Customer journey è un’espressione che torna molto spesso quando si trattano tematiche di marketing online e in certi casi anche della SEO: letteralmente, significa viaggio del consumatore e serve a descrivere il percorso che una persona intraprende da quando viene a conoscenza del nostro brand fino a quando completa il funnel delle vendite. Ecco perché è importante analizzare questo viaggio per rendere più efficaci le nostre strategie.
Che cosa significa customer journey
Il viaggio del consumatore rappresenta la sintesi dei punti di contatto online e offline che i clienti hanno con un marchio, un prodotto o un servizio, e include sia i momenti di interazione diretta tra azienda e persona che quelli indiretti, ovvero le opinioni di terzi che arrivano da social, blog e recensioni varie. In sintesi, quindi, caratterizza l’interazione tra consumatore e azienda.
La classica definizione di Meyer e Schwager, pubblicata sulla Harvard Business Review, ne parla come la “reazione interiore e soggettiva di fronte a qualsiasi contatto diretto o indiretto di un consumatore con un’impresa”.
L’importanza di studiare il consumatore e il suo percorso
Il viaggio parte dal bisogno che una persona ha di un prodotto o servizio e in genere termina con l’acquisto, attraverso varie tappe che si definiscono touchpoint. La peculiarità di questo approccio è analizzare il percorso dalla prospettiva del consumatore, così da capire e migliorare l’esperienza globale di consumo, comprendere i punti forti e di vantaggio competitivo e scoprire eventuali lati deboli da correggere.
Come suggerisce anche un recente articolo su Search Engine Journal, l’espressione customer journey appare un po’ imprecisa, perché sembra suggerire che dobbiamo prestare attenzione solo alle persone che hanno effettivamente acquistato il nostro prodotto o servizio.
In realtà, il viaggio che dovremmo seguire inizia molto prima di quel passaggio finale e non termina necessariamente con l’ambita vendita o conversione, perché ogni interazione che una persona ha con il nostro marchio, che sia un cliente o meno, è importante. E questi punti di contatto influenzeranno la loro scoperta dei nostri prodotti e servizi, con un impatto sul processo decisionale e, in ultima analisi, sulla possibilità che una persona diventi un cliente fedele.
Le fasi della customer journey
Storicamente si individuavano cinque momenti chiave del processo:
- Awareness: il consumatore comprende che la soluzione al suo problema o la risposta a un suo bisogno sono un prodotto o servizio, realizzato da una o più aziende che la persona è venute a conoscenza attraverso diversi canali.
- Familiarity: il prodotto diviene familiare e riconoscibile tra tutti gli altri.
- Consideration: il consumatore ricerca informazioni perché deve scegliere fra le diverse marche in base anche alle caratteristiche del prodotto e al prezzo.
- Purchase: è il momento dell’acquisto, quando l’azienda riesce a convertire un bisogno in un’azione di acquisto.
- Loyalty: è l’obiettivo successivo alla vendita, fare in modo che il consumatore diventi fedele al brand. Si raggiunge tramite servizi post-vendita o prodotti correlati con cui suscitare nuovo interesse.
Questo modello mette l’azienda al centro del rapporto con il cliente e non appare attendibile, perché le persone non sono più passive rispetto al mercato, hanno aumentato la propria consapevolezza e soprattutto hanno una pluralità di strumenti per effettuare la propria scelta. Oggi si preferisce infatti parlare di consumer decision journey, composto da momenti di interesse e momenti di decisione.
La mappa del viaggio
Come ogni viaggio, anche qui esiste una mappa, ovvero la Customer Journey Map che è lo strumento per visualizzare l’intero percorso del consumatore e ogni singolo punto di contatto. Per realizzarla, serve raccogliere i dati attraverso un’analisi quantitativa e qualitativa, rispettando principi fondamentali quali analizzare la prospettiva del cliente e usare il linguaggio più appropriato; descrivere le emozioni che hanno contraddistinto l’esperienza; prevedere gli input e il coinvolgimento di attori diversi per mettere insieme tutte le interazioni dirette o indirette.
