Thin content: cosa sono e perché sono un problema

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In inglese si chiamano thin content, che possiamo tradurre come contenuti scarni o sottili: in un certo senso, sono l’esatto opposto dei contenuti utili che dovrebbero essere l’obiettivo da raggiungere per ogni pagina web. Come spiega Google, infatti, i contenuti thin non sono unici e rilevanti, non offrono agli utenti una ragione per visitare il sito regolarmente e, in definitiva, il motore di ricerca può classificare tali pagine come di poco o nullo valore aggiunto e di bassa qualità. Per questo motivo, chi gestisce un progetto web o si occupa di scrittura online deve comprendere appieno il significato e le implicazioni del thin content, che rappresenta un problema concreto, capace di incidere negativamente sulle performance del sito e, di conseguenza, sulla sua visibilità nelle SERP di Google.

Thin content: cosa sono i contenuti scarni

Thin content si riferisce a quei contenuti che, per la loro scarna qualità o quantità, non riescono a soddisfare le aspettative di Google e, soprattutto, quelle degli utenti.

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Di per sé, l’aggettivo thin suggerisce immagini legate all’esilità o al sottigliezza; in ambito digital e in particolare nella SEO, però, questo concetto assume un’accezione tecnico-strategica ben definita. Letteralmente, il termine anglosassone significa “sottile” o “scarso” e l’aggettivo “scarno” in italiano è forse la traduzione più diretta, perché ben rimanda al concetto di una povertà contenutistica che non aggiunge valore a chi fruisce della pagina web.

Quando parliamo di thin content, dunque, ci riferiamo a pagine che, pur avendo un contenuto visibile, non sono in grado di rispondere in modo esaustivo o significativo alle query degli utenti.

Che significa il thin content nella SEO

Google non ama i contenuti “scarni”: ne ha parlato chiaramente nelle sue linee guida, etichettandoli come pagine prive di valore o dallo scarso apporto informativo. Questo tipo di contenuti non solo non soddisfano le aspettative degli utenti, ma possono anche compromettere l’autorità e la credibilità del dominio che li ospita.

L’importanza di un contenuto ricco, articolato e pertinente nell’era attuale della ricerca non può essere sottovalutata. Ecco perché è fondamentale mettersi nella prospettiva giusta: capire cosa rende un contenuto qualitativo agli occhi di Google aiuta a evitare penalizzazioni e a costruire una presenza web solida e performante.

Questo deficit di valore non riguarda soltanto la quantità di testo presente, bensì coinvolge anche l’approfondimento tematico, la pertinenza e la capacità del contenuto di essere unico e originale rispetto a ciò che è già disponibile online. Le pagine web definite come “thin content” mancano della profondità necessaria per garantire un’esperienza soddisfacente all’utente, e questo le rende particolarmente vulnerabili alle penalizzazioni da parte di Google. Nel tempo, il termine è diventato parte integrante del lessico tecnico utilizzato dagli specialisti SEO, indicativo di una categoria da evitare accuratamente.

Thin content e Google: bassa qualità e scarso valore aggiunto

Quando parliamo di thin content in relazione a Google, entriamo nel cuore delle linee guida del motore di ricerca sulle migliori pratiche editoriali e di SEO copywriting.

Per Google, il thin content è sinonimo di contenuti di bassa qualità, che non aggiungono alcun valore distintivo all’utente e che, di conseguenza, non meritano di essere posizionati in alto nelle SERP. I casi più comuni includono pagine con testi estremamente brevi, contenuti duplicati presi da altre fonti senza alcun aggiustamento significativo, pagine riempite di tag Title e Meta senza contenuto sostanziale, oppure pagine costruite seguendo schemi automatici senza l’intervento umano, il cui unico scopo è spesso solo quello di manipolare i ranking.

