Google Search: cos’è e come funziona la Ricerca di Google

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Ormai non è più solo “un” motore di ricerca: Google è diventato il sinonimo stesso dell’azione di “cercare” online. Ogni giorno, miliardi di utenti, che abbiano bisogno di trovare informazioni, risolvere dubbi o prendere decisioni, come primo impulso digitano o esprimono a voce le proprie query su Google Search, convinti o quanto meno speranzosi di ottenere risposte utili in una frazione di secondo. Ma cosa succede esattamente in questo tempo così minimo? Come funziona la Ricerca di Google e quali sono i segreti che governano l’algoritmo più famoso al mondo? Proviamo quindi ad analizzare in maniera semplice, ma approfondita, il funzionamento del sistema di Google Search, focalizzandoci in particolare su tutte le indicazioni riguardanti il modo in cui Google scopre le pagine web, ne esegue la scansione e le pubblica, ma anche su ciò che tutto questo significa per i siti e per la SEO.

Che cos’è Google Search, la Ricerca Google

Google Search è un motore di ricerca avanzato e automatizzato sviluppato da Google LLC, che consente agli utenti di effettuare ricerche online e trovare informazioni su miliardi di pagine web.

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Più precisamente, è il motore di ricerca più utilizzato al mondo: lanciato nel 1998 da Larry Page e Sergey Brin, negli anni è diventato uno degli strumenti essenziali per navigare e trovare informazioni sul web, grazie soprattutto alla precisione e alla rapidità del suo algoritmo, ovvero l’insieme complesso di regole, formule ed equazioni che sottende (e rende possibile) queste operazioni.

Dal punto di vista tecnico, Google gestisce miliardi di utenti e query ogni giorno, e fornisce risultati su misura che combinano sia contenuti organici che annunci a pagamento. Il suo funzionamento si basa su un complesso sistema di algoritmi e modelli di machine learning, tra cui tecnologie come RankBrain, BERT e MUM, per esaminare, catalogare e classificare le risorse online in base alla loro rilevanza e affidabilità. Google Search scansiona il web attraverso processi di crawling, indicizzazione e ranking, garantendo che i risultati siano pertinenti all’intento di ricerca dell’utente.

Come funziona il motore di ricerca di Google

Prima di approfondire gli aspetti più tecnici possiamo soffermarci ancora sulla spiegazione generale di che cos’è Google Search.

Tutto ciò che vediamo, infatti, è una interfaccia minimalista – nella versione standard, una semplice pagina bianca con una casella di ricerca in cui immettere il nostro input – che però nasconde un sistema complesso, affinato da anni di innovazione e alimentato da tecnologie avanzatissime, dove l’intelligenza artificiale gioca un ruolo cruciale.

La missione primaria della Ricerca Google è esplicita: organizzare l’immensa mole di dati disponibili nel mondo e renderli accessibili e utili per chiunque. Il concetto di base è molto semplice: permettere agli utenti di trovare risposte alle loro domande, dai concetti più semplici fino alle ricerche più complesse, che vengono fornite in apposite ed evolute SERP, acronimo di Search Engine Result Page.

È questo a rendere Google Search fondamentale per chi lavora con il digitale e soprattutto per chi si occupa di SEO: qualunque strategia per aumentare la visibilità di un sito web passa inevitabilmente per lo studio di come Google indicizza e classifica le informazioni. Tuttavia, non basta solo esserci su Google: capire cosa è Google Search significa, infatti, anche comprendere cosa lo rende così efficiente nel rispondere alle nostre query e, al tempo stesso, trovare indicazioni per ottimizzare le nostre pagine per raggiungere le posizioni principali.

Google infatti non si limita semplicemente a tracciare e catalogare le pagine disponibili online, ma risponde selezionando i risultati in base alla loro pertinenza e affidabilità. Tutto questo avviene attraverso complessi algoritmi che evolvono costantemente e determinano quali pagine meritano una posizione più alta nelle sue SERP. Ecco perché noi operatori del digital marketing dobbiamo necessariamente comprendere le dinamiche che guidano questo meccanismo, così da massimizzare il nostro posizionamento e il conseguente traffico organico.

A cosa serve la Ricerca di Google

motori di ricerca sono la versione digitale di un bibliotecario e aiutano l’utente a ottenere le risposte e le informazioni appropriate per la sua query e il suo bisogno scandagliando l’indice completo dei risultati che ha a disposizione.

search engines sono quindi sono macchine di risposta, database ricercabili di contenuti web, ed esistono per scoprire, comprendere e organizzare i contenuti del Web per offrire i risultati più pertinenti alle domande poste dagli utenti.

In linea di massima, i motori di ricerca sono composti da due parti principali: un indice di ricerca (che rappresenta la libreria digitale di informazioni sulle pagine web) e gli algoritmi di ricerca, vale a dire programmi per computer incaricati di confrontare i risultati dell’Indice di ricerca per individuare quelli più appropriati in base alle regole previste.

Google Search o Ricerca Google è esattamente questo: un motore di ricerca completamente automatizzato che utilizza software, chiamati web crawler, per esplorare regolarmente il Web e trovare pagine da aggiungere al suo Indice. Come ribadito frequentemente, la missione di Google e del suo sistema di ricerca è “organizzare le informazioni di tutto il mondo e renderle accessibili e utili a livello globale”, e ciò richiede un lavoro continuo per mappare continuamente il Web e altre fonti per consentire a ogni utente di accedere alle informazioni che gli algoritmi ritengono più pertinenti e utili, utilizzando come bussola i criteri che solitamente indichiamo come 200 fattori di ranking su Google. I risultati sono poi presentati in vari modi nelle SERP, in base a ciò che è più appropriato per il tipo di informazioni che quella specifica persona sta cercando.

Le differenze tra ricerca organica e ads

Occorre però fare un chiarimento rilevante: Google offre due percorsi principali per ottenere visibilità nelle sue SERP, attraverso posizionamenti organici, che non comportano costi diretti, e attraverso gli annunci a pagamento, gestiti tramite la piattaforma Google Ads.

Comprendere la differenza tra risultati organici e a pagamento su Google Search è cruciale per chiunque voglia massimizzare la propria presenza online, sia come azienda che come esperto di SEO.

I risultati organici sono quelli che Google mostra naturalmente, in base al suo algoritmo di ranking. Questi risultati vengono posizionati in base a fattori quali pertinenza della pagina rispetto alle parole chiave cercate, qualità del contenuto e una serie di parametri tecnici e di autorità.

D’altra parte, gli annunci a pagamento (Google Ads) rientrano nella cosiddetta SEA e rappresentano un modo immediato per apparire in cima ai risultati, ma con una differenza sostanziale: qui non è la “qualità” del sito a contare, bensì il budget che l’inserzionista è disposto a investire per ottenere visibilità. La loro posizione è legata a un sistema di asta, in cui le aziende pagano ogni volta che un utente clicca sull’annuncio (costo per clic o CPC). Tuttavia, anche in questo caso la pertinenza dell’annuncio rispetto alla query dell’utente non viene del tutto accantonata: Google attribuisce infatti un punteggio di qualità (Quality Score) che può influenzare i costi e la visibilità dell’annuncio. Quindi, anche gli inserzionisti che ottimizzano correttamente gli annunci possono ottenere un miglior posizionamento pur spendendo meno.

La ricerca organica Google, tuttavia, rimane un obiettivo di grande valore per le strategie di lungo termine. A differenza degli annunci a pagamento, i risultati organici forniscono spesso più fiducia ai visitatori, che tendono a percepirli come “meritati” e non influenzati da logiche pubblicitarie. Questo non sottintende che gli annunci Google Ads siano inefficaci o inutili, anzi: possono essere una strategia estremamente utile quando si desidera ottenere visibilità immediata, lanciare un nuovo prodotto o servizio oppure competere in settori molto competitivi dove il posizionamento organico richiede più tempo. Tuttavia, nel lungo periodo, raggiungere e mantenere un buon ranking organico sui motori di ricerca è uno degli obiettivi più ambiti, poiché può portare a visite costanti e qualificare il sito come autorevole e degno di fiducia.

