È un dibattito per così dire storico, che continua da anni e spesso ritorna al centro delle questioni SEO: è preferibile avere un sito con struttura a sottodomini oppure utilizzare le sottocartelle? Qual è la scelta migliore per la navigazione e quale offre le maggiori opportunità in termini di visibilità su Google? Anticipiamo che, in realtà, il motore di ricerca nella maggior parte dei casi non ha una preferenza netta e molto dipende dalla tipologia di sito e dalla gestione complessiva, ma andiamo comunque a vedere cosa si intende per sottodomini e sottocartelle e quali sono le best practices da seguire.
Che cosa significa sottodominio o subdomain
Un sottodominio è un dominio subordinato – un sottoinsieme o una partizione – di un dominio più grande e considerato principale, che opera quasi come un’entità indipendente.
Per fare l’esempio più semplice, il dominio principale è site.com, mentre il sottodominio è blog.site.com.
In linea generale, possiamo dire che un sottodominio è come un sito web completamente autonomo che si dirama dal dominio principale e può rappresenta una sezione specifica del sito: la sua funzione comune è ospitare una diversa funzionalità o un diverso argomento rispetto al topic del dominio principale, che sono quindi trattati in modo separato.
I casi di utilizzo dei sottodomini
Un sottodominio è associato al dominio principale, ma si trova al di fuori di esso perché è ospitato all’interno di una sua specifica partizione, e non è quindi associato al sito web che fa riferimento al nome di dominio.
In sostanza, un sottodominio è figlio del dominio genitore e di solito serve a ospitare:
- Blog
- Negozi di e-commerce (quando fanno parte di un sito più grande)
- Internazionalizzazione (versioni in altra lingua del sito, che ha come target un mercato diverso)
- Franchising (indicare sedi diverse)
- Siti mobile separati
- Moduli di preventivo
Com’è fatto un sottodominio
Per capire meglio il concetto di sottodominio, dobbiamo fare un passo indietro per imparare a leggere il nome di dominio in scala gerarchica.
Nella sua forma completa, il nome di un dominio comprende un dominio di primo livello o TLD e un dominio di secondo livello o SLD.
Il TLD o top-level domain è la parte che si trova subito dopo l’ultimo punto nel nome di dominio, ovvero quelle che solitamente chiamiamo estensioni di dominio, come ad esempio .com, .org, .net o .it, che viene assegnato all’ente gestore del DNS.
Il dominio di secondo livello – second-level domain, in sigla SLD or 2LD – è la parte che si trova immediatamente davanti all’ultimo punto del nome di dominio, ed è ciò che rende unico un nome di dominio.
Nell’esempio site.com fornito prima, .com è il TLD e site è il dominio di secondo livello.
Tutto ciò che si trova a sinistra del 2LD ed è diviso da un punto rappresenta un ulteriore sottodominio, compreso quindi il classico www. (che non è quindi un alias del dominio principale, anche se ormai per convenzione lo si ritiene tale). È per questo motivo che possiamo anche scegliere di non utilizzare il www. per il nostro sito – e che Google può indicizzare un sito con o senza www – e quindi sostituire questo sottodominio con qualsiasi altro termine per un subdomain con un indirizzo web unico, senza dover acquistare un nuovo nome di dominio – creando di fatto un dominio di terzo livello.
Spesso un sottodominio sarà linkato al dominio principale con un menu di navigazione o collegamenti interni, ma potrebbe anche essere isolato, in base al percorso impostato durante la configurazione del sito o di una nuova sezione.
A cosa serve un subdomain
I sottodomini funzionano come un’estensione di un nome di dominio registrato, permettendoci di portare i visitatori a un indirizzo web diverso o di puntare a specifici indirizzi IP o directory all’interno di un account di hosting.
Ad ogni modo, l’uso più frequente per un subdomain è organizzare o dividere il contenuto del sito in sezioni distinte: quando un sito ha una notevole quantità di contenuti su un determinato argomento, o c’è un topic su cui vogliamo attirare l’attenzione o distinguere da quello principale, anche per scopi di marketing, possiamo creare un dominio di terzo livello specifico, che distinguerà questa sezione dal sito principale e la ospiterà in un indirizzo web unico, senza necessità di registrare un nuovo nome di dominio.
Quando usare un sottodominio
Ci sono implicazioni tecniche, di branding e SEO sul motivo per cui come proprietari di sito potremmo scegliere di ospitare contenuti su un sottodominio, ci ricorda un recente articolo di Roger Montti.
A livello di sviluppo, può essere preferibile ospitare una versione di staging (copia di un sito creato dallo sviluppatore per testare un nuovo modello di web design) di un sito web su un sottodominio protetto da password: in questo modo, si può più facilmente configurare un nuovo database e installare una nuova versione di un sito in quel sottodominio, replicando esattamente il sito di produzione (ovvero la versione del sito aperta e visitata dagli utenti).