Il nuovo scenario ha reso il path to purchase meno simile a un percorso lineare che segue una successione ordinata di fasi, e nell’era digitale il processo decisionale è piuttosto un cammino circolare in cui tutte le fasi si influenzano a vicenda e concorrono al raggiungimento del risultato finale. Bisogna, in definitiva, comprendere e migliorare l’esperienza vissuta dal cliente, che si modella in ogni singolo momento della sua interazione con il brand.
Valutare touchpoint online e offline
Chi opera prettamente nel marketing digitale potrebbe esser portato a concentrare la sua attenzione solo (o in prevalenza) sul traffico proveniente dai siti o proprietà digitali, ignorando altri canali o relazioni offline e quindi perdendo dati preziosi sul mercato.
Un cliente potrebbe prima imbattersi nel brand attraverso un annuncio pubblicitario vecchia maniera o tramite passaparola, e queste prime fasi di awareness avranno un impatto sulla percezione globale del marchio. A loro volta, poi, potrebbero avere un effetto sulla probabilità di una ricerca organica in un secondo momento.
Le interazioni offline vanno dal sentir parlare un marchio fino all’acquisto di un articolo in un negozio fisico, e sono momenti che influenzeranno la probabilità dell’utente di cercare quel brand o servizio in futuro.
Il fattore tempo e l’influenza esterna
Con le nuove tecnologie, dicevamo, consapevoli il percorso dei clienti non è più lineare e spesso non è neppure rapido: possono anche trascorrere anni dal primo momento in cui sente parlare di un brand e quello in cui acquista. Ogni customer journey è diversa perché è una raccolta personale di esperienze che avvicina o allontana un consumatore da un acquisto.
E in questo processo è determinante anche l’impatto dei contatti indiretti, ovvero le interazioni che non avvengono in contesti interpersonali tra persona e brand, ma attraverso i canali di vendita e di comunicazione attivati (pubblicità, comunicati stampa, eventi), per il passaparola di terzi (recensioni, raccomandazioni e così via) o per altre fonti non previste dal consumatore.
La Customer Journey e la SEO
La SEO può svolgere un ruolo molto importante nel modo in cui un cliente potenziale o esistente può visualizzare il nostro marchio, perché i touchpoint nella ricerca organica su Google si verificano continuamente durante il funnel di acquisto e, anzi, oggi è spesso il Web il primo punto di accesso alle informazioni e anche alla finalizzazione della spesa.
Di più: ogni passaggio del funnel potrebbe essere associato a una ricerca su Google e quindi l’utente viene a conoscenza di un prodotto o servizio, considera le sue opzioni e alla fine acquista usando sempre il motore di ricerca come tramite, senza ovviamente dimenticare o sottovalutare le conversazioni che possono aver avuto con amici, familiari e colleghi, di persona e tramite i social media.
Gli interventi nella fase precedente alla conversione
Il lavoro online serve non solo a migliorare la visibilità organica del sito ufficiale del brand – e quindi aumentare la possibilità che un utente clicchi sul risultato in SERP e avvii il processo di conversione – ma anche a ottimizzare le opportunità e valutare (e correggere) eventuali punti critici.
Ad esempio, abbiamo spesso detto che i featured snippet sono visti di cattivo occhio perché contribuiscono a rubare clic e a determinare le ricerche a zero clic su Google (anche se un recente studio ha spiegato che la situazione è più complessa), ma in ottica del cliente possono essere una risorsa molto valida, perché offrono risposte immediate. Per l’azienda, avere un risultato zero può essere utile allora perché può migliorare la sua brand awareness e avviare un rapporto di fiducia con un potenziale consumatore.