Da una prospettiva di rafforzamento del brand, nessuna delle due opzioni va necessariamente esclusa a priori e la scelta tra risultati organici e a pagamento dipende spesso dagli obiettivi a breve e lungo termine. Le campagne Google Ads ci aiutano a ottenere visibilità immediata e conversioni rapide, ma manca loro la sostenibilità che contraddistingue una strategia SEO ben eseguita, capace di garantire risultati duraturi nel tempo senza che sia necessario investire continuamente budget pubblicitari.

Le statistiche e i numeri di Google

Google ha quindi fatto il suo debutto ufficiale nel 1997 e si è piuttosto rapidamente imposto come “il” motore di ricerca sul Web: attualmente è il sito più visitato al mondo (da svariati anni) ed è così popolare che il suo nome (o un derivato) è diventato sinonimo stesso di ricerca online in diverse lingue, come testimoniano il verbo inglese to google, il tedesco googeln e l’italiano googlare.

I numeri ci aiutano a capire il dominio di questo colosso nel mercato dei search engines: a settembre 2024, Statcounter certifica che Google detiene il 90.5% circa dell’intero marketshare di riferimento a livello mondiale, relegando i principali competitor a quote residuali (il secondo motore classificato è Bing, che non arriva al 4% di utenti).

A proposito di cifre e statistiche, poi, sono impressionanti i dati che svelano la mole di lavoro che il motore di ricerca compie ogni istante – che si lega più o meno direttamente anche all’estensione del suo Indice. In particolare, nel 2023 Internet Live Stats (quando ancora funzionava) contava che Google processasse ogni singolo secondo quasi 100mila ricerche, e quindi oltre 8 miliardi e mezzo di ricerche al giorno e oltre 3,1 trilioni su base annua.

Le dimensioni dell'Indice di Google

Secondo Siteefy, al 21 aprile 2023 Google conteneva circa 25 miliardi di pagine web nel suo indice, mentre World Wide Web Size Project ritiene che il numero stimato di pagine web indicizzate in Google sia di circa 50 miliardi, e a livello assoluto ci sarebbero circa 3.23 trilioni di siti web nel mondo (anche se l’82% di essi risultati inattivo!).

Perché è importante conoscere il funzionamento di Search

Quindi, ogni volta che immettiamo una query nella casella di ricerca Google parte ad analizzare migliaia, a volte milioni, di pagine web o altri contenuti che potrebbero essere una corrispondenza precisa e pertinente alla nostra intenzione originaria e, grazie ai suoi sistemi, prova a presentare le informazioni più utili in risposta a ciò che gli abbiamo chiesto.

Altri numeri ci fanno comprendere il valore di questo enorme sistema: secondo BrightEdge, il 68% di tutte le esperienze online parte da un motore di ricerca e le ricerche organiche sono responsabili del 53,3% di tutto il traffico dei siti web.

Per riuscire a intercettare il traffico organico, però, dobbiamo essere visibili e solo comprendendo le basi della ricerca e della Ricerca Google possiamo riuscire a rendere i nostri contenuti rilevabili per gli utenti, ma anche dai crawler: il primo pezzo del puzzle della SEO è infatti assicurarci che i contenuti siano prima di tutto visibili ai motori di ricerca, perché un sito che non può essere trovato e letto dai crawler non potrà mai comparire nelle SERP ed essere cliccato dalle persone.

Sempre a livello generale, poi, è opportuno ricordare e tener presenti due punti chiave legati alla presenza su Google:

  • Anche se seguiamo tutte le indicazioni e le linee guida ufficiali Nozioni di base sulla Ricerca Google, Google non garantisce che eseguirà la scansione della pagina, che la indicizzerà o la pubblicherà.
  • Nonostante quanto si possa leggere in giro, Google non accetta pagamenti per eseguire con maggiore frequenza la scansione di un determinato sito o per migliorarne il ranking, né c’è legame tra il posizionamento organico e la spesa in advertising sul motore di ricerca.

C’è poi un altro aspetto che non dobbiamo trascurare: il posizionamento non è “eterno”, e non solo perché “Panta rei“, per dirla à la Eraclito: oltre alle inevitabili mutazioni delle tecnologie, ai possibili cambiamenti del search intent e alle trasformazioni del contesto (ad esempio l’emergere di nuovi competitor o le ottimizzazioni di altri siti), è lo stesso motore di ricerca che è in continuo divenire.

Alcuni piccoli aggiornamenti sono praticamente invisibili agli utenti, mentre altri – i famosi update algoritmici di Google, come Google Panda, Penguin o Hummingbird – hanno un impatto diretto sul posizionamento dei siti, anche con effetti drastici su intere fasce di organizzazioni che vedono crescere o calare le loro pagine in termini di visibilità.

E poi ci sono loro, gli attesi e temuti broad core update, che sono delle “messe a punto” periodiche della macchina che muove il motore di ricerca. Questo perché il team di Big G è sempre al lavoro per perfezionare in modo incrementale l’efficienza del motore di ricerca e garantire agli utenti di trovare sempre le risposte più utili e affidabili.

In questo senso, sono ancora i numeri a chiarirci la mole di tali interventi, e soltanto nel 2022 sono stati ufficializzati oltre 800.000 esperimenti, che hanno portato a più di 4000 miglioramenti alla Ricerca (valori in continua crescita, come si verifica facendo un confronto con i dati sulle modifiche nel 2020).

Per la precisione, come si vede nella grafica qui sotto, ci sono stati:

  • 4725 lanci (ovvero modifiche effettivamente implementate al termine di un rigoroso processo di revisione da parte di ingegneri e data scientist più esperti di Google).
  • 13.280 esperimenti con traffico in tempo reale (per valutare se il coinvolgimento dell’utente rispetto alla nuova funzionalità è positivo e potrà essere utile per tutti).
  • 894.660 test sulla qualità della ricerca (con il lavoro dei quality raters, che non influiscono direttamente sul ranking, ma aiutano Google a definire gli standard di qualità dei risultati e a mantenere un alto livello di qualità in tutto il mondo).
  • 72.367 esperimenti fianco a fianco (una sorta di test A/B con due gruppi diversi di risultati di ricerca, per capire qual è il preferito tra quello con la modifica prevista e quello “classico”).

I numeri delle modifiche di Google

Insomma, Search non è un servizio statico e quindi acquisire delle conoscenze di base può aiutarci a stare al passo e a risolvere eventuali problemi di scansione, fare indicizzare le pagine e scoprire come ottimizzare l’aspetto e la presenza del nostro sito nella Ricerca Google – che è poi l’obiettivo finale della SEO, partendo da un assunto intuitivo: migliore è la comprensione del sito da parte di Google, migliore sarà la corrispondenza fornita a chi cerca quel tipo contenuti e risposte.

Come funziona Google come motore di ricerca? Le tre fasi del processo

Il funzionamento di Google Search è il risultato dell’interazione di innumerevoli processi automatizzati. Ciò che per noi appare come una semplice barra di ricerca rappresenta, in realtà, il punto finale di un’enorme infrastruttura di server, bot e algoritmi che lavorano in sinergia per fornire la risposta migliore a ogni query inserita. Ma come funziona tutto questo esattamente?

Alla base del processo ci sono tre fasi principali: crawling, indicizzazione e ranking, che rappresentano in estrema sintesi la ricerca, scoperta e valutazione delle pagine. Ogni volta che avviamo una ricerca su Google, questi tre passaggi definiscono il successo o meno di una pagina web nel comparire tra i risultati, perché non tutte le pagine superano questi controlli.

  • Scansione. Tramite programmi automatizzati chiamati crawler o spider, come ad esempio Googlebot, Google scarica testi, immagini e videodalle pagine trovate su Internet. È da questo primo passo che Google “scopre” le pagine e le aggiunge al suo vasto indice. Come accennato, non tutte le pagine scansionate verranno indicizzate, ma vengono conservate per potenziali query future solo quelle che Google ritiene di valore.
  • Indicizzazione. Google analizza il testo, le immagini e i file video sulla pagina e memorizza le informazioni nell’Indice Google, il suo grande database. L’indice di ricerca di Google “è come una biblioteca, ma contiene più informazioni di tutte le biblioteche del mond omesse assieme” e viene continuamente ampliato e aggiornato con dati su pagine web, immagini, libri, video, fatti e molto altro. Questo processo permette a Google non solo di catalogare le pagine, ma di riconoscerne il contenuto, di identificare le keyword rilevanti e di collegare i contenuti a specifiche intenzioni di ricerca.
  • Pubblicazionedei risultati di ricerca. Quando un utente esegue ricerche su Google Search, gli algoritmi restituiscono informazioni pertinenti alla sua query in una frazione di secondo: i risultati sono presentati in vari modi, in base a ciò che è più utile per il tipo di informazioni che la persona sta effettivamente cercando. È la fase del ranking, quella che interessa di più chi lavora per migliorare la propria SEO. Una volta che una pagina è stata indicizzata, Google assegna un valore di rilevanza basato su una serie di criteri e prende quindi le decisioni cruciali su quali pagine meritano di essere mostrate in cima — e in quale ordine — quando viene cercato un determinato argomento.