Accanto a questi esempi, troviamo anche contenuti che possono sembrare normali a prima vista ma che vengono etichettati come “thin” per la loro scarsa pertinenza rispetto all’intento di ricerca dell’utente. Ad esempio, una pagina che promette una dettagliata recensione di un prodotto, ma che in realtà offre solo poche righe di descrizione e nessuna informazione approfondita, sarà inevitabilmente considerata “sottile” da Google.

Google, attraverso i suoi algoritmi di indicizzazione e valutazione della qualità, è in grado di rilevare automaticamente queste problematiche, preferendo contenuti che forniscano un’esperienza informativa completa, appagante e autentica. È cruciale comprendere che il thin content non si limita alla sola presenza di contenuti scarsi; piuttosto, si estende a tutto ciò che non risponde alle aspettative qualitative che Google ritiene basilari per un’esperienza utente di valore.

I thin content sono al centro di molte documentazioni di Google, a riprova dell’attenzione che il motore di ricerca destina invece alla creazione di pagine valide e utili per gli utenti, sin dal debutto dell’algoritmo Panda ormai oltre 10 anni fa, con la conseguente individuazione del percorso per costruire un sito di qualità.

E ancora oggi, in particolare, la presenza di (molti) contenuti scarni è una possibile causa di azioni manuali verso il sito, può portare alla rimozione dall’indice di Search e alla disabilitazione di Google ADS, e ad ogni modo può influenzare negativamente i segnali EEAT del sito e percepiti dal motore di ricerca.

Thin content, l’opposto di un contenuto di qualità

Per poter comprendere che cos’è il thin content è forse utile ragionare per contrasto e considerare cosa Google ritiene un buon contenuto: qualità, utilità, profondità e unicità sono i pilastri su cui basare ogni pubblicazione.

In altre parole, il thin content è esattamente il contrario di ciò che è rappresentato dai contenuti ricchi, approfonditi e soprattutto rilevanti. Questi contenuti sono caratterizzati da un testo che esplora un argomento da più angolazioni, fornendo dettagli, analisi, riflessioni e informazioni aggiornate o non banali.

Un contenuto di qualità è quello che risponde in modo efficace ed esaustivo all’intento di ricerca dell’utente, soddisfacendo le sue necessità informative, e spesso andando oltre ciò che l’utente si aspetta di trovare inizialmente. Non si tratta solo di lunghezza: un buon contenuto dev’essere altamente rilevante per la query, deve essere unico e mettere in evidenza competenza e autorevolezza sul tema trattato. In questo modo, Google non solo premierà il risultato con un posizionamento più alto, ma sarà anche più propenso a dare visibilità a lungo termine alla pagina.

Per esempio, se un utente cerca una guida sull’ottimizzazione SEO, non si aspetta solo un elenco di consigli basiliari. Aspetta di trovare un contenuto dettagliato, magari corredato di esempi pratici, spiegazioni approfondite, tabelle riassuntive e link utili a ulteriori risorse. In questo modo, non solo soddisfiamo l’utente, ma andiamo anche in contro alle aspettative di Google, che premierà il nostro contenuto distinguendolo da quelli meno completi.

Quali sono i thin content

Non è difficile capire come sono fatti i thin content e quindi identificare le pagine che offrono poco valore.

Ciò che conta è non soffermarsi superficialmente sul numero di parole o sulla esiguità del testo, ma ricercare lo “scopo” della pagina. Detta in altri termini, una voce di glossario o di enciclopedia completa il suo scopo ed esaudisce la richiesta dell’utente anche con un testo di 300 parole, mentre al contrario un articolone di oltre mille parole può essere “thin” se si limita a ricicciare informazioni prese da altre fonti, senza valore aggiunto, o ancora peggio se estende la lunghezza del testo in maniera del tutto artificiosa e “inutile”.

