Non solo UGC e Sponsored: guida agli attributi dei link
I link sono una parte importante della SEO e, in generale, del Web, lo ripetiamo spesso: senza collegamenti ipertestuali, Google e gli altri motori di ricerca potrebbero non scoprire le pagine dei siti o potrebbe non comprendere quanto siano importanti. Da parte nostra, abbiamo una serie di strumenti per comunicare proprio quest’ultimo aspetto ai crawler: possiamo cioè etichettare i collegamenti (in particolare quelli in uscita) con una serie di attributi che servono a specificare la loro natura e a migliorare la valutazione. Parliamo quindi dei famosi rel dei link, gli attributi che possiamo implementare alle pagine del sito, che possono avere un impatto anche sulla SEO.
Cosa significa il valore rel di un collegamento, l’attributo del link
Nel linguaggio HTML, l’attributo rel definisce la relazione tra il documento corrente e la risorsa collegata; si inserisce all’interno del tag <a>, che come sappiamo serve a specificare un link, e può essere personalizzato con stili o attributi diversi, tra cui appunto il rel che oggi approfondiamo.
Il termine rel sta per relazione e aggiungere questo tag a un link equivale a indicare a Googlebot e agli crawler che esiste una sorta di connessione tra il nostro sito e la risorsa a cui stiamo collegando la pagina. Il valore dell’attributo serve appunto a specificare la natura di questa relazione.
A livello generale, la presenza di un tag rel per i link determina quindi il tipo di relazioni tra la pagina da cui parte il collegamento e la risorsa di destinazione. Supportato da tutti i browser più utilizzati per la navigazione su Internet, dal punto di vista tecnico questo attributo deve esprimere token semanticamente validi sia per le macchine che per gli umani – il suo valore è un insieme non ordinato di parole chiave univoche, separate da spazi, non case sensitive (quindi non c’è distinzione tra maiuscole e minuscole) e senza rilevanza dell’ordine dei termini (nel caso di utilizzo multiplo non è importante la sequenza scelta).
Come aggiungere gli attributi ai link
Continuando sempre con le specifiche tecniche, possiamo aggiungere manualmente l’attributo rel lavorando direttamente sul codice HTML della pagina (o delegando un plugin per la gestione del link), inserendo gerarchicamente il riferimento subito dopo l’URL della risorsa linkata, con uno spazio al termine delle virgolette che racchiudono l’indirizzo.
Visivamente, quindi, un link taggato appare così scritto:
<a href=”https://example.com/seo” rel=”nofollow”>SEO</a>
Questa è la rappresentazione HTML di un’azione che gli editor testuali rendono davvero semplice: di solito, infatti, per aggiungere un collegamento su un blog o su un sito (ma anche su un documento Word) basta evidenziare il testo che desideriamo rendere cliccabile (l’anchor text), fare clic su un pulsante e incollare il collegamento. L’aggiunta del tag ci permette di aggiungere più senso e contesto per i crawler.
Di base, infatti, un link non ha un valore rel predefinito: pertanto, se omettiamo il tag o se scriviamo un valore non supportato, il documento linkante non avrà alcuna relazione particolare con la risorsa di destinazione, a parte la presenza stessa di un collegamento ipertestuale tra i due.
Inserendo personalmente l’attributo, invece, possiamo comunicare direttamente al motore di ricerca, anche in termini SEO: ovvero, possiamo dare un voto alla pagina, oppure prenderne le distanze, segnalare che il collegamento è frutto di un accordo commerciale o che deriva dall’inserimento manuale degli utenti, su cui non abbiamo controllo.
Quali sono gli attributi dei link in HTML
L’attributo rel accetta diversi valori predefiniti, ognuno dei quali ha un significato preciso; se alcuni di essi sono usati quotidianamente nella gestione di un sito, altri sono più rari ma comunque importanti e, se usati con rigore, aiutano a fornire utili informazioni addizionali sulle nostre pagine Web o sui contenuti linkati. In generale, non tutti i link necessitano di valori rel, ma ci sono alcune circostanze in cui ha senso includere l’attributo e casi in cui non solo questa pratica è consigliata, ma fondamentale.
Seguendo le indicazioni dei tutorial di HTML Spec, identifichiamo i seguenti tipi di rel per i link:
- alternate – Fornisce un link a una versione alternativa del documento corrente (pagina stampabile, tradotta in altra lingua o pagina mirror).