Questo processo, molto più articolato di quanto possiamo vedere esternamente, sottende un continuo aggiornamento degli algoritmi di Google Search. Non è sufficiente, quindi, ottimizzare un sito una volta per comparire e restare posizionati: occorre monitorare costantemente i cambiamenti e adattarsi, utilizzando ad esempio strumenti come SEOZoom per verificare le performance del sito e capire dove è possibile intervenire.

Il crawling, la fase di recupero delle pagine

La prima fase si chiama crawling e serve per capire quali pagine esistono sul Web: come spiega la documentazione ufficiale del motore di ricerca, non esiste un registro centrale di tutte le pagine web, pertanto Google deve costantemente cercare pagine nuove e aggiornate e aggiungerle al proprio elenco di pagine note, facendo ciò che si chiama “Individuazione degli URL”.

Gran parte del lavoro è affidato a software noti come crawler (ma anche robot, bot o spider), che visitano in automatico le pagine web accessibili pubblicamente e seguono i link su tali pagine, proprio come fa un utente che naviga contenuti sul Web; i crawler eseguono la scansione di miliardi di pagine sul web grazie a una quantità enorme di computer, passando da una pagina all’altra e archiviando informazioni su ciò che trovano su tali pagine e altri contenuti accessibili pubblicamente nell’indice della Ricerca Google. Come aggiunge il documento, la maggior parte delle pagine riportate nei risultati non viene inviata manualmente per l’inclusione, ma viene trovata e aggiunta automaticamente proprio quando i web crawler esplorano il web.

Crawley, la mascotte crawler di Google - da https://www.seroundtable.com/photos/googlebot-mascot-spider-crawley-32456.html

Alcune pagine sono note perché Google le ha già visitate, altre vengono scoperte quando Google segue un link che rimanda da una pagina nota a una nuova – ad esempio, una pagina hub (come una pagina di categoria) che rimanda a un nuovo post del blog – e altre ancora vengono scoperte inviando a Google una Sitemap, ovvero un elenco di pagine per la scansione.

Quando Google trova l’indirizzo URL di una pagina, potrebbe visitare – tecnicamente “sottoporre a scansione” – la pagina per scoprirne i contenuti ed eseguire l’operazione di recupero. In particolare, Googlebot utilizza un processo algoritmico per determinare i siti di cui eseguire la scansione, con quale frequenza farlo e quante pagine recuperare da ogni sito, per evitare di sovraccaricare il sito stesso con troppe richieste. I dati di crawl rate e crawl demand (rispettivamente, la quantità e la frequenza delle richieste di scansione) formano il valore del crawl budget, ovvero il numero di URL che Googlebot può e desidera sottoporre a scansione, che può essere un elemento rilevante per migliorare le opportunità di posizionamento delle nostre pagine più strategiche.

Durante la scansione, Google visualizza la pagina ed esegue eventuale codice JavaScript rilevato utilizzando una versione recente di Chrome, in modo simile a come il browser visualizza la pagina che visitiamo. Il rendering è importante perché i siti web spesso si affidano a JavaScript per mostrare i contenuti sulla pagina e, senza il rendering, Google potrebbe non vedere questi contenuti.

Ad ogni modo, Googlebot non esegue la scansione di tutte le pagine che ha rilevato: alcune risorse potrebbero essere non autorizzate per la scansione dal proprietario del sito, altre potrebbero non essere accessibili senza che venga effettuato l’accesso al sito. Nello specifico, ci sono almeno tre problemi comuni di accesso ai siti da parte di Googlebot, che impediscono il crawling:

  • Problemi con il server che gestisce il sito
  • Problemi di rete
  • Regole del file robots.txt che impediscono l’accesso alla pagina da parte di Googlebot

Gli autori di contenuti e proprietari/gestori di siti possono aiutare Google a scansionare meglio le loro pagine usando i report contenuti nella Search Console o attraverso i citati servizi standard consolidati, quali le Sitemap o il file robots.txt, che specificano la frequenza con cui i crawler dovrebbero visitare i contenuti o eventualmente escludere determinate pagine e risorse dall’indice di ricerca.

Di base, ci sono varie ragioni che ci possono convincere a bloccare i crawler dei motori di ricerca da una parte o da tutto il sito o istruire i motori di ricerca affinché evitino di memorizzare determinate pagine nel loro indice. Se però vogliamo che i nostri contenuti vengano trovati dagli utenti di Search è cruciale renderli accessibili ai crawler e indicizzabili, altrimenti il nostro sito rischia di essere praticamente invisibile.

Dettagli tecnici sul crawling

Proseguendo con la metafora della biblioteca, secondo Lizzy Harvey il crawling è “come leggere tutti i libri della biblioteca”. Prima che i motori di ricerca possano mostrare qualsiasi risultato di ricerca, infatti, devono reperire quante più informazioni possibili dal web e, per questo, utilizzano un crawler, un programma che viaggia da un sito all’altro e si comporta come un browser.

I crawler tentano di recuperare ogni URL per determinare lo stato del documento e assicurare che solo documenti accessibili pubblicamente entrino nell’indice: se un libro o un documento è mancante o danneggiato, il crawler non può leggerlo; se invece la risorsa restituisce un codice di stato di errore, i crawler non possono utilizzare nessuno dei suoi contenuti e potrebbero riprovare l’URL in un secondo momento.

In particolare, se i crawler scoprono un codice di stato di redirect (come 301 o 302), seguono il reindirizzamento a un nuovo URL e continuano lì; quando ottengono una risposta positiva, segno che hanno trovato un documento accessibile agli utenti, controllano se è consentito eseguire la scansione e quindi scaricano il contenuto.

Questo controllo include l’HTML e tutti i contenuti menzionati nell’HTML, come immagini, video o JavaScript. I crawler estraggono anche i collegamenti dai documenti HTML per visitare anche gli URL linkati visto che, come dicevamo prima, seguire i collegamenti è il modo in cui i crawler trovano nuove pagine sul Web. A proposito dei link, nelle vecchie versioni del documento di Google si leggeva un riferimento esplicito al fatto che “i link all’interno delle pubblicità, i link per i quali hai pagato su altri siti, i link nei commenti e altri link che non rispettano le Linee Guida non vengono seguiti” – ora sparito, anche se quasi certamente il funzionamento è rimasto identico.

È comunque importante sapere che i crawler non fanno clic attivamente su link o pulsanti, ma inviano gli URL a una coda per eseguirne la scansione in un secondo momento; inoltre, quando si accede a un nuovo URL, non sono disponibili cookie, service worker o storage locale (come IndexedDB).

Indicizzazione, la fase di organizzazione dei dati e delle informazioni

Dopo aver trovato una pagina web, i crawler ne analizzano il contenuto, provando a capire di che cosa tratta e organizzando la raccolta di informazioni di Google: è la fase che si chiama indicizzazione, in cui i crawler visualizzano i contenuti della pagina come farebbe il browser e prendono nota dei segnali principali, anche attraverso l’elaborazione e l’analisi dei contenuti testuali e di tag di contenuti chiave e attributi, come gli elementi <title> e gli attributi ALT, immagini, video e altro ancora.

Si tratta della vera e propria catalogazione e archiviazione delle informazioni nel vasto indice di Google ed è un passo decisivo nel meccanismo della ricerca Google, perché qui il motore di ricerca decide quali pagine conservare, organizzare e — soprattutto — proporre più avanti agli utenti in base a specifiche query.

