Dwell Time: che cos’è, come si misura e come impatta la SEO

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È letteralmente il “tempo di sosta“, la durata media della permanenza di un utente su una pagina web raggiunta dalla SERP prima di ritornare indietro. Oggi approfondiamo il concetto di dwell time, un dato che ricorre con frequenza quando si parla di SEO e user engagement e che ci può aiutare a valutare l’efficacia dei nostri contenuti, perché misura l’engagement e l’interesse dei lettori verso le pagine che abbiamo pubblicato.

Che cos’è il dwell time

Il termine “dwell time” deriva dall’inglese e si riferisce letteralmente al tempo di permanenza o di sosta in un determinato luogo. Nel contesto del digital marketing e della SEO, questa espressione è stata adottata per descrivere quanto tempo un utente trascorre su una pagina web raggiunta dopo un clic da un link, prima di tornare indietro o navigare altrove.

Nell’accezione più frequente, il dwell time misura il tempo trascorso da quando un visitatore atterra su una pagina web cui è arrivato dopo aver cliccato su un risultato di ricerca in SERP fino al momento in cui torna ai risultati di ricerca di Google o si dirige appunto verso altri siti.

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Il dwell time rappresenta quindi la durata media in cui un utente rimane su una pagina web che ha trovato lanciando una query su un motore di ricerca. In parole semplici, indica il tempo che un visitatore dedica alla lettura e all’esplorazione dei contenuti prima di tornare indietro ai risultati di ricerca o navigare verso un’altra pagina.

In linea di massima, un tempo di permanenza elevato indica che il contenuto è stato utile per il visitatore, mentre un tempo di permanenza basso suggerisce che il contenuto non è stato utile – anche se ci sono vari distinguo e considerazioni da fare in merito, come vedremo.

Che cosa significa il dwell time per la SEO

Sebbene non ufficialmente confermato da Google come fattore diretto di ranking – ma probabilmente usato con questa funzione da altri motori di ricerca come Bing – il dwell time è comunemente interpretato dagli esperti SEO come un indicatore della qualità e della rilevanza del contenuto offerto da una pagina web rispetto alla query effettuata dall’utente.

Il senso è che, come dicevamo prima, più lungo è il tempo di permanenza, maggiore è la probabilità che il contenuto sia stato trovato utile o interessante dall’utente. Se un visitatore trascorre molto tempo su una pagina prima di tornare ai risultati della ricerca, è probabile che abbia trovato il contenuto interessante e pertinente alle sue necessità; viceversa, se lascia la pagina dopo pochi secondi, potrebbe indicare insoddisfazione o mancanza di pertinenza.

In tale ottica, questa metrica non è solo un numero da monitorare, ma piuttosto un segnale che può dirci molto sulla qualità del contenuto e sull’efficacia con cui una pagina web risponde alle esigenze informative degli utenti. Avere un dwell time elevato può indicare (e comunicare) che gli utenti trovano i contenuti interessanti e coinvolgenti e trascorrono più tempo ad approfondirli; di conseguenza, anche senza una diretta correlazione, i siti web con un dwell time alto tendono a posizionarsi meglio nei risultati di ricerca.

Perché è importante conoscere il tempo di permanenza

Conoscere il dwell time può servire per avere una sorta di barometro dell’interesse e dell’engagement degli utenti, fornendo spunti preziosi per ottimizzare contenuti, design e strategie SEO e non solo.

In ambito SEO, lo abbiamo accennato, questa metrica potrebbe fornire un “segnale di qualità” per i nostri contenuti: gli utenti che restano a lungo sulla pagina e interagiscono col contenuto inviano ai motori di ricerca un’informazione sul gradimento della pagina stessa, rafforzandone la pertinenza e la rilevanza rispetto alla query iniziale.

Ma il tempo di permanenza ha anche un’applicazione più pratica nella content strategy, perché può aiutare gli editori a capire quali tipi di contenuti mantengono gli utenti impegnati più a lungo: se una particolare categoria di articoli mostra un “dwell time” superiore alla media, potrebbe essere utile produrre più contenuti di quel tipo o adottare uno stile simile in altri argomenti. Ciò vale anche per i social media, dove l’analisi di post, storie o video che catturano l’attenzione dell’utente per periodi prolungati sono indicatori chiave del coinvolgimento degli utenti con quel particolare contenuto.

Capire il dwell time può aiutare a mappare il percorso dell’utente attraverso il sito: se il valore è alto su pagine specifiche, potrebbe indicare punti di forza nel percorso che portano a conversioni o altri obiettivi importanti; al contrario, un dato basso potrebbe evidenziare aree in cui gli utenti si perdono o perdono interesse.