- author – Indica un collegamento all’autore del documento
- bookmark – Specifica il permalink definitivo di una risorsa alla più vicina sezione ancestor.
- canonical – Chiarisce qual è l’URL preferito o canonico per il documento corrente.
- dns-prefetch – Specifica che l’user agent o il browser devono eseguire preventivamente la risoluzione DNS per l’ origine della risorsa di destinazione.
- external – Indica che la risorsa di riferimento non fa parte dello stesso sito del documento corrente.
- help – Segnala che la risorsa linkata fornisce istruzioni o documentazione relative al documento di provenienza.
- icon – Rimanda a un’immagine icona che sia rappresentativa del documento.
- license – Segnala che il contenuto principale del documento corrente è coperto dalla licenza di copyright descritta dal documento di riferimento.
- manifest – Rimanda al manifesto dell’applicazione Web.
- modulepreload – Indica al browser di recuperare preventivamente lo script e di memorizzarlo nella mappa del modulo del documento per una successiva valutazione; facoltativamente, possono essere recuperate anche le dipendenze del modulo.
- next / prev – Indicano che la risorsa presente fa parte di una serie e rispettivamente segnalano che il documento linkato occupa la posizione antecedente (prev) o successiva (next) in questo elenco.
- noopener – Si aggiunge ai link che vengono aperti in nuove finestre del browser e imposta un top-level traversable con un contesto di navigazione non ausiliario se il collegamento ipertestuale ne creerebbe altrimenti uno ausiliario.
- noreferrer – Impedisce l’inclusione di header referer.
- opener – Imposta un contesto di navigazione ausiliario se il collegamento ipertestuale creerebbe altrimenti un contesto di navigazione di primo livello che non è un contesto di navigazione ausiliario (è l’opposto di noopener, come è facile intuire).
- pingback – Fornisce l’indirizzo del server pingback che gestisce i pingback al documento corrente.
- preconnect – Specifica che l’user agent deve connettersi preventivamente all’origine della risorsa di destinazione.
- prefetch – Specifica che l’user agent dovrebbe recuperare preventivamente e memorizzare nella cache la risorsa di destinazione, poiché è probabile che sia richiesta per una navigazione di follow-up.
- preload – Specifica che l’user agent deve preventivamente recuperare e memorizzare nella cache la risorsa di destinazione per la navigazione corrente in base alla destinazione potenziale data dall’attributo as (e alla priorità associata alla destinazione corrispondente).
- prerender – Specifica che l’user agent dovrebbe recuperare preventivamente la risorsa di destinazione ed elaborarla in un modo che aiuti a fornire una risposta più rapida in futuro
- search – Fornisce un collegamento a una risorsa che può essere utilizzata per cercare nel documento corrente e nelle pagine correlate.
- stylesheet – Importa un foglio di stile
- tag – Fornisce un tag (identificato dall’indirizzo inserito) che si applica al documento corrente.
Oltre a quelli utili per gestire e provare a migliorare le prestazioni tecniche delle pagine, tra questi rel ci sono anche attributi che sono molto rilevanti nella routine di un sito (e alcuni ormai obsoleti, come author, che però era stato un parametro cruciale per aiutare Google nell’implementazione dell’authorship di un testo, prima dei dati strutturati e degli altri metodi oggi usati per questo scopo). È il caso ad esempio di prev/next, valori che per molto tempo sono stati fondamentali per impostare correttamente la paginazione e segnalare l’ordine corretto ai browser (anche se poi Google ha comunicato di non usare più prev/next per l’indicizzazione, suggerendo altri sistemi), ma soprattutto di noopener e noreferrer, che possono servire a evitare spiacevoli sorprese agli utenti che navigano il sito e cliccano sul link.
Questi due attributi, infatti, sono utilizzati a livello di sicurezza e di privacy e sono rilevanti quando impostiamo un target=”_blank” per far aprire i link in una nuova finestra del browser. Questa scelta, apparentemente semplice e innocua, può comportare una vulnerabilità di sicurezza che potrebbe essere sfruttata da persone malintenzionate al fine di eseguire attacchi di phishing, che come sappiamo si basano (anche) sul far credere ai navigatori di essere su una pagina lecita per indurli a rivelare i propri dati sensibili, come password, codici di accesso o informazioni della carta di credito.