L’indice della Ricerca Google contiene centinaia di miliardi di pagine web e le sue dimensioni superano i 100.000.000 di gigabyte: è come l’indice alla fine di un libro e presenta una voce per ogni parola visualizzata su ciascuna pagina web che è stata indicizzata. Quando Google indicizza una pagina web, infatti, la aggiunge alle voci per tutte le parole che contiene.

Googlebot, il crawler di Google

 

Poiché il Web e altri contenuti cambiano costantemente, i processi di scansione del motore di ricerca sono in continua esecuzione per tenere il passo, apprendendo la frequenza con cui contenuti già esaminati vengono modificati e scansionandoli se necessario, e scoprendo anche nuovi contenuti man mano che vengono visualizzati nuovi link a tali pagine o informazioni.

Un aspetto curioso è che l’indice di ricerca Google contiene più di ciò che è presente sul Web, come affermano le documentazioni dello stesso motore di ricerca, perché ” le informazioni utili possono essere disponibili presso altre fonti“. Di fatto, esistono più indici per diversi tipi di informazioni, che vengono raccolte tramite scansione, collaborazioni, invio di feed di dati e attraverso l’enciclopedia dei fatti di Google, il Knowledge Graph. Questi diversi indici permettono a un utente di cercare all’interno di milioni di libri provenienti dalle più grandi raccolte, trovare orari di viaggio tramite un’azienda di trasporto pubblico locale o trovare dati forniti da fonti pubbliche come la World Bank.

Dettagli tecnici sull’indicizzazione

Dal punto di vista tecnico, la procedura di indicizzazione avviene con una scansione completamente automatizzata, senza intervento umano, e ogni web crawler lavora in modo specifico, utilizzando il sistema di apprendimento automatico previsto dall’algoritmo del suo motore di ricerca.

Questa fase serve anche a Google per determinare se una pagina è un duplicato di un’altra pagina su Internet o se è una pagina canonica, quella che può essere mostrata nei risultati di ricerca come più rappresentativa di un clustering di pagine con contenuti trovate su Internet (le altre pagine nel gruppo, ricordiamo, vengono considerate versioni alternative e potrebbero essere pubblicate in contesti diversi, ad esempio se l’utente sta effettuando ricerche da un dispositivo mobile o sta cercando una pagina molto specifica di quel cluster).

L’indicizzazione non è garantita e non tutte le pagine elaborate da Google sono poi effettivamente indicizzate. Questo può dipende anche dai contenuti della pagina e dai relativi metadati, e tra i principali problemi di indicizzazione citiamo:

  • Bassa qualità dei contenuti sulla pagina.
  • Regole del meta tag Robots che non consentono l’indicizzazione.
  • Design del sito web che potrebbe rendere difficile l’indicizzazione.

È ancora Lizzy Harvey a fornisci altri elementi di analisi su questa attività, che inizia quando il crawler, dopo aver recuperato un documento, passa il contenuto al motore di ricerca per aggiungerlo all’indice: a questo punto, il motore di ricerca esegue il rendering (ovvero, in estrema sintesi, visualizza il codice della pagina come farebbe un browser, con alcune limitazioni, per capire come appare agli utenti) e analizza il contenuto per comprenderlo.

Nello specifico, i motori di ricerca esaminano una serie di segnali che descrivono il contenuto e il contesto della pagina, come ad esempio le parole chiave, il titolo, i collegamenti, gli heading, il testo e molte altre cose, che permettono agli stessi motori di ricerca di rispondere a qualsiasi query con la migliore pagina possibile.

Un ultimo chiarimento: l’Indice rappresenta comunque una sorta di database di siti Web pre-approvati da Google, che ha controllato le fonti e le informazioni e ritenuto quelle pagine sicure per i suoi utenti. Quindi, cercare su Google (e in generale cercare su un motore di ricerca) non significa cercare all’interno dell’intero World Wide Web né cercare su tutto Internet (ad esempio, le nostre query non ci porteranno a risultati dal famoso e famigerato dark web), ma cercare all’interno delle pagine selezionate dai web crawler di quel motore di ricerca specifico, in un database ristretto.

Il ranking e la pubblicazione dei risultati della ricerca

L’ultima attività prende il via quando una persona inserisce una query: i computer di Google cercano le pagine corrispondenti nell’indice, poi restituiscono i risultati ritenuti più utili, di migliore qualità e più pertinenti per quella query. Il posizionamento o l’ordinamento delle pagine avviene in base alla query, ma spesso l’ordine può cambiare nel tempo se diventano disponibili informazioni migliori.

In generale, si può presumere che più alto è il ranking di una pagina, più pertinente il motore di ricerca ritiene che quella pagina e quel sito siano rispetto alla query.

Data la grande quantità di informazioni disponibile, trovare quello che cerchiamo sarebbe praticamente impossibile senza uno strumento che organizzi i dati: i sistemi di ranking di Google sono progettati proprio a questo scopo e, tramite generazione automatica, ordinano centinaia di miliardi di pagine web e altri contenuti nell’indice di ricerca per fornire risultati utili e pertinenti in una frazione di secondo.

La pertinenza viene stabilita tenendo in considerazione centinaia di fattori, come ad esempio la posizione, la lingua e il dispositivo dell’utente (computer o telefono) – ad esempio, la ricerca di “officine per la riparazione di biciclette” mostra risultati diversi a un utente di Parigi rispetto a un utente di Hong Kong.

Questo lavoro extra serve ad assicurare più della semplice corrispondenza della query con le parole chiave nell’indice, e per fornire risultati utili, Google potrebbe prendere in considerazione il contesto, la formulazione alternativa e altro ancora: ad esempio, “silicon valley” potrebbe riferirsi alla regione geografica o al programma televisivo, ma se la query è “silicon valley cast”, i risultati sulla regione non sarebbero molto utili. Altre query possono essere indirette, come “la canzone in pulp fiction”, e i motori di ricerca devono interpretare l’intento dell’utente e mostrare i risultati per le tracce musicali presenti nel film.

Sempre a proposito di fattori, le parole usate nella ricerca, la pertinenza e l’usabilità delle pagine, l’affidabilità delle fonti e le impostazioni del dispositivo dell’utente possono influenzare l’aspetto delle informazioni mostrate in SERP. L’importanza attribuita a ogni fattore cambia in base al tipo di ricerca: ad esempio, la data di pubblicazione dei contenuti ha un ruolo più incisivo nel rispondere a ricerche relative ad argomenti di attualità piuttosto che a ricerche riguardanti le definizioni del dizionario, come sancito dal cosiddetto algoritmo Query Deserves Freshness.

Come già evidenziato negli specifici approfondimenti, Google individua cinque grandi categorie di fattori principali che determinano i risultati di una query, ovvero:

  • Significato.
  • Pertinenza.
  • Qualità.
  • Usabilità.
  • Contesto.

Ci sono poi casi in cui una pagina è indicizzata e viene riconosciuta come indicizzata da Search Console, ma non la vediamo comparire nei risultati di ricerca; le cause di questo fenomeno potrebbero essere le seguenti:

  • I contenuti della pagina non sono pertinenti per le query degli utenti.
  • La qualità dei contenuti è bassa.
  • Le regole del meta tag Robots impediscono la pubblicazione.

Il perfezionamento dei risultati e le funzionalità delle SERP

Le funzionalità di ricerca visualizzate nella pagina dei risultati di ricerca cambiano anche in base alla query dell’utente. Ad esempio, la ricerca di “officine per la riparazione di biciclette” mostrerà probabilmente risultati locali e nessun risultato di immagini e rimandi diretti a Google Immagini; tuttavia, è probabile che la ricerca di “bicicletta moderna” mostrerà risultati relativi a immagini, non a risultati locali.

Anche la comparsa di box, feature e funzionalità aggiuntive serve a completare la missione del motore di ricerca, e quindi a risolvere la query del ricercatore nel modo più rapido ed efficace possibile: l’esempio più noto sono i featured snippet (brevi estratti in evidenza rispetto ai link organici che rispondono sinteticamente alla richiesta dell’utente), le Local Map, i rich results (i risultati multimediali arricchiti rispetto ai classici snippet testuali) e i knowledge panel, ma l’elenco delle feature è enorme e in costante crescita, come mostra il nostro approfondimento sulla galleria dei risultati mostrati nelle SERP di Google attraverso le informazioni reperite dai dati strutturati.