Gli utenti poi potrebbero essere esposti a messaggi sul marchio che non sono favorevoli, e un touchpoint di questo tipo potrebbe avere un impatto disastroso sul percorso futuro: tra le attività di marketing digitale c’è anche la gestione della brand reputation, da portare avanti cercando di bloccare i sentimenti negativi online rispondendo ai problemi che l’hanno causato e quindi affrontando (e non bloccando o eliminando) gli eventuali articoli di stampa negativi, recensioni con voti bassi e discussioni critiche sui forum.
Il lavoro nella fase di conversione
Anche durante la fase di valutazione la SEO aiuta a rendere più agevole il viaggio: è importante che i contenuti del nostro sito Web rispondano a dubbi o blocchi alle conversioni che potrebbero avere gli utenti. In concreto, significa che dobbiamo verificare se ci sono query ad alto volume con domande correlate al nostro prodotto, e rispondere in maniera esaustiva sul sito, o se ci sono competitor emergenti e ricerche comparative.
In questo caso, pubblicare sul sito contenuti che spiegano e analizzano i vantaggi, presentano e motivano i prezzi o avere un’assistenza clienti attenta e pronta a intervenire può dare una spinta per vincere questa sfida.
Il percorso non termina con la conversione
La SEO non influisce sulla customer journey solo fino al momento della vendita, ma può anche aiutare a mantenere un cliente fedele al nostro marchio.
Dopo l’acquisto, serve attivare processi di supporto post-vendita per rispondere a eventuali domande di follow-up, analizzando su Google se ci sono già ricerche relative al prodotto e al suo utilizzo, ad esempio, e predisponendo contenuti efficaci. Non possiamo presumere che i consumatori tornino direttamente sul nostro sito per trovare queste risposte, ma possiamo lavorare per emergere sul motore di ricerca e dimostrarci pronti a supportare anche le fasi successive all’acquisto, conquistando nuova fiducia e rafforzando il brand.
Seguire il cliente anche dopo l’acquisto è importante anche per essere consapevoli tempestivamente e intervenire se pubblica una recensione negativa: oggi le review – in particolare quelle su Google My Business, che compaiono nelle SERP – sono strategiche per la conversione, in senso positivo ma anche negativo, perché influenzano il modo in cui anche i futuri consumatori percepiscono un marchio.
Pertanto, la risposta a un commento negativo deve essere propositiva e proattiva, mirare a correggere i malintesi e a mostrare gli sforzi per correggere i problemi. Se ci riusciamo, possiamo trasformare l’esperienza negativa di un consumatore con il nostro marchio in un’esperienza positiva e dimostrare ai potenziali futuri clienti attenzione alle esigenze delle persone e cura del rapporto.
Una gestione complessiva del brand (non solo del sito)
Il lavoro SEO o digital marketing deve cercare di tenere sotto controllo tutti gli aspetti che riguardano il brand: questo significa non solo gestire in maniera efficace il sito (contenuti, design, user experience fornita) per agevolare il funnel di conversione, ma anche controllare il traffico per identificare il modo in cui i visitatori di diversi canali interagiscono con i contenuti e monitorare la fama del brand sui canali online.
Ad esempio, visitare dei forum di settore potrebbe aiutare a comprendere meglio ciò che interessa i consumatori e le informazioni che richiedono, per strutturare contenuti più adeguati e targetizzati, che usino anche long tail keyword per soddisfare le esigenze del pubblico di destinazione.
Inoltre, così è possibile scoprire se si sta diffondendo un sentimento negativo sul brand e avere quindi l’opportunità di affrontare i problemi prima che diano vita a recensioni critiche o ad articoli negativi su siti web concorrenti (o nei siti concorrenti sulle stesse keyword del nostro marchio).
Un altro strumento utile per capire le esigenze del cliente sono le ricerche interne al nostro sito, perché ci fanno capire che ci sono prodotti, servizi o informazioni a cui l’audience è interessata, ma che non riesce a trovare. Se queste informazioni ci sono, probabilmente non sono facilmente visibili o reperibili (e quindi dovremmo rivedere la gestione della struttura del sito o della linking interna), mentre se non ci sono possiamo predisporre un nuovo contenuto.