Ancora più specificamente, un dwell time basso potrebbe essere un segnale che l’esperienza utente o l’interfaccia utente necessitano di miglioramenti: forse la pagina è sovraccarica di informazioni, difficile da navigare o non si carica correttamente su dispositivi mobili, e un’analisi più approfondita ci può fornire indizi su come ottimizzare il design per un’esperienza utente migliore.

Come si calcola e si stima il dwell time?

Premessa: non esiste una formula specifica per calcolare il dwell time.

In generale, si prende come riferimento il tempo trascorso da un utente su una pagina web prima di tornare ai risultati di ricerca o navigare verso un’altra pagina, ricordando che il dwell time inizia e finisce con la SERP.

Secondo le stime di benchmarking, il tempo di permanenza medio è considerato compreso tra 2 e 4 minuti e si considera un dwell time positivo un valore superiore a 2-3 minuti. Di solito, questo è il tempo necessario per esplorare un sito Web e farsi un’idea del design.

La stima del dwell time preciso può variare anche in base allo strumento utilizzato, ma serve ricordare che intendiamo misurare la quantità di tempo che un utente impiega ad analizzare una pagina web prima di fare nuovamente clic per visualizzare i risultati di ricerca. Affinché possa essere considerato dwell time, insomma, l’utente deve guardare la SERP, cliccare su una pagina, rimanervi per un po’, quindi fare nuovamente clic sulla SERP o uscire in altro modo dalla pagina.

Gli strumenti per misurare il tempo di permanenza

Insomma, non è facile né immediato comprendere anche il concetto di dwell time, né tanto meno calcolarlo precisamente.

Di base, possiamo utilizzare alcuni strumenti utili come tool di heatmap, tool di analisi con registrazioni delle sessioni utente, script personalizzati in JavaScript, anche se forse la modalità più semplice e diretta è utilizzare Google Analytics, che fornisce dati sul dwell time medio per ogni pagina del sito.

La piattaforma calcola automaticamente questa metrica in minuti e secondi, mostrandola sia nella schermata di “Istantanea report” che nella “Panoramica Coinvolgimento“: in entrambi i casi, si tratta di un valore che misura la “durata del coinvolgimento media per utente attivo per il periodo di tempo selezionato”. Come specificato prima, però, il vero dwell time può provenire solo dalle SERP, mentre questi dati potrebbero anche includere il tempo trascorso sulla pagina da un utente arrivato da un’altra landing page, da una pagina di social media o da un link in e-mail: pertanto, per scremare correttamente il dato basta impostare un filtro di provenienza del traffico, settandolo su “Google”.

Guida semplice e ragionata per calcolare il tempo di permanenza

Proviamo a descrivere in maniera sintetica i passaggi necessari per comprendere e calcolare efficacemente questo utile indicatore.

  • Passo 1: Comprendere il Dwell Time

Prima di tutto, è fondamentale capire cosa intendiamo per dwell time. Ormai sappiamo che l’espressione indica la quantità di tempo che un visitatore trascorre su una pagina web prima di tornare ai risultati di ricerca o procedere altrove, e che genericamente un tempo di permanenza più lungo è solitamente interpretato come un segnale di contenuto rilevante e utile.

  • Passo 2: Raccogliere i dati necessari

Per calcolare il dwell time serve l’accesso a dati analitici del sito. Strumenti come Google Analytics possono fornire informazioni dettagliate sul comportamento degli utenti sul sito, inclusi i tempi di permanenza.

  • Passo 3: Analizzare i tempi di permanenza

Una volta raccolti i dati, il passaggio successivo consiste nell’analizzarli per determinare il tempo medio di permanenza sulle pagine del sito. Questo si fa semplicemente calcolando la media dei tempi trascorsi dagli utenti su ciascuna pagina. Per ottenere una misura più accurata è opportuno considerare periodi significativi, come l’ultimo mese o trimestre.

  • Passo 4: Confrontare con benchmark del sttore

È utile confrontare i tempi di permanenza con quelli standard nel settore o nicchia verticiale. Ogni settore ha benchmark differenti: ciò che è considerato un buon tempo di permanenza in uno potrebbe non esserlo in un altro, e solo avendo i giusti riferimenti possiamo capire davvero come si posiziona il nostro sito.