Sito, documenti e pagine: il vocabolario di Google

Nella vecchia versione del documento di Google (ora sparita) era interessante la sezione “Che cos’è un documento?”, che descriveva in particolare il meccanismo usato per determinare cosa fosse un documento per Google, con dettagli su come il sistema visualizzasse e gestisse più pagine con contenuti identici a un singolo documento, anche con URL diversi, e come determinasse gli URL canonici.

Partendo dalle definizioni, scopriamo quindi che “internamente, Google rappresenta il Web come un insieme (enorme) di documenti. Ciascun documento rappresenta una o più pagine web”, che possono essere “identiche o molto simili, ma rappresentano essenzialmente gli stessi contenuti, raggiungibili da URL diversi”. In dettaglio, “i diversi URL in un documento possono rimandare esattamente alla stessa pagina o alla stessa pagina con piccole varianti destinate a utenti su dispositivi diversi”.

Google “sceglie uno degli URL in un documento e lo definisce come URL canonico del documento”: sarà “quello di cui Google esegue più spesso la scansione e l’indicizzazione”, mentre “gli altri URL sono considerati duplicati o alternativi e possono essere occasionalmente sottoposti a scansione o pubblicati in base alla richiesta dell’utente”. Ad esempio, “se l’URL canonico è l’URL per i dispositivi mobili, Google probabilmente pubblicherà comunque l’URL desktop (alternativo) per gli utenti che eseguono ricerche su desktop”.

Focalizzandoci sul glossario, in particolare, in Google Search i seguenti termini hanno questo specifico significato:

  • Documento è una raccolta di pagine simili, che “include un URL canonico ed eventualmente URL alternativi, se il tuo sito ha pagine duplicate”. Google sceglie l’URL migliore da mostrare nei risultati di ricerca in base alla piattaforma (dispositivo mobile/desktop), alla lingua dell’utente (le versioni hreflang sono considerate documenti distinti, si spiega), alla località e a molte altre variabili. Google “rileva le pagine correlate sul tuo sito tramite la scansione organica o tramite funzionalità implementate sul sito, come i reindirizzamenti o i tag <link rel=alternate/canonical>”, mentre “le pagine correlate di altre organizzazioni possono essere contrassegnate come alternative solo se codificate in modo esplicito dal tuo sito (tramite reindirizzamenti o tag link)”.
  • URL è “l’URL utilizzato per raggiungere un determinato contenuto su un sito” e si chiarisce che un sito “potrebbe risolvere URL diversi nella stessa pagina”.
  • Pagina fa riferimento a “una determinata pagina web, raggiunta mediante uno o più URL”, e possono “esistere diverse versioni di una pagina, a seconda della piattaforma dell’utente (dispositivo mobile, desktop, tablet e così via)”.
  • Versione indica “una variante della pagina, generalmente classificata come mobile, desktop e AMP (anche se AMP può avere a sua volta versioni per dispositivi mobili e desktop)”. Ogni “versione può avere un URL diverso o identico a seconda della configurazione del sito” e si ribadisce ancora che “le varianti linguistiche non sono considerate versioni diverse, bensì documenti diversi”.
  • Pagina o URL canonico è “l’URL che Google considera più rappresentativo del documento”, di cui Google esegue sempre la scansione, mentre “la scansione degli URL duplicati nel documento viene eseguita occasionalmente”.
  • Pagina o URL alternativo/duplicato è “l’URL del documento di cui Google potrebbe occasionalmente eseguire la scansione”, che sono pubblicati se Google li riconosce “adatti all’utente e alla richiesta (ad esempio, per le richieste desktop verrà pubblicato un URL alternativo per gli utenti desktop, anziché un URL canonico per dispositivi mobili)”.
  • Sito, termine “in genere utilizzato come sinonimo di sito web (un insieme di pagine web concettualmente correlato), ma talvolta utilizzato come sinonimo di una proprietà Search Console, sebbene una proprietà possa essere definita in effetti solo come parte di un sito. Un sito può includere sottodomini (e persino organizzazioni, per pagine AMP collegate correttamente)”.

Ranking Google, quali fattori influenzano la posizione

Il ranking è quindi la fase cruciale in cui Google decide quali pagine posizionare nei primi posti delle sue SERP, stabilendo la pertinenza e autorevolezza di una pagina per quella determinata query e dove quindi collocarla tra i risultati di ricerca.

L’algoritmo di ranking di Google è alimentato da oltre 200 fattori differenti, che lavorano insieme per costruire il quadro completo di ogni pagina. Tra questi, spiccano elementi fondamentali come la qualità dei contenuti, la rilevanza rispetto alla query, l’esperienza dell’utente, la velocità del sito e la sua compatibilità su dispositivi mobili. Google punta costantemente a premiare siti che offrono valore reale agli utenti, e questo vuol dire concentrarsi sempre più su pagine che siano ben strutturate, fruibili da ogni tipo di dispositivo e capaci di soddisfare immediatamente l’intento di ricerca.

La qualità del contenuto è uno dei principali fattori che influenzano la posizione. Google favorisce contenuti che siano informativi, dettagliati e ben organizzati – l’espressione che predilige è contenuti utili e di qualità. In concreto, il testo e gli elementi della pagina devono essere originali, aggiornati e fornire un’esperienza utile per l’utente, motivo per cui il copywriting SEO orientato a una visione strategica, così come l’ottimizzazione di elementi visivi (come le immagini e i meta tag), risultano essenziali.

Altro elemento cardine è la presenza di backlink di qualità: i link da siti autorevoli concedono un vantaggio competitivo, segnalando a Google che altri siti considerano la pagina come affidabile e utile. Tuttavia, occorre precisare che non è il numero di backlink a essere importante, quanto la loro qualità e affidabilità, aspetti che richiedono una strategia accurata nella costruzione delle relazioni e della rete di link.

Infine, l’esperienza utente. Garantire ottimi tempi di risposta e una navigazione fluida è indispensabile per posizionarsi nei punti più avanzati della SERP di Google e fattori tecnici come il tempo di caricamento della pagina e il superamento dei Core Web Vitals influenzano direttamente il giudizio del motore di ricerca. Al contrario, pagine lente, con layout disorganizzati o mal ottimizzati per i dispositivi mobili, penalizzano notevolmente una strategia SEO, spesso anche in presenza di contenuto di qualità.

Cosa sono i Google ranking systems, i sistemi di classificazione

La maggior parte del processo appena sintetizzato avviene in modo quasi istantaneo grazie ai Google ranking systems, un insieme complesso e dinamico di algoritmi che operano simultaneamente per classificare le pagine web e decidere quale contenuto appare nei risultati di ricerca e in quale ordine. Ogni volta che inseriamo una query su Google, questi sistemi di classificazione si attivano e, in una frazione di secondo, scandagliano miliardi di pagine nel loro indice per offrire le risposte più pertinenti.

Uno dei punti di forza principali di questi systemi è l’integrazione dell’intelligenza artificiale: gli algoritmi di Google si sono evoluti enormemente negli ultimi anni, diventando più “intelligenti” e imparando a soddisfare le nostre esigenze informative in modo sempre più accurato. Ad esempio, l’introduzione di tecnologie come Google RankBrain ha permesso al motore di ricerca di comprendere le query anche quando non corrispondono perfettamente alle parole chiave, analizzando contesto e semantica. È la capacità di apprendere e adattarsi che fa la differenza, tanto che oggi Google riesce a offrire risultati precisi anche per query mai viste prima.

Il compito dei ranking systems è complesso e multifattoriale: anzitutto, valutano la pertinenza dei contenuti rispetto alla query inserita. Questa valutazione viene fatta in maniera cumulativa, attraversando diversi strati di avanzati algoritmi, ognuno dei quali analizza determinati aspetti del contenuto, come le keyword, la struttura, l’attinenza al contesto e alle risorse correlate. Le pagine con le parole chiave esatte non sono più sufficienti per ottenere visibilità: è il contesto generale della pagina, i segnali di qualità e l’interazione dell’utente che determinano in larga misura il posizionamento.