E dunque, il concetto di thin content si estende ben oltre la sola scarsa quantità di testo o la duplicazione di contenuti visibili, perché esiste una gamma più ampia di contenuti che sembrano apparentemente completi ma che, di fatto, non riescono a soddisfare i criteri di qualità di Google. Un esempio poco discusso è quello delle pagine con contenuti temporali, come articoli di notizie legati a eventi passati o pagine su argomenti ormai obsoleti che non vengono mai aggiornati. Con il passare del tempo, queste pagine perdono inevitabilmente il loro valore per gli utenti e possono venire considerate thin content perché non più rilevanti o utili rispetto a ciò che il lettore desidera sapere oggi.

Un’altra forma di thin content include le pagine massivamente ridondanti all’interno dello stesso sito, come ad esempio quelle basate su varie località geografiche con variazioni minime tra di esse, destinate a coprire piccole varianti di keyword legate alla SEO locale. Se queste pagine hanno troppe similitudini tra loro, con variazioni così microscopiche da non offrire differenza concreta agli utenti, Google può identificarle come un’unica sostanza ripetuta più volte, etichettandole come sottili. Questo accade spesso nei siti che creano pagine per città o regioni, dove cambiano solo i nomi delle località senza che il contenuto vari significativamente.

Un’altra tipologia che spesso viene trascurata è quella delle pagine carenti di interazione con i motori di ricerca o che vengono abbandonate dagli utenti poco dopo essere state visitate. Se il contenuto spinge al cosiddetto “soft bounce” — ossia l’utente clicca presto il tasto “indietro” perché il contenuto non è utile o attrattivo — questo potrebbe essere un segnale di contenuti sottili percepiti da Google. Ad esempio, pagine che promettono una guida completa ma contengono solo titoli accattivanti senza poi fornire veri approfondimenti, sono un chiaro esempio di scarsi contenuti mascherati da titoli forti.

Infine, un’area spesso trascurata dai webmaster riguarda le pagine create per scopi interni, come landing page o pagine di redirect che non subiscono una revisione regolare o un ricontrollo sulla loro effettiva utilità. Queste pagine possono facilmente diventare thin content se perdono la loro rilevanza operativa, soprattutto quando non sono pensate per offrire un’esperienza utente positiva ma restano lì solo per logiche temporanee di marketing. Google, infatti, tende a penalizzare anche simili pagine invisibili ma tecnicamente ancora indicizzate, ritenendole poco utili e quindi penalizzabili come thin content.

Come sono i thin content

Ci sono segnali specifici che possiamo monitorare per identificare rapidamente un thin content.

Uno degli esempi più comuni riguarda le pagine con poco testo, magari ridotte a poche centinaia di parole, dove non viene fornito un reale approfondimento su alcun argomento. Questo accade spesso quando si tenta di fare archivio contenutistico senza avere una strategia precisa, riempiendo il sito di pagine irrilevanti sotto il profilo informativo.

Le pagine con contenuti duplicati rappresentano un altro scenario tipico di thin content. Queste possono essere pagine praticamente identiche tra loro o contenuti copincollati altrove nel web, senza alcuna reale aggiunta di valore o differenziazione. L’algoritmo di Google, che combatte tenacemente il plagio e i cloni di contenuto, penalizza fortemente questo tipo di pratica, relegando tali pagine ai margini delle SERP.

Un altro esempio di thin content riguarda le pagine con contenuti generati automaticamente, spesso chiamate anche “autogenerate content”. Ad esempio, pagine create con script o con strumenti di AI generativa senza un vero contributo umano rientrano in questa categoria. Il rischio qui è di creare contenuti che possono apparire inizialmente utili, ma che alla verifica non sono in grado di offrire risposte accurate o pertinenti, ingannando così sia gli utenti che gli algoritmi fino a quando non vengono scoperti.

Tutte queste forme di thin content condividono un denominatore comune: non sono costruite per rispondere alle reali esigenze degli utenti, e lo stesso Google è ben equipaggiato per individuarle e scoraggiarne l’uso tramite il suo sistema algoritmico. Essere a conoscenza di questi esempi ci aiuta a riflettere su eventuali errori commessi e a correre ai ripari per non perdere il posizionamento delle nostre pagine.