Nel caso specifico, il rischio si chiama reverse tabnabbing, una pratica illecita attraverso la quale i malintenzionati possono sostituire una pagina web in background con un’altra apparentemente identica, ma creata col solo scopo di ottenere indebitamente dati personali riservati o iniettare contenuti dannosi. L’unica differenza tra la pagina fake e quella originale è l’url, ma non tutti riescono a notarla e finiscono per cadere nell’inganno, anche perché convinti di cliccare su una pagina affidabile come quelle aperte in precedenza.
Per prevenire tale vulnerabilità, è consigliabile appunto l’uso combinato dei rel noopener e noreferrer, che collaborano per impedire questo tentativo di phishing – e non è un caso che WordPress abbia deciso di applicare automaticamente il valore noopener a tutti i link in cui è stato utilizzato il target=”_blank”.
In pratica, il rel noopener impedisce lo sfruttamento della funzionalità di modifica della nuova scheda di destinazione, mentre l’attributo noreferrer elimina le informazioni relative al referral dai link in modo tale da impedire la tracciabilità del traffico tra due siti web. In questo modo, i link di una pagina web non possono essere tracciati e quindi non si possano ricostruire le fonti del traffico, perché non vengono diffuse informazioni a riguardo, come gli URL di provenienza o le parole chiave usate dall’utente che visita un sito., e di conseguenza non è possibile fare un monitoraggio accurato della navigazione su questi siti.
In entrambi i casi, questi attributi dei link non hanno peso in ottica SEO: pertanto, il loro utilizzo non condiziona il funzionamento di Google Search nello scansionare, indicizzare e posizionare un sito web, ma aiutano ad ogni modo a garantire una navigazione più sicura per gli utenti.
Quali sono i link rel principali per comunicare con Google
Ma veniamo allora ai tre attributi dei link che hanno peso ai fini SEO e che dobbiamo utilizzare in modo appropriato per segnalare a Google la tipologia e la natura del collegamento verso la risorsa di destinazione.
Parliamo dei rel nofollow, UGC e sponsored, che hanno una storia più recente rispetto ai parametri precedenti.
Per molto tempo rel=”nofollow”è stato il modo in cui un sito poteva dire Google che ospitava sulle sue pagine un link verso una destinazione da cui in qualche modo voleva dissociarsi, per qualsiasi tipo di motivo. Googlebot recepiva il messaggio come una direttiva, e quindi in nessun caso passava trust o fiducia al sito linkato.
Poi, tra il 2019 e il 2020, Google ha cambiato approccio, aggiungendo appunto altri due attributi per specificare meglio e dare più contesto ai link in uscita, e allo stesso tempo ha trasformato il nofollow da direttiva a “suggerimento” – vale a dire, Googlebot potrebbe anche scavalcare l’impostazione e decidere di trasferire trust.
Ricapitolando, comunque, ci sono tre valori principali su Google per l’attributo rel dei link:
- nofollow – segnala a Google la volontà di non associare il nostro sito alla pagina collegata o di non eseguire la scansione della risorsa linkata.
- sponsored – segnala a Google che la risorsa è linkata sulla base di un accordo commerciale di qualsiasi natura.
- UGC – segnala a Google che il link proviene da una sezione del sito che ospita contenuti generati dagli utenti, su cui quindi non abbiamo controllo diretto.
C’è poi l’attributo dofollow o follow, che serve per indicare a Google il pieno riconoscimento del link inserito (che quindi deve essere seguito e trasferire trust): come però dicevamo nell’approfondimento specifico sulla vexata quaestio link follow vs nofollow, in realtà non esiste il rel follow, nel senso che non è un attributo che va inserito manualmente ma informazione di default laddove non presenti gli altri valori.
Il senso dei link rel UGC e sponsored
Dal settembre 2019 Google (seguito nel 2020 da Bing) ha quindi deciso di far evolvere (anche) il nofollow, l’attributo introdotto circa 15 anni prima come mezzo per combattere lo spam nei commenti e rapidamente diventato uno dei metodi consigliati (e usati) per contrassegnare i link pubblicitari o sponsorizzati, ma poi rapidamente entrato in una zona grigia della SEO.
Si era quindi reso necessario migliorare le possibilità per gli editori nel contrassegnare i link in uscita dalle pagine dei loro siti e per segnalare la relazione con la pagina collegata. Nello specifico, come spiegavano Danny Sullivan e Gary Illyes, autori del post sul blog ufficiale della compagnia, rel=”sponsored” e rel=”ugc” sono quindi valori alternativi che il motore di ricerca è in grado di comprendere per riconoscere collegamenti pubblicitari o generati dagli utenti (tipici dei post dei forum o dei commenti), in modo da elaborare meglio i link per l’analisi del web.