  • Passo 5: Implementare strategie per migliorare

Se scopriamo che il dwell time è inferiore alle aspettative, può essere il momento di adottare strategie per migliorarlo. Tra i primi interventi troviamo l’ottimizzazione dei contenuti per renderli più interessanti e pertinenti, miglioramenti della velocità di caricamento delle pagine, controlli sul layout del sito affinchésia intuitivo e facile da navigare. Inoltre, l’aggiunta di elementi interattivi, come video o quiz, può incoraggiare gli utenti a trascorrere più tempo sulle pagine

  • Passo 6: Monitorare i cambiamenti e continuare a migliorare

Dopo aver implementato le strategie per migliorare il dwell time, è vitale monitorare come questi cambiamenti influenzano il tempo di permanenza dei visitatori. Per farlo, useremo gli stessi strumenti analitici menzionati in precedenza, che ci aiuteranno a tracciare i miglioramenti. Se notiamo un aumento significativo, siamo sulla giusta via. Tuttavia, se non c’è alcun cambiamento o se i tempi di permanenza diminuiscono, potrebbe essere necessario rivedere la strategia e provare approcci diversi.

Come migliorare il dwell time: le tattiche e le best practice SEO

E quindi, riuscire a garantire un elevato tempo di permanenza attraverso contenuti di qualità e un’esperienza utente ottimale può diventare un obiettivo basilare non solo per migliorare la posizione di un sito nei risultati di ricerca, ma anche per incrementare l’engagement dei visitatori.

Ma come si ottiene questo risultato?

In generale, le best practice SEO invitano a lavorare costantemente per migliorare l’attrattività e la fruibilità dei siti, sia dal punto di vista della leggibilità che dell’usabilità concreta, concentrando poi l’attenzione anche agli aspetti della qualità dei contenuti, che devono fornire valore aggiunto agli utenti, soddisfacendo le loro esigenze informative o di intrattenimento in maniera efficace ed efficiente.

Detta in altri termini, per ottimizzare il dwell time è essenziale concentrarci sulla qualità dei contenuti offerti: questi devono essere utili, informativi, ben scritti e pertinenti alle query per cui si desidera essere trovati. Allo stesso tempo, la struttura del sito e la sua usabilità giocano un ruolo chiave: una navigazione intuitiva, tempi di caricamento rapidi e una buona responsiveness su dispositivi mobili sono tutti elementi che possono incentivare l’utente a rimanere più a lungo sulla pagina.

Abbiamo quindi alcuni metodi per influenzare positivamente questa metrica e aumentare il tempo di permanenza sul nostro sito, che possiamo sintetizzare in:

  • Creare contenuti di alta qualità. I contenuti devono essere informativi, coinvolgenti e pertinenti alle parole chiave di ricerca, capaci di rispondere efficacemente alle domande o alle esigenze degli utenti.
  • Ottimizzare la struttura e la leggibilità del testo. Utilizzare titoli, sottotitoli, elenchi puntati e grassetti può facilitare la lettura e la scansione dei contenuti, incoraggiando una maggiore esplorazione e interazione delle pagine.
  • Includere link interni. Collegamenti interni verso contenuti correlati possono incoraggiare gli utenti a esplorare ulteriormente il sito.
  • Sfruttare video, immagini e infografiche. I contenuti multimediali possono arricchire i testi, aumentare l’interesse degli utenti e incoraggiarli a rimanere più a lungo sulla pagina.
  • Promuovere l’interazione. Invitare gli utenti a commentare, condividere o iscriversi alla newsletter per aumentare il coinvolgimento.
  • Offrire un’esperienza utente ottimale. Garantire che il sito web sia veloce da caricare, responsive e facile da navigare su tutti i dispositivi, per evitare disservizi e tempi di attesa prolungati che possono scoraggiare gli utenti dal restare sul sito.

Comprendere il dwell time: che cos’è e cosa non è il tempo di permanenza

A questo punto è opportuno soffermarci ancora sulla “teoria” e chiarire alcuni dubbi e cattive interpretazioni che a volte possono sorgere quando parliamo di dwell time.

Molte persone, infatti, confondono il significato del “tempo di permanenza” con la frequenza di rimbalzo, il tempo trascorso sulla pagina o il pogo sticking, che però significano tutti cose diverse.

Anche se hanno un obiettivo simile – misurare il coinvolgimento degli utenti – queste metriche prendono in considerazione parametri differenti e quindi forniscono informazioni diverse, un angolo di visuale alternativo sull’engagement e sulla soddisfazione dell’utente.