Uno degli aspetti più affascinanti di questi sistemi di ranking è la loro capacità di aggiornarsi costantemente. Google lancia frequenti aggiornamenti all’algoritmo per migliorare l’accuratezza dei risultati e combattere le pratiche tattiche di manipolazione del sistema (come il keyword stuffing o i link fraudolenti). Questi “core updates” possono causare repentini cambiamenti di posizionamento per moltissimi siti, ed è per questo che, come esperti SEO, dobbiamo rimanere costantemente aggiornati su ciò che cambia e adattare le nostre strategie di conseguenza.

I ranking systems non si limitano a valutare i contenuti in termini di testo e struttura, ma considerano anche una serie di segnali tecnici, come la velocità del sito, l’esperienza mobile e l’adozione di HTTPS per garantire la sicurezza dei dati. All’interno di questa analisi, ogni pagina viene valutata e ordinata in un ranking che, per Google, rappresenta il miglior equilibrio possibile tra rilevanza, qualità e soddisfazione dell’utente. Infatti, oltre alla pura qualità del contenuto, sono l’esperienza utente e l’interazione a far pendere l’ago della bilancia in favore di una pagina piuttosto che di un’altra.

Un ultimo aspetto da considerare è che i sistemi di classifica di Google non funzionano in modo uguale per tutte le ricerche. Esistono algoritmi specifici che trattano temi o tipi di query particolari, come le ricerche locali, le query con intenti commerciali o le ricerche informative molto generiche. Ogni tipo di ricerca ha il suo set di algoritmi specifici, pensato per restituire al meglio i risultati di quella particolare tipologia di richiesta.

La missione di Google e il significato della ricerca

Il processo sin qui descritto serve ad assicurare il rispetto della dichiarazione di missione di Google che, come visto, è semplice e ambiziosa allo stesso tempo: “Organizzare le informazioni del mondo e renderle universalmente accessibili e utili”. Questo mantra guida ogni aspetto del motore di ricerca, influenzando il modo in cui organizza le informazioni anche nelle sue SERP, anche se il significato della ricerca per Google va ben oltre l’atto di trovare pagine web: si tratta di aiutare gli utenti a risolvere problemi, acquisire conoscenza e compiere decisioni in modo rapido ed efficiente.

La chiave dell’efficacia sta nel fornire il contenuto giusto al momento giusto. Google si impegna a garantire che i risultati proposti siano non solo pertinenti, ma soprattutto utili e affidabili. In questo senso, la missione di Google non è rimasta ancorata al semplice concetto di “ricercare”. La qualità della risposta alla query è al centro di ogni azione e aggiornamento dell’algoritmo. Non basta più presentare una lista di pagine che rispondono a una singola parola chiave: è necessario offrirne alcune che aiutino concretamente l’utente a risolvere il suo problema o ad approfondire un tema di interesse, il tutto nel minor tempo possibile.

Questo è un concetto che va oltre la semplice meccanica della SERP: è una filosofia basata sull’efficienza informativa. Del resto, lo stesso algoritmo di Google si evolve costantemente proprio con lo scopo di “cogliere” il significato più profondo di una ricerca, rendendo sempre più sofisticato il modo in cui vengono presentati i risultati. Alla base della missione c’è quindi un punto fermo: indipendentemente dalla complessità della query, la risposta finale deve integrarsi perfettamente nell’esperienza dell’utente.

Questa filosofia ricorda ai professionisti SEO l’importanza di creare contenuti non solo ottimizzati per parole chiave, ma anche pensati per rispondere effettivamente alle domande degli utenti. È solo allineandoci ai principi della missione di Google che possiamo migliorare la nostra visibilità sul motore di ricerca e fornire contenuti di valore, che non si fermino alle apparenze, ma che siano genuinamente utili, universalmente accessibili e comprensibili.

L’importanza del search intent

Strettamente legato al concetto di utilità c’è la comprensione del search intent, ossia l’intenzione che si nasconde dietro ogni query di ricerca, che è oggi il cuore di qualsiasi strategia SEO efficace. Non basta più sapere quali parole chiave inserire nei testi: quello che conta veramente per Google è la capacità di interpretare ciò che gli utenti vogliono trovare e perché lo stanno cercando.

In termini pratici, per capire il search intent Google va oltre l’analisi delle parole chiave letterali e sfrutta pattern di comportamento, dati storici, la posizione geografica, e il contesto più ampio per determinare cos’è davvero importante per chi ha effettuato quella ricerca. Ad esempio, se digitiamo “migliori smartphone 2024”, Google sa che stiamo probabilmente cercando recensioni, confronti o guide all’acquisto e non semplici informazioni tecniche. Se invece cerchiamo “come cambiare batteria iphone”, il motore di ricerca capirà che vogliamo risposte pratiche o tutorial. Questo è ciò che rende il search intent così critico per l’utente e decisivo per la competizione SEO.

La sfida del search intent ci spinge a ottimizzare ogni fase del processo di produzione dei contenuti. Testi, immagini, video devono essere creati in modo che non solo rispondano alla query specifica, ma anticipino eventuali domande correlate o forniscano una soluzione pratica immediata

Come si valuta la qualità di Google? Il lavoro dei Search Quality Raters

Ma chi controlla questo lavoro? Al di là dei meccanismi di valutazione interna e del lavoro di algoritmi automatizzati, la qualità dei risultati che Google fornisce in risposta alle nostre query è attentamente monitorata e misurata anche da un ampio team di Search Quality Raters. Nonostante l’algoritmo faccia il grosso del lavoro, il compito di questi valutatori umani esterni è comunque cruciale per mantenere alti standard nella ricerca e garantire che le informazioni proposte siano pertinenti, affidabili e allineate all’intento di ricerca dell’utente.

I Search Quality Raters lavorano in base a linee guida ben precise, chiamate “Search Quality Evaluator Guidelines“, un vero e proprio manuale interno che delinea i criteri con cui Google mira a giudicare i siti e le pagine web. Il loro lavoro consiste nel valutare manualmente una vasta gamma di query di ricerca e fornire un giudizio sulla qualità dei risultati che l’algoritmo ha prodotto. Questi giudizi non influiscono immediatamente sul posizionamento dei singoli siti o pagine, ma servono come base di feedback prezioso per gli ingegneri di Google: le valutazioni vengono utilizzate per addestrare gli algoritmi e per apportare modifiche che possano migliorare ulteriormente l’automazione e l’efficienza del motore di ricerca. In questo modo, i ranking systems evolvono in maniera sempre più precisa nel tempo.

Il lavoro dei Search Quality Raters si fonda su alcuni pilastri principali – come i già citati autorevolezza, pertinenza e affidabilità delle pagine indicizzate. Per valutare queste caratteristiche, i raters devono esaminare il contenuto della pagina, l’esperienza dell’utente e verificare le fonti dell’informazione presentata per assicurarsi che rispondano agli standard di alta qualità attesi da Google. Uno degli aspetti più rilevanti di questo processo è l’utilizzo dei parametri E-E-A-T (dalle iniziali di Experience, Expertise, Authoritativeness, Trustworthiness, in italiano Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Fiducia) che serve a garantire che il contenuto non solo sia pertinente, ma sia stato creato (o almeno supervisionato) da fonti competenti e credibili. In breve, una pagina di alto valore è quella che dimostra esperienza diretta, competenza certificata e autorità in materia, e che è percepita come affidabile dagli utenti e dalla comunità di riferimento. Come detto, questi concetti non sono un vero e proprio fattore di posizionamento diretto, ma appare evidente che soprattutto l’autorevolezza e la fiducia del brand siano elementi di cui Google tiene considerazione quando deve decidere come e dove classificare una pagina, come abbiamo visto anche con le nostre recenti analisi sul posizionamento.

Un altro aspetto molto importante è appunto l’analisi del search intent­: i valutatori non si limitano a verificare che il contenuto sia tecnicamente corretto, ma devono anche determinare se esso riesca a soddisfare esattamente ciò che l’utente sta cercando. Una query informazionale non dovrebbe mai restituire risultati orientati alla vendita, per esempio, né una query transazionale dovrebbe fornire solo informazioni generali. Riuscire a “indossare i panni” dell’utente e anticipare le sue necessità è uno degli obiettivi a lungo termine sia dell’algoritmo, sia dei Search Quality Raters.

La storia di Google Search: da un garage al predominio online nella ricerca

Non possiamo esimerci dal fare un salto indietro nel tempo per scoprire un po’ le origini di questo search engine che oggi riempie gran parte delle nostre giornate (sia da utenti che da SEO, marketer ed editori di siti).