Nello specifico,
- L’attributo sponsoreddovrebbe essere utilizzato per identificare i collegamenti che sono specificamente il risultato di un posizionamento dietro accordo o pagamento; ad esempio, posizionamenti sponsorizzati, annunci pubblicitari, link a pagamento, link di affiliazione e simili.
- L’attributo ugc, abbreviazione di user generated content, dovrebbe essere utilizzato per identificare i collegamenti creati direttamente dagli utenti (ad esempio, i collegamenti dell’autore in un form di commento), che quindi non sono necessariamente attendibili o approvati dall’autore della pagina.
In entrambi i casi, il funzionamento è simile a quello dell’attributo nofollow originale, anche in ottica SEO, e quindi i due rel non trasmettono un “voto” verso la pagina linkata, ma servono a comprendere di più sul contesto del link e delle risorse interessate.
Come e quando inserire gli attributi dei link UGC, Sponsored e nofollow
L’implementazione tecnica dei valori ugc e sponsored – e del vecchio nofollow – non differisce in alcun modo da quella degli altri valori rel, e quindi possiamo aggiungere manualmente (o via plugin) l’attributo che riteniamo più indicato per etichettare un link in uscita all’interno del campo <a> che definisce il collegamento.
Inoltre, anche per questi valori è prevista la possibilità di utilizzo combinato, separando con uno spazio il nome del tag: e quindi, il rel = “ugc sponsored” viene interpretato come un attributo perfettamente valido che suggerisce che il link proviene da contenuti generati dagli utenti ed è sponsorizzato, e parimenti è accettato utilizzare nofollow con i nuovi attributi (come il rel = “nofollow ugc”), soprattutto se vogliamo assicurare una retrocompatibilità con servizi che non supportano tali attributi.
In definitiva, quindi, abbiamo quattro diversi tipi di markup HTML per i link che hanno un significato per Google e per la SEO:
- Un collegamento normale, senza attributo rel, a cui possiamo riferirci anche come link follow.
- Un link sponsored.
- Un collegamento ugc – user generated content.
- Un link nofollow.
Ognuno di questi ha una specifica utilità.
Il link follow segnala a Googlebot che l’autore o l’editore originale della risorsa corrente approva il documento di destinazione: è la classica situazione in cui un collegamento equivale a un voto di qualità, che il motore di ricerca interpreta appunto in maniera positiva, passando PageRank alla pagina linkata. Il link follow rappresenta il caso esemplare di collegamento gradito a Google: un sito si collega a un altro articolo perché lo ritiene una risorsa preziosa a cui vuole indirizzare i suoi utenti.
Con gli altri tre rel Google può differenziare i link naturali dai “link non naturali”, frutto di dinamiche differenti, e quindi non passare minimamente PageRank al sito linkato.
L’attributo sponsored – da riservare a ogni tipo di contenuto linkato dietro pagamento o accordo – chiarisce che il collegamento non nasce da un’approvazione piena della pagina di destinazione, ma da motivazioni diverse, di tipo appunto economico o commerciale: senza un compenso, l’autore della pagina non si collegherebbe a quella risorsa. Google caldeggia l’utilizzo dell’attributo sponsored per etichettare i link a pagamento, al punto che esiste la minaccia latente di penalizzazione per i siti che non contrassegnano in modo opportuno e adeguato questa tipologia di collegamenti.
L’attributo UGC va aggiunto ogni volta che gli utenti del sito Web sono in grado di creare contenuti o collegamenti, come ad esempio dalla sezione dei commenti, post nei forum e sezioni contributor free, e in generale. WordPress ha scelto di default di impostare tutti i link nei commenti con nofollow e ugc. Segnalare questo attributo aiuta Google a capire con chiarezza quando un link possa essere derivante da un’attività di spam, quindi al 100% non un link naturale.