Gli esempi di thin content

Volendo provare a elencare in dettaglio i tipi di thin content (quelli che sono maggiormente a rischio di essere individuati come tali), troviamo quindi:

  1. Contenuti duplicati (anche quelli percepiti come duplicati a causa di alcuni errori tecnici, come il reindirizzamento non corretto da HTTP a HTTPS).
  2. Contenuto raschiato da un altro sito Web, come il classico tipicamente copia/incolla da altri siti, in genere con poche riscritture o rimodulazioni, o l’incorporazione di varie tipologie di contenuto non solo testuale (immagini, video, infografiche) che però non aggiungono valore all’utente. Il rischio di penalizzazione è alto se sul sito aggiungiamo sistematicamente contenuti da fonti esterne senza una seria rielaborazione manuale.
  3. Contenuti generati automaticamente. I sistemi di Google riconoscono anche l’uso di mezzi automatizzati per riscrivere il contenuto – ad esempio, il tentativo prendere una notizia in lingua straniera e poi tradurla semplicemente in italiano tramite Google Translate o altri strumenti prima di aggiungerla al sito – così come sono scarne le mere riproduzioni di informazioni di prodotto copiate da altre fonti o estratto da altri siti. Quando questi contenuti sono programmatici, Google può procedere con penalizzazioni algoritmiche o anche manuali perché riscontra l’intenzione di manipolare le classifiche di ricerca e non di aiutare gli utenti. In questa categoria rientrano testi che non hanno senso per il lettore ma contengono solo keyword, traduzioni automatiche di bassa qualità senza cura prima della pubblicazione, contenuto combinato o legato da varie pagine web senza aggiungere alcun valore.
  4. Pagine di affiliazione senza valore per l’utente, piene di link ma che non offrono informazioni utili o rilevanti. Google riconosce il valore di siti buoni monetizzati con link affiliati che aggiungono valore, ad esempio offrendo revisioni originali di prodotti, rating o comparazioni; se partecipiamo a un programma di affiliazione, è importante essere certo di distinguere il sito dagli altri e di mantenere chiaro il purpose, lo scopo, che vada oltre qualsiasi offerta di affiliazione. Inoltre, le pagine di affiliazione dovrebbero rappresentare solo una piccola percentuale del sito totale, e il programma affiliato dovrebbe essere inerente alla categoria di prodotti interessanti per la nostra audience. Di fondo, una pagina di affiliazione è un canale intermedio tra l’utente e la pagina di destinazione del produttore originale, quindi dobbiamo chiederci perché una persona voglia fare questo passaggio e in che modo non sprecare il suo tempo.
  5. Pagine doorway, ovvero pagine che sono solo un mezzo per cercare di manipolare le SERP prendendo di mira una keyword o un gruppo ristretto di parole molto specifici, con lo scopo di inviare questo traffico a un altro sito Web o destinazione. Questa tecnica crea una scadente esperienza di ricerca e aggiunge passaggi indesiderati per l’utente, che deve passare attraverso pagine inutili (di qualità inferiore e meno pertinenti) per raggiungere il risultato finale desiderato. Tra gli esempi di pagine doorway Google indica:
    • Diverse pagine o diversi nomi di dominio indirizzati ad aree geografiche, regioni o città specifiche che rimandano in realtà gli utenti a un’unica pagina.
    • Pagine generate per incanalare i visitatori nella parte effettivamente utilizzabile o pertinente del sito.
    • Pagine quasi uguali, più simili a risultati di ricerca che a una gerarchia consultabile ben definita.

Come si generano i contenuti scarni

Ora che abbiamo visto quali sono questi contenuti problematici possiamo passare alla parte tecnica e capire come si genera il thin content, che è il primo passo per evitarne la presenza sui nostri siti.

Una delle cause principali è la mancanza di una strategia di contenuti ben definita. Quando ci si approccia alla creazione di contenuti senza aver stabilito obiettivi chiari, parole chiave rilevanti e un’analisi approfondita delle necessità dell’utente, si rischia di produrre pagine prive di valore reale.

