Nell’ambito digital è facile imbattersi in contenuti che descrivono che cos’è la customer journey e perché è importante rendere agevole il percorso dei clienti nella relazione verso il nostro brand anche attraverso le ottimizzazioni SEO, ma c’è anche un altro tipo di “viaggio” che è utile conoscere: parliamo di due concetti affini, la user journey e la search journey, che riguardano più specificamente le interazioni verso il nostro sito, l’approccio alla Ricerca su Google e, più in generale, le decisioni e le intenzioni degli utenti.
La search journey, la SEO e Google
A ricordarci la rilevanza di questi aspetti è anche il nostro CEO Ivano Di Biasi, che nel corso del suo intervento allo ZoomDay 2022 si è soffermato anche sull’importanza della search journey per la SEO e per Google stesso, sottolineando come attraverso il suo comportamento ogni utente può diventare il vero giudice della qualità di un contenuto posizionato in SERP: l’interazione con i risultati organici, un clic o un mancato clic, un indietro e una nuova ricerca sono infatti dei segni che il motore di ricerca immagazzina e analizza in ottica di eventuale rimodulazione delle posizioni.
Per questo motivo, quindi, potenzialmente anche un contenuto pessimo e inutile può raggiungere la Top10 (magari anche con tattiche black hat o comunque strategie estreme molto spinte), ma la sua permanenza si lega comunque al riscontro che le persone hanno con la pagina, perché alla fine l’utente può buttarlo fuori (per meglio dire, molti utenti possono) se in concreto quella pagina non offre valore aggiunto e utilità.
Analizzare anche il search behaviour
Prima di tutto, però, queste analisi servono anche al nostro sito e al nostro progetto, perché conoscere il proprio utente e individuare in maniera precisa il suo percorso ci permette ad esempio di mettere a fuoco in maniera più precisa il contesto in cui il nostro sito – o il nostro singolo contenuto – si deve inserire. È necessario analizzare l’intero iter di ricerca degli utenti, dalla nascita dell’esigenza fino alla scelta della soluzione, perché il search behavior (il comportamento nel processo di ricerca) è un riflesso delle priorità degli utenti, e quindi lavorare per intercettare il search intent e proporre la nostra soluzione.
La consapevolezza fa offrire contenuti migliori
In termini concreti, questo studio ci permette di applicare una buona struttura organizzativa e un piano editoriale efficace per promuovere il nostro sito e ottenere i risultati sperati, basandoci anche sul “fattore tempo” per capire in quale momento della search journey intercettare le persone, orientando di conseguenza il nostro contenuto e la nostra offerta (e aggiornando quando necessario gli articoli per fornire risposte diverse alle stesse domande in diversi momenti dell’anno).
Bisogna cioè avere consapevolezza – del proprio settore, gli utenti e anche dei contenuti del proprio sito web – per sapere cosa potrebbe accadere e quando (anche con tendenze stagionali da anticipare), e per raggiungere un obiettivo strategico dall’alto potenziale. Fare il traffico giusto, per gli utenti giusti, al momento giusto, avendo fatto targeting dell’utente giusto che trova la pagina web che offre un contenuto di qualità e adatto alla sua esigenza.
Anche Google usa la search journey
Questo processo vale per noi e per le nostre attività, ma serve anche a Google per capire cosa rispondere alle nostre query: “Sicuramente gli algoritmi fanno una buona parte di questo lavoro, ma in realtà le risposte le diamo noi utenti stessi usando il motore di ricerca e fornendo informazioni col nostro comportamento”, dice Ivano, che ci spiega come e perché in maniera semplice e sintetica.