Infine, l’attributo nofollow va usato in tutte le altre situazioni di link a cui non vogliamo dare piena approvazione o da cui ci dissociamo completamente, per evitare di trasmettere loro PageRank e autorevolezza. Introdotto nel lontano 2005, il rel=“nofollow” è stato il mezzo per combattere lo spam (soprattutto nei commenti) e per dire allo spider di non seguire la pagina web linkata né trasferirle link juice. Ad ogni modo, è possibile continuare a usare il nofollow come metodo per contrassegnare i link ad ads o sponsorizzati senza modificarli, con l’obiettivo di evitare possibili penalizzazioni Google per “schemi di link”, e in generale non è obbligatorio modificare le etichettature esistenti, anche se si consiglia comunque di passare al nuovo rel = “sponsored”.
In ultimo, sin dal primo annuncio Google ha provato a rassicurare webmaster, proprietari e gestori di siti: non ci sono utilizzi sbagliati degli attributi sui link, ad eccezione di quelli sui link sponsorizzati. Per la precisione, contrassegnare con un link UGC o un link non pubblicitario come “sponsored” non è un gran problema, perché Google vedrebbe “il suggerimento ma l’impatto – se ce ne fosse uno – sarebbe al massimo che potremmo non considerare il link per dare credito per un’altra pagina”. In questa accezione, non è diverso dallo status quo di molti link UGC e non pubblicitari già contrassegnati come nofollow. Il problema nasce piuttosto nell’altro senso, perché qualsiasi link che sia chiaramente un annuncio o sponsorizzato dovrebbe usare “sponsorizzato” o “nofollow”, come descritto sopra.
Gli effetti SEO dell’attribuzione dei rel ai link
Approfondendo le questioni legate a ciò che questi attributi comunicano a Google, possiamo tornare a far riferimento alle indicazioni segnalate ufficialmente nel 2019/2020, e ovviamente tutt’ora valide.
Classicamente, Google poteva leggere e interpretare solo un tipo di attributo – il nofollow – e fino al cambio di rotta non ha calcolato alcun collegamento contrassegnato in questo modo come fattore di ranking, segnale da utilizzare negli algoritmi di ricerca. Ciò è cambiato appunto nel 2019, quando tutti gli attributi dei collegamenti – sponsorizzati, UGC e nofollow – sono diventati suggerimenti su quali collegamenti considerare o escludere all’interno della Ricerca, e quindi usati, insieme ad altri segnali, come un modo per capire meglio come analizzare e utilizzare in modo appropriato i collegamenti all’interno dei suoi sistemi.
In pratica, inizialmente i link nofollow erano trattati come una direttiva a cui Google era tenuto a obbedire, mentre ora Google tratta questi backlink come un hint del webmaster, e può autonomamente deciderà se utilizzare il collegamento contrassegnato a fini di classificazione o meno. Una modifica che, come è facile immaginare, potrà influire sulla SEO on-page, sul content marketing, sulla link building e, inevitabilmente, anche sul link spam. Rispetto a questo punto, gli attributi di collegamento “ugc” e “nofollow” sono un deterrente alle pratiche spamming, che si aggiunge alle tecniche già adottate da molti siti che consentono a terzi di contribuire ai contenuti, che “già scoraggiano lo spam in vari modi, inclusi strumenti di moderazione, che possono essere integrati in molte piattaforme di blog, e revisioni umane”.
Prendere in considerazione tutti i collegamenti può aiutare Google a capire meglio i modelli innaturali di link, e passare a un modello di hint (e non di diktat) consente di “non perdere più informazioni importanti, pur consentendo ai proprietari di siti di indicare che alcuni link non dovrebbero avere il peso di un endorsement diretto“, ovvero di un backlink dofollow classico.
Quello che viene ribadito è il valore dei link per Google, che decide quindi di non ignorare completamente tali collegamenti, ma di sfruttarne le “informazioni preziose” che contengono perché “possono aiutarci a migliorare la ricerca, come il modo in cui le parole all’interno dei collegamenti descrivono il contenuto a cui puntano”, ovvero l’anchor text usato anche nei link nofollow.
Con questi cambiamenti, però, Google ci fa anche capire che – nonostante l’evoluzione dell’algoritmo e l’affinamento dei criteri di ricerca – ancora oggi non è in grado di comprendere con certezza quali siano i link naturali da prendere in considerazione per il ranking. In pratica, ora il motore di ricerca chiede agli utenti e ai siti di “auto-denunciare” la natura dei collegamenti esterni per semplificare la decodifica dei backlink, confermando – tra le righe – quanto la link building e i link siano fondamentali come fattore di ranking.