Il sito di staging ospitato su un sottodominio può avere la stessa struttura di directory, URL e permalink del sito principale attivo sul web; tale suddivisione permette allo sviluppatore di utilizzare facilmente modelli e tecnologie di layout completamente diversi, senza influire sul sito principale. Per motivi tecnici, gli sviluppatori potrebbero trovare più facile creare un nuovo database per un sottodominio e trattare quella sezione come un sito web indipendente, mantenendo tutti i file di database e CMS completamente separati dal resto del sito principale.
Questa soluzione non dà problemi SEO, perché fino a quando il sottodominio non è linkato da nessuna parte del Web, i crawler dei motori di ricerca generalmente non lo troveranno quel sottodominio; se anche dovessero trovarlo, poi, non potranno eseguire la scansione del sito di staging perché è protetto da password.
Usare un subdomain può avere anche ragioni nel lavoro sul branding e, ad esempio, gli editori possono sceglierlo per ospitare delle sezioni di supporto (support.site.com), dove l’utente può trovare documentazione scaricabile, domande frequenti e forum di domande e risposte, tenendo lontano questa sezione dal resto del sito principale. In pratica, scegliendo un sottodominio possiamo creare 2 brand diversi, che potrebbero anche vivere di vita propria.
Ci possono essere anche ragioni e strategie SEO dietro la scelta di un sottodominio, soprattutto se abbiamo topic di contenuto completamente diversi da quelli del sito principale: con un subdomain, possiamo isolare quel contenuto restando comunque all’interno del brand del sito principale.
Date le loro caratteristiche, i subdomain possono servire a posizionare contenuti con un intento di ricerca oppure temi differenti, o afferenti a una particolare nicchia, di quelli del sito centrale. Ogni sottodominio, a tutti gli effetti, si comporta come un universo semantico prossimo, ma non identico, al dominio principale, più o meno vicino in base all’architettura del sito.
È il tipico caso dei blog aziendali di siti e-Commerce, o di siti di news che ospitano su un dominio di terzo livello una sezione di ricette, di eventi o di altri temi non strettamente legati all’attualità.
In questo senso, i sottodomini sono utili anche per la segmentazione dell’audience, per intercettare non solo utenti interessati al tema principale (ad esempio, la vendita di prodotti), ma anche quelli che vogliono leggere contenuti informativi nel blog o notizie di settore, che sono target diversi anche se di tema correlato. Così facendo – e procedendo senza errori – si tengono separate le keyword legate al business principale da quelle invece più informative, intercettate dal blog o dal sottodominio specifico.
Quando pianificato strategicamente, un sottodominio è anche chiaro e pertinente, e può migliorare la user experience perché indica esattamente a un utente cosa aspettarsi quando fa clic su quel link e se il contenuto che stanno visualizzando è pertinente il suo intento.
Che cosa sono le sottocartelle o subfolder
Una sottocartella – subfolder, subdirectory o sottodirectory – è cartella di gerarchia inferiore rispetto a quella precedente, e a livello di sito possiamo considerare sottocartelle tutte le directory interne alla root del sito, la cartella principale da cui si diramano tutti gli elementi.
Una sottodirectory è quindi una parte della struttura del sito associata al nome di dominio, solitamente separata dal simbolo dello slash (/).
Un esempio comune di subfolder è site.com/blog: in questo caso, la sottocartella blog/ si trova all’interno del dominio principale, fa parte del sito web principale come qualsiasi altra pagina ed è, a tutti gli effetti, solo un’altra pagina del sito.
Come sono fatte le subdirectory
Ai vecchi tempi della codifica HTML, un web designer creava cartelle e inseriva fisicamente le pagine web in quelle cartelle; si tratta di un processo simile al funzionamento dell’archiviazione di file su un computer desktop, nelle quali si creano cartelle e si inseriscono immagini o file di fogli di calcolo.
Tutto ciò che viene inserito all’interno della cartella principale – che nel sito è la root – prende il nome di “sottocartelle” o “sottodirectory”, in inglese subfolders o subdirectory, secondo appunto una gerarchia.
Ogni sito Web è, in genere, costituito infatti da diverse sezioni di categorie e pagine Web; proprio come le cartelle del desktop, anche le cartelle online possono essere organizzate con un ordinamento secondario, e ad esempio in una subfolder chiamata /green-widgets/ dovrebbero essere inserite tutte le pagine HTML dei widget verdi.