L’uso eccessivo di programmi automatizzati è un’altra trappola comune che porta alla creazione di contenuti scarni. Software che generano automaticamente articoli basati su parole chiave o testi estratti da altre fonti possono sembrare una soluzione rapida e conveniente, ma il risultato finale è spesso privo di coerenza, approfondimento e—cosa più importante—umanità. Gli algoritmi di Google sono ormai capaci di rilevare la mancanza di contributo intellettuale in un contenuto e di penalizzarlo di conseguenza.

Un’altra causa è il tentativo di riempire rapidamente il sito senza considerare la qualità. Questo accade spesso in fase di lancio di un nuovo progetto, quando si cerca di pubblicare un gran numero di pagine in poco tempo per dare l’impressione di un sito robusto e completo. Tuttavia, se la quantità viene privilegiata rispetto alla qualità, il risultato sono pagine superficiali e mal ottimizzate, che difficilmente potranno competere per keyword di valore.

Come identificare e correggere il thin content

Non sempre è facile individuare contenuti scarni semplicemente scorrendo il nostro sito, specialmente se parliamo di un portale di grandi dimensioni, ma per fortuna esistono strumenti affidabili che ci vengono in aiuto.

Un punto di partenza imprescindibile è la Google Search Console: analizzando metriche come il CTR (Click-Through Rate), il tempo medio di permanenza sulle singole pagine e il tasso di rimbalzo, possiamo intuire quali contenuti non stanno soddisfacendo gli utenti. Se notiamo che alcune pagine hanno un traffico costante ma un tempo di permanenza molto basso, è possibile che si tratti di thin content; questo può essere un segnale che le pagine non riescono a rispondere in modo adeguato alle necessità degli utenti.

Un altro aiuto fondamentale può venire dagli strumenti di monitoraggio delle parole chiave. Piattaforme come SEOZoom ci permettono di eseguire un audit completo dei contenuti, identificando le parole chiave per le quali le nostre pagine si posizionano e monitorando il loro rendimento. Uno dei campanelli d’allarme che possiamo individuare grazie a questi strumenti è il caso in cui una pagina si posiziona bene per una parola chiave a bassa concorrenza, ma ha una performance scarsa rispetto a parole chiave più competitive. Questo può indicare che il contenuto è visto come inadeguato per argomenti più complessi o dettagliati, suggerendo una sua scarsità di informazione o valore.

Anche gli strumenti di analisi on-page possono essere utili nel perfezionare ulteriormente l’audit. Questi tool permettono di identificare le pagine con contenuti scarni valutandone il numero di parole rispetto alle metriche di engagement e suggerendo miglioramenti specifici.

L’uso sapiente di queste risorse ci darà una mappa dettagliata delle aree critiche del nostro sito, offrendoci un quadro chiaro delle pagine che necessitano di un intervento—sia questo una revisione del contenuto, un aggiornamento, o in casi estremi, la decisione di eliminare ciò che oramai è superfluo.

Tecniche per migliorare e gestire i thin content

Una volta individuati i punti deboli del nostro sito, è il momento di agire: lasciare che i thin content rimangano intoccati è una scelta che potrebbe costarci caro in termini di SEO.

Le tecniche per migliorare i thin content richiedono attenzione e un approccio personalizzato per renderle veramente efficaci. Il focus non deve mai essere solo su “correggere” per evitare penalizzazioni, ma su costruire valore aggiunto per l’utente. Ogni pagina deve meritare di esistere e di essere promossa nelle SERP, rafforzando nel contempo non solo la singola pagina, ma l’intero dominio.

L’intervento risolutivo dipenderà dalla gravità e dalla natura scarna dei contenuti.