Nella maggior parte dei casi, comunque, il passaggio al modello di suggerimento “non cambierà la natura del modo in cui trattiamo tali collegamenti”: Google tratta i link come ha fatto in questi anni con il nofollow e “non li considera ai fini della classifica”. Ad ogni modo, “continueremo a valutare attentamente come utilizzare i collegamenti all’interno di Ricerca, proprio come abbiamo sempre fatto e come abbiamo dovuto fare per situazioni in cui non sono state fornite attribuzioni”, concludono Danny Sullivan e Gary Illyes.
Le best practice per l’uso degli attributi dei link
Interpretando l’attributo come hint, Google ha la possibilità di utilizzare i link come segnali per migliorare il funzionamento dei propri sistemi di ranking. Come conseguenza, i link con attributo rel=”nofollow” non sono più completamente ignorati in termini SEO (e già prima era noto che il crawler seguisse anche i link nofollow per la scansione), ma si aggiungono al complesso sistema di apprendimento e riconsiderazione dei link che contribuisce a determinare la classificazione di un sito.
Da Google arrivano anche indicazioni dirette per i siti rispetto all’uso dei rel, e in particolare si invita a usare “il valore nofollow quando altri valori non sono idonei e preferisci che Google non associ il tuo sito alla pagina collegata o che non esegua la scansione di tale pagina dal tuo sito”.
Inoltre, chi usa il nofollow come sistema esclusivo per bloccare l’indicizzazione di una pagina (pratica che non è mai stata raccomandata da Google!), dovrebbe orientarsi verso uno dei meccanismi “molto più robusti” per bloccare gli URL, come ad esempio file robots.txt, meta tag o password a protezione dei file del server web. Anche se i link contrassegnati con gli attributi rel generalmente non vengono seguiti, infatti, bisogna ricordare che le pagine collegate potrebbero essere rilevate con altri mezzi, ad esempio sitemap o link da altri siti, e quindi comunque essere sottoposte a scansione. Quindi, l’uso del nofollow sui link (anche interni) non evita del tutto la scansione e l’eventuale indicizzazione, e per impedire a Google di seguire un link che rimanda a una pagina del nostro sito bisogna usare la regola Disallow del file robots.txt, oppure usare il tag noindex per impedire a Google di indicizzare una pagina – e quindi il comando abbinato noindex nofollow.
Link rel e SEO, i chiarimenti sugli attributi
Com’era facile ipotizzare, l’annuncio di Google sul nuovo senso del rel nofollow e sui due attributi introdotti per specificare meglio la natura dei backlink (sponsorizzati o creati dagli utenti) ha suscitato subito l’interesse e la preoccupazione della comunità SEO internazionale, che si è interrogata sull’utilità e sui possibili impatti di tali cambiamenti.
In particolare, un articolo di Roger Montti su Search Engine Land raccoglie gli spunti più interessanti sul tema, partendo però dalle principali criticità notate, che sono tre: non ci sarebbe nessun incentivo per gli editori a utilizzare i nuovi attributi dei link, nessun vantaggio per gli editor sotto forma di spinta al ranking, un costo dell’implementazione delle modifiche che supera qualsiasi vantaggio percepito (che è pari a zero).
Gli interventi di Google su nofollow e altri attributi dei link
A questi dubbi hanno risposto le voci pubbliche di Google soprattutto attraverso Twitter, con Barry Schwartz che su Search Engine Roundtable ha raccolto le risposte dei vari Danny Sullivan, John Muelle re Gary Illyes, che hanno innanzitutto ricordato e sottolineato le novità di questo cambiamento.
- L’attributo nofollow diventa un suggerimento che il sito dà a Google: un hint dal 2019 per il ranking, dal marzo 2020 per il crawling e l’indicizzazione.
- Google ha introdotto il nuovo rel=sponsored per una assegnazione più granulare del tipo di link.
- Google ha introdotto il nuovo rel=ugc per una assegnazione più granulare del tipo di link.
- Non è obbligatorio usare i nuovi attributi (un sito può scegliere di continuare a usare il vecchio nofollow).
- È possibile usare in modo combinato i nuovi attributi.
- Resta il consiglio a segnalare come nofollow i link sponsorizzati, a cui si può aggiungere il nuovo rel=”sponsored”.
- Google non si aspetta particolari variazioni di ranking da queste modifiche.
- Google pensa che le modifiche non porteranno a maggiore spam nei commenti.