Quando l’utente naviga in quelle pagine si muove letteralmente attraverso una cartella e un file HTML (ad esempio, https://www.site.com/widgets/green-widgets/big-green-widget.html – con le cartelle /widgets/ e /green-widgets/ che sono parimenti sottocartelle); nel classico sistema WordPress e su altri siti Web basati su PHP, queste sottodirectory sono virtuali – ovvero, non esistono sul server e non possiamo navigare verso di loro con un programma FTP e vedere le cartelle effettive – ma fanno comunque parte della struttura dei file del sito Web e sono ancora chiamate subdirectory.
I vantaggi delle subdirectory
Adottare un approccio di gestione dei contenuti attraverso separazione in cartelle in genere è considerato più semplice e immediato, perché in sostanza non sposta la naturale sistemazione delle informazioni all’interno del sito.
La struttura a directory, infatti, semplifica la gestione, è meno complessa da mantenere e permette anche di eseguire operazioni di migrazione di hosting senza dover intervenire sul pannello DNS: si tratta di lavorare con un “unico sito”, con le cartelle che creano la tassonomia e ordinano argomenti o intenti in modo specifico e visibile negli URL.
Inoltre, un sito completo (ovvero non suddiviso in sottodominio) può essere considerato più autorevole di un sito che si concentra solo su una parte granulare di un argomento, perché può comprendere un topic nell’intera ampiezza e profondità e, pertanto, attrarre più link e conquistare autorevolezza agli occhi di utenti e Google.
Questo si lega anche alla possibilità di “concentrare” tutte le parole chiave all’interno del dominio principale, che può rappresentare un grande vantaggio in termini di marketing.
Le differenze tra sottodomini e sottocartelle
Sottodomini e sottocartelle hanno alcune caratteristiche simili: si tratta in entrambi i casi di archivi di contenuti e percorsi di file all’interno della struttura della directory “Home” di un server – che nei nostri casi è un URL.
Un subfolder è una child directory (directory figlio, una cartella gerarchicamente sotto un’altra cartella) che risiede in una directory principale (Home), e così pure un sottodominio. E in entrambi i casi l’utente può accedervi proprio come un normale indirizzo di un sito.
Ma molto più numerose, e sostanziali, sono le differenze tra questi due sistemi, perché un subdomain non è semplicemente un percorso all’interno di un dominio – come le sottocartelle – ma una entità slegata, come detto.
Un sottodominio, infatti, si trova al di fuori del dominio principale ed è ospitato nella sua partizione del dominio; al contrario, la sottodirectory ricade sempre all’interno del dominio principale, come qualsiasi altra pagina.
Leggendo un URL, troviamo il sottodominio sempre prima e a sinistra del dominio principale, mentre una sottodirectory si troverà sempre dopo e a destra.
Sottodomini e sottocartelle per la SEO e per Google
È importante ragionare a monte sulla scelta tra subfolder o subdomain, al momento di organizzare la struttura del sito – che sappiamo influire in modo significativo sul rendimento della ricerca organica – perché la strada che decidiamo di prendere nel modo di posizionare i contenuti può avere un impatto pratico sulla SEO.
Come abbiamo scritto, l’algoritmo di Google tratta i sottodomini come entità separate dal dominio principale – perché alcuni siti inseriscono contenuti diversi nei sottodomini che non vogliono associare al sito principale, o perché quei sottodomini sono controllati da persone diverse – e in effetti anche nella Search Console i sottodomini vanno inseriti e registrati come proprietà individuali, come se fossero siti diversi.
Ciò significa, per ripetere e chiarire, che per Google site.com/blog/ è parte di site.com, mentre blog.site.com è una entità separata: e quindi, tutti contenuti, ma anche tutti i backlink, di questo sottodominio non sono presi in considerazione per la classificazione del dominio principale.
Pertanto, il contenuto (e le sue risorse preziose, come i backlink) ospitato su un sottodominio non viene preso in considerazione dall’algoritmo di Google quando classifica il dominio principale.
È quasi come se il contenuto pubblicato nel sottodominio fosse ospitato su un dominio completamente diverso per scopi di classificazione; apparentemente questa potrebbe non sembrare una buona cosa, ma a volte ha perfettamente senso, specialmente quando i sottodomini dovrebbero essere visti come rappresentanza di aziende o divisioni separate.
Ad ogni modo, per Google “una struttura vale l’altra” – già in questo video del 2017 John Mueller diceva che per la Ricerca Google funziona sia l’uso di sottodomini che di sottodirectory – e quindi la scelta deve essere ponderata pensando alle caratteristiche del brand, del business e agli scopi che intendiamo raggiungere.
Subfolder o subdirectory, qual è migliore per la SEO
Apparentemente, quindi, non ci sono vantaggi SEO nella scelta di una struttura o dell’altra, anche se la soluzione unitaria (e quindi le sottocartelle) si lascia preferire per comodità e praticità di gestione.