Dobbiamo pensare a Google come a un qualunque sito web – anzi, come a un normalissimo sito web dall’interfaccia quanto mai essenziale – con il suo sistema di statistiche, in grado di fornirgli informazioni su quando cerchiamo qualcosa, cosa cerchiamo, come lo facciamo, quando non siamo soddisfatti e quando invece siamo riusciti ad avere quello che volevamo
A noi Google “presenta solo una casella di ricerca” con cui possiamo interagire (o possiamo attivare una ricerca vocale), ma sono innumerevoli gli input che forniamo da utenti e che Big G raccoglie, analizza, interpreta e utilizza: il primo input che diamo al motore di ricerca è “quando”, il momento in cui facciamo la ricerca e inizia il nostro percorso, ma anche il momento in cui c’è interesse per un determinato topic (utili per le statistiche sulla stagionalità). Il secondo segnale, strettamente collegato, è il “che cosa” cerchiamo e vogliamo.
Il motore di ricerca raccoglie informazioni sul viaggio degli utenti
Da qui il motore di ricerca inizia a raccogliere altre informazioni sul nostro viaggio e a vedere cosa facciamo: il feedback in questi casi è il clic (o il non-clic) su uno o su vari risultati di ricerca mostrati in SERP che scegliamo perché sembrano maggiormente rispondere alle nostre esigenze. “Abbiamo detto a Google che, partendo dalla ricerca che abbiamo fatto, abbiamo scelto il risultato che ci interessava maggiormente. Sui grandi numeri, queste azioni degli utenti vanno a dare a Google informazioni anche sul gradimento della sua pagina”.
Quando apriamo il sito che abbiamo cliccato tra i risultati di ricerca possiamo comportarci in due modi: il contenuto ci soddisfa e lo leggiamo, oppure torniamo indietro. A sua volta, questa situazione genera due diverse azioni: torniamo alla SERP di Google perché la pagina non ci piace e scegliamo un altro risultato tra quelli proposti (il fenomeno del pogo sticking), oppure cambiamo ricerca e digitiamo una nuova query, magari più specifica e approfondita.
Quando si verifica questo caso, “come utenti diamo due informazioni a Google: innanzitutto, i dieci risultati selezionati vanno bene, perché abbiamo cliccato due o più volte all’interno di quella SERP”. Ma allo stesso tempo diciamo a Google che c’è qualcosa che non va, perché non siamo soddisfatti di uno dei risultati oppure dell’intera SERP (se ripetiamo la ricerca), aiutando il motore di ricerca ad avere informazioni sulla qualità delle sue SERP. Inoltre, Google ha anche segnali di correlazione tra le varie query ricercate, connettendole in un percorso logico.
Ogni passaggio genera dati utili per Google
L’ultimo passaggio è quello della scelta definitiva, del contenuto che completa il nostro viaggio ed esprime un “voto”: è come se dicessimo a Google “io ho cercato questa cosa, ho fatto tante altre ricerche per arrivare a ciò che volevo – mi hai fatto perdere tempo con SERP e pagine che non mi soddisfacevano – ho trovato la query giusta per avere risposte e ho trovato anche il risultato giusto tra i siti”.
E quindi il nostro percorso, la nostra search journey, determina un voto al “sito web migliore per tutto l’iter di ricerca”, perché Google recepisce le informazioni e le salva nel suo database insieme a quelle degli altri utenti che hanno fatto i loro viaggi nello stesso periodo e sullo stesso tema.
Google perfeziona il motore di ricerca anche grazie agli utenti
In sintesi, lo studio della search journey degli utenti consente a Google di capire tutto ciò di cui ha bisogno per perfezionare il funzionamento del suo motore di ricerca, e in particolare di sapere:
- Quando vogliamo qualcosa.
- Quale risultato non reputiamo una risposta adeguata (e se tanti feedback segnalano la stessa mancanza di gradimento per un risultato), è probabile che quella pagina perda posizioni e scompaia dalla prima pagina perché non è adatta al search intent della maggioranza degli utenti.
- Come ricerchiamo nuovamente quando non siamo soddisfatti dalla prima query.
- Quale risultato consideriamo adeguato e soddisfacente.
- Quante volte l’algoritmo ha fallito nel soddisfarci durante il nostro percorso, con indicazioni sia sui risultati sbagliati che su eventuali cattive interpretazioni della query.