La tecnica più diretta è quella di arricchire i testi esistenti e quindi ottimizzare i contenuti seguendo alcune semplici indicazioni. Questo non significa semplicemente aggiungere parole a caso per allungare un articolo, ma piuttosto aggiungere valore reale. Possiamo incrementare il contenuto con approfondimenti, statistiche aggiornate, casi studio, o analisi più specifiche. L’aggiunta di elementi multimediali come immagini, infografiche e video è un altro modo efficace per migliorare la qualità di una pagina. Non solo queste aggiunte rendono il contenuto più interessante e interattivo, ma rafforzano anche la capacità della pagina di trattenere l’utente per un tempo maggiore.

Quando il contenuto è irrimediabilmente sottile, potrebbe essere necessaria una riscrittura completa. Ciò accade spesso con vecchi articoli o pagine create in fretta, per le quali solo un rifacimento totale dell’approccio e del contenuto può garantire coerenza e valore aggiunto. Le nuove versioni delle pagine dovrebbero essere non solo più esaustive, ma anche meglio ottimizzate dal punto di vista SEO, includendo le parole chiave principali in modo naturale, in un testo capace di rispondere a ogni possibile esigenza dell’utente.

In alcuni casi, però, non tutto può essere salvato. I contenuti che non sono recuperabili, per esempio perché obsoleti o di scarsa attinenza con l’attuale focus del sito, dovrebbero essere gestiti correttamente. Questo può significare l’uso del meta tag noindex su pagine che comunque vorremmo mantenere per altri motivi, ma senza farle comparire nei risultati di ricerca. Ciò evita di disperdere il valore complessivo del sito su pagine di bassa qualità. Se invece una pagina è divenuta del tutto inutile, la miglior soluzione potrebbe essere rimuoverla completamente, assicurandoci di reindirizzare il traffico attraverso un redirect 301 a una pagina più rilevante.

Il thin content può essere utile?

Esistono delle eccezioni alla regola per cui il thin content è sempre dannoso? Se per la stragrande maggioranza dei casi è veramente così, alcune situazioni particolari possono mettere in discussione questa regola. Un caso tipico può essere rappresentato dalle pagine con basso volume di ricerca ma con un intento specifico.

Pensiamo ai moduli di presentazione aziendale o alle pagine di ringraziamento dopo una conversione (ad esempio, “Grazie per averci contattato”). Queste pagine, pur essendo essenziali per la navigazione e il flusso dell’utente, spesso non richiedono un contenuto approfondito, e Google lo sa. Ciò che conta in questi contesti è la funzione pratica della pagina più che il suo contenuto esplicito. Tuttavia, va sottolineato che, anche in questi casi, evitare contenuti del tutto vuoti è una buona pratica. Utilizzare le parole chiave corrette o includere call-to-action pertinenti può comunque incrementare la value proposition della pagina.

Altre eccezioni possono includere le pagine create esclusivamente per finalità di indicizzazione interna o redirect. In queste situazioni, l’obiettivo principale non è servire direttamente l’utente finale, ma facilitare la navigazione del sito o instradare il traffico verso altre aree più rilevanti. Tuttavia, anche qui, è importante non esagerare: un abuso di tali pratiche può comunque risultare poco efficace e, nel peggiore dei casi, nuocere alla user experience complessiva.

Quello che deve rimanere in chiaro è che, salvo rari casi, il thin content non è una best practice e non deve mai essere considerato un’opzione valida per costruire il cuore di un progetto online. Se ci sono eccezioni, queste devono essere ben motivate dalla strategia globale del sito e gestite con cautela per non finire per danneggiare complessivamente la SEO.

Perché il thin content è un problema per la SEO

Lo ribadiamo spesso: la vera sfida per la SEO è essere in grado di produrre contenuti di valore. Un sito robusto e solido sotto il profilo SEO non è costruito su pagine vuote, ma sulla capacità di produrre qualità e utilità, parola dopo parola.

I vari tipi di contenuti sottili sono accomunati dallo stesso “problema di fondo”: non rispondono ai criteri richiesti da Google per la rilevanza dei risultati da mostrare in risposta alle query.

