solo un’istantanea di ciò che è possibile fare quando i brand fanno della sperimentazione una parte del loro processo”. Indipendentemente dal settore verticale del marchio, un approccio test-and-learn fornisce “ai team dei media lezioni in tempo reale che consentono loro di avere conversazioni informate con i team creativi su ciò che funziona, cosa no e su come possono sfruttare in modo collaborativo tali informazioni per ottenere ROI incrementali”.
Pensare e proporsi come creatore di contenuti
“La spesa pubblicitaria sarà sempre un elemento chiave per assicurarsi che un marchio sia nel posto giusto al momento giusto con il messaggio giusto”, premette JiYoung Kim, ma, per alcuni brand, “presentarsi come creator all’interno del proprio canale potrebbe anche essere una grande opportunità per coinvolgere ulteriormente gli spettatori.
L’obiettivo dovrebbe essere sviluppare contenuti proprio come farebbe un creator di YouTube, tenendo a mente alcuni elementi chiave:
- YouTube è una piattaforma di relazioni, indipendentemente dal fatto che un marchio scelga di creare, curare o collaborare ai contenuti video. È necessario un certo livello di impegno per sviluppare e produrre contenuti efficaci e garantire un coinvolgimento costante con fan e commentatori, che è fondamentale per il successo continuo.
- Per creare relazioni autentiche, i contenuti di YouTube di un brand devono essere allineati e profondamente coerenti con i suoi valori. Il consiglio è di essere netto nel messaggio da trasmettere nel valore offerto al pubblico desiderato, provando anche a collaborare con i creatori giusti nel modo giusto.
- La SEO dei contenuti video e la rilevabilità sono componenti enormi per il successo di vincere in questo campo: è fondamentale che i brand approfondiscano le intuizioni e le tendenze del pubblico per conoscere i temi dei contenuti, i creator partner, le opportunità sul mercato, gli impatti demografici e altro ancora.
È il momento di sfruttare bene tutti i canali
In conclusione, l’articolo segnala che la pandemia COVID-19 ha “rafforzato la necessità per i professionisti del marketing di essere flessibili e in grado di modificare rapidamente la creatività in base alle esigenze e alle richieste dei consumatori”.
Attenersi ai principi standard rischia di non incidere più, perché i consumatori si affollano su OTT e piattaforme di streaming come mai prima d’ora: quindi, “è imperativo per i professionisti del marketing capire come guadagnare al meglio l’attenzione e guidare l’engagement sfruttando i vantaggi innovativi e data-driven forniti da questi canali”.