Quindi, partendo da una semplice casella di ricerca noi forniamo tantissime indicazioni a Google, gli forniamo tutte le nostre preferenze, semplifichiamo il suo lavoro, gli diciamo cosa mostrarci subito senza farci perdere tempo in ricerche inutili.
In poche parole, diciamo a Google “come fare il motore di ricerca”, come sintetizza Ivano.
Che cos’è l’user journey
Uscendo dal meccanismo della Ricerca, può essere utile anche approfondire il più generale concetto di user journey o experience journey. Secondo la definizione classica, user journey è il percorso dell’interazione tra una persona e un servizio di vario tipo, che si delinea attraverso tutte le fasi dell’esperienza e tutte le azioni o attività previste.
La sua descrizione grafica si esegue con la user journey map, in genere costruita rappresentando la linea del tempo lungo un asse orizzontale, seguendo una sequenza logica di interazione tra utente e servizio e inserendo informazioni su tutti i canali utilizzati. Per ogni fase bisogna inoltre specificare le attività svolte, le criticità che ostacolano eventualmente il percorso e il conseguente livello di soddisfazione o frustrazione nell’esperienza.
Nuove idee dall’analisi dei punti critici
Per le sue caratteristiche, la user journey permette di generare idee partendo dalle criticità esistenti, per creare un percorso sempre più agevole e piacevole per le persone e, in definitiva, migliorare la user experience. Con questo strumento infatti possiamo visualizzare il modo in cui un utente interagisce con il nostro sito/prodotto e avere la possibilità di cambiare prospettiva e osservare dal punto di vista dell’utente, favorendo un approccio alla progettazione più incentrato appunto sulle esigenze e sulle aspettative dei fruitori.
Focalizzarsi sulle personas e sui touchpoint
In termini concreti, il primo step è individuare chi sono le personas, ovvero le rappresentazioni del nostro target di riferimento, con informazioni come età, occupazione, posizione e dettagli come il dispositivo utilizzato per raggiungerci e le attività che vogliono svolgere. In genere si consiglia di creare una user journey map per ciascuna delle personas principali.
Nelle fasi successive della creazione della mappa dobbiamo individuare i touchpoint, i punti di contatto con il nostro brand, e poi creare una narrativa basandoci anche su emozioni, sentimenti e motivazioni delle persone, che hanno un ruolo fondamentale nell’incanalare le loro azioni (motivo per il quale il feedback degli utenti è sempre utile per migliorare la comprensione del processo).
Come organizzare una user journey map: le domande fondamentali
In termini schematici, la user journey e la relativa mappa devono contenere le risposte a queste (e altre) domande:
- Contesto: dove si trova l’utente? Cosa c’è intorno a loro? Ci sono fattori esterni che potrebbero distrarli?
- Progressione: in che modo ogni passaggio consente all’utente di andare al successivo?
- Dispositivi: quale dispositivo stanno utilizzando? Sono principianti o esperti? Quali feature ha il dispositivo?
- Funzionalità: che tipo di funzionalità si aspettano dal nostro sito? È realizzabile?
- Emozione: qual è il loro stato emotivo in ogni fase? Sono coinvolti, annoiati, infastiditi?
Altre domande fondamentali per ogni user journey riguardano:
- Motivazione: perché le persone cercano di compiere quell’azione o di interagire con noi?
- Canali: dove si svolge l’interazione?
- Azioni: quali sono i comportamenti e i passaggi effettivi degli utenti?
- Punti dolenti: quali sono le sfide che gli utenti devono affrontare?
Gli obiettivi di questo lavoro
L’obiettivo di una user journey map è creare una visione condivisa, che aiuti tutti i membri del team a guardare l’intera esperienza fornita dal punto di vista dell’utente e di utilizzare queste informazioni durante la creazione di un prodotto o servizio. Per questo, le informazioni dovrebbero tradursi in narrazioni veritiere e bisogna usare dati delle sessioni di test di usabilità e gli analytics delle app per essere sicuro che il percorso descritto sia simile un caso d’uso reale.
Immagine di copertina: www.tecmark.co.uk