Per la precisione:

  • Dwell Time. Come abbiamo discusso, il dwell time è il tempo che un utente trascorre su una pagina dopo aver cliccato su un link nei risultati di ricerca e prima di tornare alle SERP. È una misura indiretta che può suggerire quanto il contenuto sia stato coinvolgente o utile per l’utente.
  • Frequenza di Rimbalzo (Bounce Rate). La “frequenza di rimbalzo” è la percentuale di visitatori che entrano in una pagina e poi lasciano il sito senza interagire con la pagina o navigare verso altre pagine del sito stesso. Un “rimbalzo” è quindi una singola visualizzazione di pagina in cui l’utente non ha interagito con alcun elemento. Un alto bounce rate può indicare che la pagina non è rilevante o non soddisfa le aspettative degli utenti, ma può anche essere normale per determinati tipi di contenuti, come gli articoli di blog.
  • Pogo Sticking. Il “pogo sticking” si verifica quando un utente clicca su un risultato di ricerca, visita rapidamente la pagina e poi torna alla SERP precedente per cliccare su un altro risultato. Questo comportamento può indicare che l’utente non ha trovato ciò che cercava nella prima pagina e sta “saltando” tra i risultati per trovare una risposta più adeguata.
  • Tempo Trascorso sulla Pagina. Il “tempo trascorso sulla pagina” è una misura diretta del tempo che un utente passa su una specifica pagina web. A differenza del “dwell time”, questa metrica non considera cosa fa l’utente dopo aver lasciato la pagina, e può essere misurata per tutte le visite alla pagina, non solo quelle provenienti dai risultati di ricerca.

La differenza tra dwell time, bounce rate, pogo sting e durata sessione

Dwell time e SEO, come valutare strategicamente la metrica

Lo abbiamo detto più volte: il concetto di dwell time presenta molte sfaccettature da esplorare e comprendere a pieno ed è più che una semplice metrica. Si tratta di un potenziale indicatore della qualità dell’esperienza utente, che può fornire rilevanti insights per le nostre esigenze.

Secondo le classiche linee guida, un tempo di permanenza elevato suggerisce che i contenuti sono rilevanti, coinvolgenti e soddisfano le aspettative degli utenti. All’opposto, un dwell time basso potrebbe indicare che i contenuti non sono stati in grado di catturare l’interesse dell’utente o che la pagina non ha fornito le informazioni cercate, portando a un abbandono precoce del sito.

Eppure, la realtà non è così semplice e il tempo di permanenza deve essere interpretato in base allo specifico contesto del sito e del contenuto.

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Ad esempio, non è detto che un tempo di permanenza basso indichi necessariamente che la pagina si è rivelata un fallimento tale da spingere la persona a premere immediatamente il pulsante Indietro. Ci sono invece molti contenuti che esauriscono rapidamente l’esigenza informativa dell’utente, che poi torna rapidamente alla SERP: in questi casi, la pagina ha fatto quello che doveva e ha risposto pienamente all’intento di ricerca dell’utente, e ciò è esattamente che Google desidera che accada.

Inoltre, dobbiamo anche imparare a valutare quando il dwell time diventa effettivamente testimonianza di una visita significativa, pur nell’assenza di una soglia precisa o universalmente accettata su questo dato.

Innanzitutto è necessario considerare la natura del contenuto presente sulla pagina: per esempio, articoli lunghi e dettagliati o video che richiedono più tempo per essere consumati integralmente dovrebbero avere tempi di permanenza superiori rispetto a pagine con informazioni concise o liste puntate. Pertanto, un dwell time elevato su pagine con contenuti approfonditi può indicare che gli utenti trovano valore in ciò che viene offerto e dedicano tempo alla lettura o visione completa, mentre valori contrari sono un campanello d’allarme.

Un altro aspetto da considerare è l’azione intrapresa dall’utente dopo la visita: un tempo di permanenza lungo seguito da un’azione positiva – una conversione – come la sottoscrizione a una newsletter, la compilazione di un modulo di contatto o l’acquisto indica non solo interesse ma anche coinvolgimento e soddisfazione nei confronti del contenuto o del servizio proposto.

Ciò significa che il dwell time da solo può non fornire una comprensione completa dell’interesse e dell’engagement dell’utente, ma la metrica diventa significativa se associata al tipo di contenuto esplorato e alle azioni intraprese successivamente alla visita. Questo parametro, quindi, non deve essere ritenuto un mero dato statistico, ma come un indicatore più ampio per valutare l’interesse e la rilevanza percepiti dall’utente, all’interno di una strategia complessiva volta a migliorare la qualità dei contenuti e l’usabilità del sito.

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