I link nofollow possibile segnale di ranking
Tanta attenzione (e preoccupazione) è inevitabile visto il topic, perché l’attributo nofollow link è stato un punto fermo della SEO per oltre un decennio, e ora invece sta cambiando. Più che sull’introduzione degli altri attributi, infatti, quello che conta è la notizia che Google potrebbe usare i link nofollow come segnale di ranking (anche se in tanti sospettavano già un impiego del genere…).
Uno dei timori è legato proprio all’incremento della vendita di link nofollow (una pratica che linea teorica è contraria alle linee guida di Google, ma che sappiamo essere diffusa e quotidiana), che già oggi in realtà sono venduti da marketer che li propongono come supporto per il posizionamento dei siti. Una ufficializzazione di un uso potenziale di questo strumento potrebbe alimentare un aumento del commercio di link spam nofollow, in particolare in blog, articoli, forum e addirittura su Wikipedia (che ha tutti i link esterni in nofollow).
Google invita alla calma: nessun aumento di spam
Ad ogni modo, Google ha ribadito che non dovrebbe esserci alcun impatto significativo sui risultati della ricerca a seguito della modifica, ma è chiaro che il pensiero di tutti corra verso il valore che può avere da oggi un link nofollow su un sito forte e autorevole (e ripetiamo il caso di Wikipedia). Ed è facile comunque immaginare che sarà necessaria un’attenzione specifica alla gestione dei link, per usare l’attributo giusto per ogni collegamento (o non usare i nuovi rel, che resta come detto una opportunità).
L’attributo nofollow passerà PageRank
E qui torniamo agli aspetti critici evidenziati dalla comunità SEO: in particolare, Chris Silver Smith di Argent Media ha scritto su Facebook che questa modifica porta benefici solo a Google, ma anche che “se leggi tra le righe, suggerimento può significare un passaggio di PageRank o di un valore equivalente”. Google “sta già usando link nofollow in alcuni casi, vogliono solo semplificare la scelta tra quale tipologia di attributo link usare nei vari casi”.
In particolare, da quanto si percepisce sarà soprattutto il link nofollow con attributo sponsorizzato a dare un aiuto a Google, ovvero un forte suggerimento di non passare alcun PageRank al sito linkato. Ma, allo stesso tempo, contribuisce anche a una maggiore comprensione da parte di Google della stessa pagina Web che ospita il backlink, che ammette di vendere link sponsorizzati.
Usare i nuovi attributi è una scelta, non un obbligo
Per questo torniamo all’aspetto della volontarietà della segnalazione, sulla quale si sofferma in dettaglio Danny Sullivan, che tweetta dicendo che “i due nuovi attributi sono scelte volontarie per coloro che trovano utile essere più granulari. È una *scelta* e non abbiamo bisogno di forzarti a usarli (Sullivan usa l’espressione usare i denti, nda). Usali. Non farlo. È una scelta”. Quindi, non ci sono benefici per i siti che usano i nuovi rel, ma soprattutto non ci sono penalità per chi invece non specifica i collegamenti.
Perché Google ha trasformato il nofollow
Il Google’s public search liaison ha cercato di spiegare anche le motivazioni che hanno portato alla decisione di Google: “Osservando il nofollow, pensiamo che per noi possa essere utile considerare quei link a scopi di ranking. Non necessariamente per passare credito, anche se in alcuni casi pensiamo possa esser utile, mentre in altri può servire come segnale di spam”.
Secondo Sullivan, il vantaggio che un sito ottiene dall’utilizzo di questi nuovi attributi è perché “può essere utile essere più granulari“, ovvero offrire dati più definiti e dettagliati sul sito, ma sembra effettivamente essere un aspetto secondario rispetto agli altri elementi segnalati.
Le differenze tra nofollow e gli altri attributi
L’ultima indicazione che arriva (per ora) è di tipo tecnico, ed è un chiarimento forse necessario per evitare di fare confusione: non bisogna pensare che ora il “nofollow può essere specificato con tre diversi attributi”, perché questa interpretazione è sbagliata. Il nofollow può “essere specificato solo in un modo, con il nofollow”, perché quello che cambia è l’attribuzione (definizione) dei link, che ora può essere eseguita in tre modi, con i rel sponsored, UGC e nofollow.
In conclusione, rilanciamo questo specchietto riassuntivo realizzato da Moz, che ci aiuta a ricordare tutte le principali novità di questa rivoluzione del nofollow.