Come sappiamo, Google cerca di fornire come migliori risultati contenuti che corrispondono al search intent, che forniscono informazioni utili e valide, che abbiano un purpose (ovvero, che consentano all’utente di realizzare lo scopo che si era prefissato al momento di lanciare la sua query).

contenuti scarni hanno caratteristiche completamente opposte, e soprattutto non danno alcun tipo di valore aggiunto per gli utenti, che quindi restano sostanzialmente insoddisfatti quando finiscono su pagine di questo tipo. E un utente scontento è un elemento pericoloso per la SEO, che Google recepisce e trasforma in segnale negativo per il ranking.

Per sintetizzare, i thin content possono diventare un problema per la SEO perché danneggiano il ranking delle pagine e dell’intero sito, influenzando di conseguenza in maniera negativa anche l’immagine del brand; inoltre, possono anche compromettere le chance di creare engagement e bloccare le conversioni, non favorendo gli utenti a intraprendere una qualsiasi azione redditizia per il progetto.

Come il thin content incide sui ranking di Google

La SEO non è una scienza esatta, ma di una cosa possiamo essere certi: il thin content rappresenta un ostacolo serio per ottenere buoni posizionamenti su Google perché non riescono soddisfare i requisiti basilari ricercati dall’algoritmo – rispondere all’intento di ricerca degli utenti in modo utile, esaustivo, chiaro e autorevole.

Un fattore chiave che determina una diminuzione del ranking è l’incapacità del thin content di risolvere efficacemente la query dell’utente. Gli algoritmi di Google e anche il paradigma E-E-A-T  analizzano ogni contenuto per determinarne la rilevanza, l’autorevolezza e l’affidabilità. I contenuti scarni, per la loro stessa natura, mancano di profondità e spesso vengono costruiti senza un reale apporto di conoscenze specifiche. Questo porta a una disconnessione tra ciò che l’utente sta cercando e ciò che il contenuto fornisce, una discrepanza estremamente penalizzante per il posizionamento.

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Inoltre, in termini pratici, il thin content può anche invogliare gli utenti a cercare altrove, traducendosi in un aumento della frequenza di rimbalzo e una diminuzione del tempo speso sul sito—altri due segnali che Google interpreta negativamente. Sommando tutti questi fattori, diventa chiaro quanto sia essenziale per noi schivare questa problematica se vogliamo ottenere e mantenere posizionamenti alti nei risultati di ricerca.

Un lavoro di ottimizzazione costante

Analizzare l’estensione del concetto di thin content ribadisce che la qualità dei contenuti è (almeno in teoria…) il vero motore della visibilità online organica. I contenuti scarni, superficiali e privi di sostanza non solo rischiano di essere penalizzati, ma possono fare perdere al sito l’opportunità di crescere, posizionarsi e mantenere un buon traffico organico.

Lavorare alla ricerca e alla risoluzione dei contenuti scarni sul sito può sembrare un compito enorme, soprattutto per i siti e-Commerce con migliaia di pagine prodotto e di categorie, ma dobbiamo piuttosto considerarla un’opportunità per rafforzare ulteriormente la SEO complessiva del sito web, che potrà beneficiare di una strategia aggiornata e migliorata.

Mentre individuiamo le pagine thin, infatti, possiamo anche testare il livello qualitativo del progetto e trovare spunti per creare una content strategy più ottimizzata ed efficace.

Inoltre, rendere periodico il processo di revisione e verifica dei contenuti ci permetterà di semplificare il lavoro futuro e di risparmiare tempo, perché affronteremo e risolveremo i problemi seri sin da subito, imparando a non ripeterli, riconoscendo immediatamente le principali minacce di contenuti scarni prima che danneggino le classifiche e la reputazione del sito.

In definitiva, dobbiamo tenere a mente questo: possiamo evitare i thin content se offriamo contenuti unici, originali e speciali, che “servano a qualcosa” e non rubino tempo agli utenti, il vero riferimento del nostro lavoro.

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