L’avventura di Google inizia ufficialmente nel settembre del 1998, ma le sue radici affondano in un progetto di ricerca sviluppato qualche anno prima, all’interno della Stanford University. Fu qui che Larry Page e Sergey Brin, all’epoca dottorandi di informatica, iniziarono a lavorare su un nuovo metodo per catalogare e cercare le informazioni presenti sul web. Il loro obiettivo era migliorare i motori di ricerca esistenti, che all’epoca si basavano principalmente sul conteggio delle ripetizioni di parole chiave, senza considerare la qualità o l’autorità delle pagine indicizzate. L’intuizione geniale alla base dell’idea di Page e Brin fu quella di creare un algoritmo che non si limitasse a contare le parole chiave ma che, attraverso un metodo basato sui link, riuscisse a determinare la rilevanza e autorevolezza di una pagina web.

PageRank, così si chiamava il sistema ideato da Larry Page, rappresentò una vera rivoluzione: l’algoritmo assegnava un punteggio a ogni pagina web, in base alla quantità e alla qualità dei link che riceveva da altri siti. In pratica, una pagina con molti link da parte di siti autorevoli era considerata rilevante, poiché ritenuta valida da altre risorse credibili. Questa idea trasformò l’attività di ricerca rendendola molto più accurata ed efficiente, permettendo di ottenere risultati più pertinenti. Annoverare non solo la pertinenza diretta (parole chiave), ma anche l’impatto che una pagina aveva attraverso la sua rete di riferimenti esterni, rappresentava una svolta epocale.

Il progetto, inizialmente soprannominato “Backrub”, si evolse rapidamente, e nel 1997 venne adottato il nome Google. Il primo quartier generale di Google fu un garage a Menlo Park, in California, gentilmente offerto da Susan Wojcicki (che poi avrebbe guidato YouTube). Il loro budget iniziale, $100.000, proveniva da un investimento di Andy Bechtolsheim, co-fondatore di Sun Microsystems, durante un incontro informale. Questo approccio informale ma determinato rifletteva quella che Google sarebbe poi diventata: un’azienda sempre all’avanguardia, ma radicata in una cultura incentrata sull’innovazione continua.

I primi anni furono un periodo di crescita impressionante. Google, anche senza campagne di marketing massicce, iniziò a guadagnare milioni di utenti grazie alla pura qualità del suo motore di ricerca. Nel giro di pochi anni, era già in grado di indicizzare miliardi di pagine, mentre la concorrenza — motori come AltaVista, Yahoo! e Lycos — faticava a stare al passo. La semplicità della sua homepage, composta solamente da un logo e una barra di ricerca, rappresentava il paradigma dell’usabilità. Nel settembre del 2004 l’azienda fece il suo ingresso in borsa, con un’offerta pubblica di oltre $1 miliardo, consolidando la sua posizione dominante nel mercato delle ricerche digitali. Ma Google non voleva essere solo “un” motore di ricerca: iniziò presto a diversificare il suo raggio d’azione.

Dalla metà degli anni 2000 Google cominciò a sviluppare prodotti al di fuori della pura ricerca, espandendosi in settori come il mobile, la pubblicità online e le soluzioni software per le aziende. Fu in questo periodo che nacquero servizi come Google Ads, diventato poco dopo uno dei pilastri finanziari dell’azienda, e Gmail, il servizio di posta elettronica che avrebbe rivoluzionato la gestione della corrispondenza digitale. Inoltre, nel 2005 viene lanciato Google Maps, che in breve tempo ha rivoluzionato il modo in cui le persone utilizzano le mappe e navigano nel mondo fisico, grazie a una rappresentazione dettagliata di strade, edifici e terreni in tutto il pianeta, arricchita da feature come le indicazioni stradali, la navigazione in tempo reale e lo Street View , che fornisce viste panoramiche a livello stradale.

Nel 2006 Google rilasciato Google Docs, che successivamente è diventato parte di Google Drive, ovvero uno dei più grandi passi avanti nel campo della collaborazione online e archiviazione cloud, permettendo agli utenti di creare, salvare e condividere documenti, fogli elettronici, presentazioni e altri file in tempo reale, eliminando la necessità di trasferimenti di file fisici o di invio e ricezione di email. Sempre nello stesso anno avviene anche l’acquisizione di YouTube, ancora oggi primo sito al mondo per la condivisione e la visualizzazione di video, mentre al 2008 risale il debutto di Google Chrome, tuttora uno dei browser più usati a livello globale.

Ma probabilmente uno degli sviluppi più significativi è stato l’acquisizione di Android Inc. nel 2005, un piccolo produttore di software mobile guidato da Andy Rubin. Google trasformò Android nel sistema operativo mobile open-source dominante a livello globale. Il primo dispositivo Android fu lanciato nel 2008 e, da lì, Android è cresciuto rapidamente fino a diventare il sistema operativo più utilizzato al mondo, con miliardi di dispositivi alimentati dal software in tutto il pianeta. Android ha cambiato le regole del gioco nel settore degli smartphone, permettendo a Google di estendere la propria portata ben oltre il web.

Alla base di questi successi prevale un concetto: Google non è solo un motore di ricerca, ma un ecosistema sempre più ampio di servizi e innovazioni, tutti incentrati sull’idea originaria di organizzare le informazioni e renderle fruibili — in ogni ambito della vita quotidiana. Dal garage di Menlo Park alle strategie complesse che dominano la tecnologia del futuro, l’essenza di Google rimane dunque la stessa: cercare di anticipare le esigenze degli utenti e rendere fruibile ogni forma d’informazione presente, passata e futura.

La nascita di Alphabet e l’addio di Page e Brin

Guardando invece al solo aspetto imprenditoriale e organizzativo, un importante capitolo della storia di Google si apre il 10 agosto 2015, quando i fondatori Larry Page e Sergey Brin annunciarono una profonda ristrutturazione dell’azienda, con la creazione di una nuova holding chiamata Alphabet. L’obiettivo di questa ristrutturazione era dividere l’enorme portata che Google aveva acquisito, separando le sue attività principali dal resto dei progetti che nel tempo erano stati introdotti sotto il cappello dell’azienda.

Alphabet divenne così la società madre di Google, permettendo a quest’ultima di concentrarsi puramente sul suo core business (ricerca, pubblicità, dispositivi e soluzioni digitali come Android, YouTube e i prodotti cloud). Tutte le altre iniziative più sperimentali e rischiose, come i progetti di auto a guida autonoma, la ricerca medica con Verily , e altre “moonshots” tecnologiche, furono riorganizzate sotto altre filiali. Questo assetto consentiva a ogni entità di operare con maggiore autonomia, evitando che i progetti paralleli influenzassero direttamente le performance finanziarie e operative di Google – anche se il Google leak ha svelato che non sempre questa suddivisione è stata rispettata.

Alphabet Inc. è oggi la holding che possiede Google e tutte le altre società controllate da essa. Il suo attuale CEO è Sundar Pichai , che ha assunto questo ruolo il 3 dicembre 2019, anche se in realtà Pichai era stato nominato CEO di Google già nel 2015 , sostituendo Larry Page nel ruolo di capo esecutivo della divisione più importante della holding. Quando Page e Brin hanno annunciato nel 2019 la loro decisione di farsi da parte dal controllo quotidiano di Alphabet, Pichai ha assunto la doppia carica di CEO sia di Google che di Alphabet .

Sotto la sua leadership, Alphabet ha continuato a espandere il proprio portafoglio di progetti, investendo in intelligenza artificiale, quantum computing e settori emergenti come la guida autonoma e le biotecnologie.

Per quanto riguarda i due fondatori storici dell’azienda, anche se Larry Page e Sergey Brin non sono più alla guida operativa della quotidianità di Alphabet, rimangono figure chiave dal punto di vista della proprietà e delle decisioni strategiche. Entrambi mantengono un’influenza significativa come membri del consiglio di amministrazione e, insieme, possiedono ancora azioni con diritti di voto privilegiati che consentono loro di esercitare un controllo rilevante sulle decisioni principali dell’azienda.

Quando è nato Google e quando si festeggia il compleanno di Google?

Può sembrare un po’ bizzarro, ma questa questione ha suscitato spesso confusione ed è diventata uno dei più noti easter egg di Google.