Per chiarire: non c’è alcun tipo di penalizzazione per chi posiziona i contenuti del blog in un sottodominio, e l’unico rischio che si corre in questo caso è che i contenuti pubblicati sul blog non aiuteranno il dominio principale a posizionarsi meglio e guadagnare più traffico. Dobbiamo ricordare, infatti, che un sottodominio non ha gli stessi parametri del dominio principale, e questo espone anche a situazioni paradossali, come ad esempio il caso di un articolo ben scritto su un subdomain che, linkato da una fonte autorevole, rende la risorsa secondaria più importante dei contenuti del dominio principale.
Questo è confermato da un famoso (e ormai datato) studio di Moz, che ha messo in evidenza come una struttura con sottodomini rischi di confondere i motori di ricerca e produrre risultati indesiderati, quali la separazione di una grande porzione di keyword sotto il sottodominio o la diluizione della forza dei backlink.
Se siamo consapevoli di questo effetto collaterale – e del fatto che l’autorevolezza complessiva di sottodominio e dominio principale è in qualche modo divisa e potenzialmente inferiore rispetto a quella di una struttura olistica che utilizza le sottodirectory – non avremo problemi e difficoltà nel portare avanti il progetto.
È, in definitiva, uno scenario in cui non esiste davvero una scelta ottima e tutto “dipende” dai casi specifici: a volte, ha senso ospitare parte del sito su un sottodominio, in altri casi le sottodirectory possono guidare la crescita del traffico. Ciò che conta è comprendere i diversi scenari di utilizzo e il modo in cui possono influire sulle prestazioni organiche del sito.
Le conclusioni: quando è meglio il sottodominio e quando è meglio la sottocartella
In alcuni casi può essere facile capire quale sia la strada migliore, ma in altre situazioni e per particolari tipi di contenuti e funzionalità del sito bisogna fare considerazioni più ampie e cercare di valutare i pro e i contro di ciascuna opzione.
A volte, semplicemente, non c’è una risposta definitiva su quale sia il modo migliore di procedere tra sottocartella o sottodominio, ma studiando una serie di fattori possiamo chiarirci le idee e riuscire a fare la scelta più adatta alle nostre esigenze.
La considerazione che dovrebbe essere prioritaria nel decidere se utilizzare un sottodominio è se funziona per gli utenti; poi possiamo passare a capire in che modo la decisione può influire sulle prestazioni SEO del sito, analizzando i potenziali vantaggi tecnici, di visibilità e di branding di ciascuno dei percorsi.
In linea di massima, se ha senso per gli utenti che una sezione appartenga al resto del sito, utilizzare una struttura di sottodirectory è il modo migliore per strutturare un sito web; ma se la sezione starebbe meglio in autonomia, perché è molto diversa dal resto del sito ma vogliamo comunque continuare ad associarla al brand o al nome del sito principale, allora un sottodominio potrebbe essere l’approccio migliore.
Esempi di casi per preferire subdomain o subdirectory
Nella maggior parte dei casi, una sottodirectory è da preferire sui sottodomini dal punto di vista SEO.
Ciò è vero in particolare per un blog o la sezione shop di e-Commerce, perché ospitare tali contenuti in una sottodirectory può dare una spinta complessiva alla crescita del dominio – sempre che si evitino errori di gestione delle risorse, che possono portare ad esempio alla cannibalizzazione delle keyword, frequente quando i contenuti del blog si posizionano per keyword su cui competono anche le relative pagine dell’e-Commerce.
In alcune occasioni, però, l’utilizzo di un sottodominio può essere comunque la scelta migliore, come nel caso di varianti in lingua straniera di un sito web principale, di contenuti tematicamente molto diversi dal resto del contenuto del sito, di moduli di preventivo, di centri di supporto o comunque di contenuti che è improbabile che aggiungano valore al sito in ottica di pertinenza o di attualità. Spostare queste sezioni in un dominio di terzo livello non danneggia la SEO (né l’uso di sottodirectory porterebbe benefici in questo senso).
Insomma, come detto non esiste in senso assoluto una configurazione migliore dell’altra in riferimento alla sola ottimizzazione per i motori di ricerca: sia la struttura a directory (site.com/blog) che quella a sottodomini (blog.site.com) sono potenzialmente adatte a classificare i contenuti su Google – a patto che siano di qualità e rispettino tutti i requisiti di base.
Non dobbiamo però dimenticare che spesso la semplicità è vincente, e quindi è preferibile scegliere la configurazione che sarà più facile da mantenere nel medio e lungo periodo – sia per il webmaster che dai web hosting, che a volte supportano una modalità piuttosto che l’altra.