Nel corso degli anni, infatti Google ha celebrato il proprio compleanno in varie date, tra cui il 15 settembre e il 4 settembre, perché è “cambiato” l’evento scelto come ricorrenza.

Per spiegare meglio, secondo i dati ufficiali il giorno della registrazione del dominio e del lancio online di Google Search è il 15 settembre 1997. Ma rilevante è stato anche il 4 settembre 1998, una giornata chiave per la nascita della società Google, in cui Larry Page e Sergey Brin firmano i documenti che ufficializzano il debutto della incorporation chiamata appunto Google.

Tuttavia, l’iconica pagina di Google Doodle, che ogni anno celebra l’anniversario del motore di ricerca con un’illustrazione speciale, ha ormai “ufficializzato” come data principale il 27 settembre, che quindi è effettivamente il giorno scelto per il vero compleanno di Google.

Tutti i doodle di compleanno di Google, da seroundtable

Il 27 settembre 1998, infatti, avviene il record di pagine indicizzate nel database del motore di ricerca rispetto alla concorrenza, e in particolare dal 2002 questo è il giorno scelto a tavolino e celebrato come compleanno di Google ancora oggi, come si vede in questa schermata di Seroundtable che racchiude tutti i doodle lanciati tra il 2002 e il 2023 (visto che nel 2024 la ricorrenza è “saltata”).

Cosa significa Google: le origini del nome

Parlando poi di questioni divertenti (o quanto meno innocue), ci sono varie leggende anche intorno alle origini del nome del motore di ricerca, che stando alla versione più accreditata si collega a un errore – un vero e proprio caso di misspelling. Per il loro motore di ricerca, Page e Brin volevano un nome iperbolico, che esprimesse subito la sua capacità di organizzare l’immensa quantità di informazioni disponibili sul Web.

La scelta ricadde sul termine googol, coniato dal matematico statunitense Edward Kasner nel 1937 per definire il numero 1 seguito da 100 zeri, che sembrò perfetto per rappresentare metaforicamente la vastità del Web. Al momento di registrare la compagnia, però, sbagliarono a scrivere la parola e googol diventò Google, un nome che evidentemente ha portato fortuna!

Esistono altre versioni di questa storia, che ridimensionano l’errore e collegano la scelta definitiva del termine a vari giochi di parole in lingua inglese. In particolare, al verbo to goggle – sgranare gli occhi per la sorpresa – e al sostantivo goggles – occhialini protettivi che migliorano la visione e consentono di guardare da vicino – o ancora al personaggio di un fumetto statunitense, chiamato appunto Barney Google, a cui fu dedicata la famosa canzone “Barney Google with the Goo-Goo-Googly Eyes” (1923) e un francobollo commemorativo (inserito tra i 20 Comic Strip Classics degli Stati Uniti).

L’impatto dell’AI su Google: RankBrain, Hummingbird, Bert, MUM e non solo

Se questo è il passato, non possiamo non guardare un po’ il presente e il futuro di questo meccanismo complesso, in cui sta emergendo con sempre maggiore forza il ruolo dell’intelligenza artificiale, che ha avuto un impatto trasformativo nel modo in cui Google gestisce la ricerca, guidando le fondamenta stesse del suo funzionamento algoritmico.

Sin dalle prime fasi della sua storia, l’azienda ha riconosciuto il potenziale dell’AI come leva per migliorare l’esperienza di ricerca degli utenti, e oggi non può essere sottovalutata la centralità che questi sistemi hanno assunto all’interno dei suoi ranking systems. Parlare di AI su Google significa tracciare un percorso che parte dai primi algoritmi basati su intelligenza artificiale fino alle ultime evoluzioni che mirano a rendere la ricerca sempre più precisa, contestualizzata e proattiva.

Uno dei primi momenti chiave in questo processo si ebbe nel 2013 con il rilascio di Hummingbird, un aggiornamento che segnò il passaggio dal tradizionale focus sulle parole chiave a una comprensione più completa e complessa delle query. Hummingbird era il primo segnale tangibile di una rivoluzione che Google stava preparando all’interno dei propri algoritmi. L’introduzione di questo sistema rappresentò uno scatto in avanti nella capacità di Google di comprendere il contesto e il significato delle parole, non più isolate e a compartimenti stagni, ma collegate come parte di un discorso più ampio. Hummingbird consentiva infatti di gestire al meglio le query conversazionali, un’anticipazione della successiva transizione al mondo delle ricerche vocali e al crescente utilizzo degli assistenti digitali.

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Ma il vero cambio di passo arrivò due anni dopo, nel 2015, con il perfezionamento di RankBrain, il primo vero algoritmo interno di Google basato su machine learning , confermando quanto l’intelligenza artificiale fosse ormai al centro della strategia di miglioramento della ricerca. RankBrain ha consentito a Google di analizzare in modo più avanzato le query complesse, specialmente quelle mai viste prima, comprendendo il search intent anche in situazioni di ambiguità o ambivalenza: così, il motore di ricerca è riuscito a diventare più “intelligente” e a interpretare query attraverso il significato delle parole e non solo tramite associazioni rigide basate su singole parole chiave. Questo ha avuto conseguenze decisive non solo sulla capacità di Google di rispondere a domande nuove, ma anche sul come si costruiscono i contenuti SEO: non basta più ripetere keyword per ottenere buoni risultati, bisogna piuttosto creare contenuti ricchi di significato e utilità tangibile.

Nel 2019 Google ha fatto un ulteriore passo avanti con l’introduzione di BERT (Bidirectional Encoder Representations from Transformers), un aggiornamento radicale nella comprensione del linguaggio naturale. BERT ha portato la comprensione della lingua da parte dei sistemi di ricerca a un livello superiore, poiché è in grado di esaminare il contesto sia a destra che a sinistra di ogni parola all’interno di una frase. In pratica, Google non decodifica più soltanto il significato letterale delle parole, ma analizza una frase intera e il suo contesto semantico per comprendere meglio l’intento della query. Questa capacità di “dare senso” a frasi complesse o ambigue ha permesso a Google di offrire risultati sempre più pertinenti e mirati, rendendo più sofisticata la gestione delle cerche contestuali e delle query colloquiali sempre più comuni introducendo il concetto di Natural Language Processing (NLP).

L’attenzione di Google all’AI non si è però fermata a BERT. Nel 2021, l’azienda ha presentato MUM (Multitask Unified Model), un sistema che promette un salto di qualità ancora più significativo nell’elaborazione delle informazioni. MUM è 1.000 volte più potente di BERT e può non solo comprendere il linguaggio naturale, ma anche conversare con esso e svolgere compiti complessi in più lingue. Il vero potenziale di MUM sta nella sua capacità di abbattere barriere linguistiche e generare risposte più complete e sfaccettate attraverso modelli multitasking che riescono a verificare e correlare informazioni provenienti da fonti diverse e anche multiformato, come testi, immagini e video. Questo impone un ripensamento su come presentare e ottimizzare i contenuti. MUM è anche in grado di formulare risposte precise rispetto a domande molto dettagliate, che richiedono una consultazione di varie fonti simultaneamente, anticipando quella che sarà l’evoluzione futura del search intent: una sempre maggiore capacità del motore di comprendere domande complesse e fornire risposte esaustive, talvolta senza che l’utente debba consultare una singola pagina.

Dopo MUM, il lavoro si è concentrato su Gemini, un progetto ambizioso che mira a creare una nuova generazione di modelli AI multimodali. Annunciato ufficialmente a fine 2023, Gemini integra capacità avanzate di intelligenza artificiale generativa all’interno di un’ampia gamma di prodotti Google, dalla ricerca agli assistenti virtuali, rendendo la ricerca ancora più intuitiva, conversazionale e personalizzata. Una sua prima applicazione pratica è stata la funzionalità di Search Generative Experience con AI Overviews (per ora non disponibile ancora a livello globale), vale a dire riepiloghi generati dall’AI che compaiono in cima ai risultati di ricerca per fornire una panoramica rapida e concisa su un argomento, prima ancora che l’utente inizi a scorrere i link tradizionali, in modo da fornirgli una sintesi informativa immediata, utile a comprendere rapidamente un argomento e a decidere se approfondire la ricerca.

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